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TESTO La totalità del cuore

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XXIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (05/09/2010)

Vangelo: Lc 14,25-33 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 14,25-33

In quel tempo, 25una folla numerosa andava con Gesù. Egli si voltò e disse loro: 26«Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. 27Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo.

28Chi di voi, volendo costruire una torre, non siede prima a calcolare la spesa e a vedere se ha i mezzi per portarla a termine? 29Per evitare che, se getta le fondamenta e non è in grado di finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, 30dicendo: “Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro”. 31Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? 32Se no, mentre l’altro è ancora lontano, gli manda dei messaggeri per chiedere pace. 33Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo.

Chi non rinunzia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo

1. Dopo averci fatto riflettere sulla logica evangelica ‘primo/ultimo', oggi la liturgia ci invita a una scelta radicale per Gesù Cristo. La scelta della fede cristiana si fa concreta nell'aderire pienamente alla persona di Cristo: questa radicalità, che comporta la scelta del primato di Cristo come volto di Dio nella nostra vita è espressa dal vangelo di oggi come invito alla rinuncia al mondo. Non è un invito a fuggire dal mondo, ma ad assumere l'umano per orientarlo completamente a Cristo. Così preghiamo con la seconda colletta: "... donaci la sapienza del tuo Spirito, perché da veri discepoli portiamo la nostra croce ogni giorno dietro il Cristo...".

2. La cornice narrativa in cui Luca inserisce il testo odierno ha un soggetto ormai familiare all'assemblea liturgica: la folla che accompagna Gesù. A volte ci viene presentata in atteggiamento di ascolto, altre volte rappresenta il luogo in cui si elaborano diversificate risposte circa l'identità del "Cristo di Dio". Oggi si ha come un salto di qualità: le folle vanno con Gesù, cioè condividono il suo percorso esistenziale verso Gerusalemme, luogo in cui si compirà la sua missione. Ovviamente le consistenti folle della Galilea rimandano, nel linguaggio dell'evangelista, ai numerosi convertiti provenienti dal paganesimo con la loro adesione all'annuncio evangelico, come sperimentato dalla comunità lucana. Per essi che non calpestano più le polverose strade della Palestina l'evangelista introduce alcuni elementi significativi. Ricorre ad esempio al verbo "essere" e non al verbo "diventare". Le condizioni per la sequela sono dettate a chi si è già incamminato dietro a Gesù e vive ciò come una situazione esistenziale. La loro finalità è quindi quella di ribadire tale decisione nei suoi contenuti operativi e nella sua carica motivazionale. L'opzione per il vangelo va confermata giorno dopo giorno, rendendola una disposizione costante (come si ricava dalle ripetute forme verbali al presente: viene, odia, porta...). Inoltre, la croce, da evento che ha contraddistinto l'esistenza di Gesù, proietta la sua ombra luminosa sulla vita del credente, così da diventare la sua croce. Sofferenze e prove quotidiane vengono affrontate, ‘portate', come momenti di comunanza con il tragico destino (la croce) di Gesù.

3. Come per la comunità di Luca così per noi, chiamati a calpestare oggi strade, forse meno polverose, ma non meno impegnative, le parole del vangelo odierno sono come i chiodi della crocifissione, entrano nella carne viva, ti fissano con dolore alla sua proposta: Gesù non vuole tanto, vuole tutto.

Alla Chiesa a volte tentata di ricercare più il consenso degli uomini che quello del suo Signore, più di contabilizzare i suoi aderenti che di vagliare la qualità della vita di fede, Gesù propone un atteggiamento diverso. Proprio nel momento in cui la gente è entusiasta del suo messaggio e gli va dietro, Gesù, invece di approfittarne e di cercare di accrescere questo consenso dilagante, riserva a tutti una doccia fredda, parole che scoraggiano e invitano a lasciar perdere. È questa la prima sensazione che ci coglie di fronte alla pagina evangelica di oggi. Gesù non si esalta per il numero, non cerca l'applauso delle folle: vuole la totalità del cuore. Un messaggio che va oltre e mette in crisi i nostri comuni modi di pensare: per comprenderlo è necessario invocare la "sapienza" che ci aiuta a conoscere il volere di Dio (1ª lettura).

La pagina evangelica è attraversata da un ritornello, ripetuto tre volte, "non può essere mio discepolo". Attraverso tre quadri successivi egli delinea il volto del suo discepolo, cioè del cristiano perfetto. La trascrizione al positivo di questo non poter essere è ciò che tenteremo di fare nella nostra riflessione.

Il primo quadro si apre con una parola scandalosa: "odiare". Per essere veri discepoli di Gesù bisogna troncare con un taglio netto tutti i legami col passato, bisogna "odiare" padre, madre, moglie, figli... e persino se stessi! C'è di che rimanere stupefatti: non aveva Gesù fatto dell'amore la legge fondamentale del suo Regno? Con un po' di pazienza si può decifrare il valore del verbo "odiare" facendo così emergere la vera intenzione di Gesù. Il linguaggio biblico in molti ambiti del vissuto si esprime per antitesi ("Nessun servo può servire a due padroni: o odierà l'uno e amerà l'altro...": Lc 16,13). È come se tutto fosse diviso in due parti: non c'è la terza via. O si ama o si odia. In occidente invece siamo molto più sfumati: tra amare e odiare c'è posto per l'antipatia, l'indifferenza, la simpatia... Qual è allora, il significato ultimo di quella dichiarazione forte? Essa racchiude uno dei temi più cari alla predicazione di Gesù. Per essere suoi discepoli autentici è necessario rifuggire dal compromesso, dall'accomodamento, dalla tiepidezza: la scelta di fede è radicale, è come una sorgente che deve irrigare tutto il terreno della vita, è il vertice della scala di valori sul quale si ordina tutto il resto. Il mutamento di mentalità è deciso e decisivo e Gesù lo richiede, alla maniera semitica, con parole aspre, intense che artigliano le coscienze.

Passiamo al secondo quadro, che in realtà è solo una pennellata. Esso ha al centro la croce. L'adesione alla via stretta dell'impegno cristiano non è solo frutto della scelta coraggiosa ed entusiastica di un momento, ma una scelta che si ripete, pesante, continua, quotidiana. La croce si stampa su tutte le nostre giornate, la "via crucis" non dura solo il primo pomeriggio del venerdì santo, Gesù "è in agonia sino alla fine dei secoli" (B. Pascal).

Ed eccoci all'ultimo quadro, il più ricco di tutti, contenente due brevi parabole: la costruzione della torre e i piani per una guerra. Il senso immediato delle due parabole ricalca quello della prima scena: l'impresa di seguire Gesù è difficile e seria, non la si può affrontare con leggerezza e superficialità; il fallimento può essere amaro.

L'amore radicale per il Regno, la croce da "portare", la rinuncia agli averi: ecco tre lineamenti fondamentali del discepolo di Cristo. Parole difficili, scoraggianti? No, se l'accento viene posto sul verbo principale: diventare discepoli. Il centro focale delle parole di Gesù non è sulla rinuncia, ma sulla conquista; non sul punto di partenza, ma sulla meta da raggiungere, che è la statura di Cristo: "Io non sono / ancora e mai / il Cristo, / ma io sono questa / infinita possibilità" (D.M. Turoldo).

L'unica, affinché sia data eternità a tutto ciò che di più bello portiamo nel cuore.

Commento di don Antonio Mastantuono

tratto da "Il pane della Domenica. Meditazioni sui vangeli festivi" Anno C
Ave, Roma 2009

 

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