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TESTO Essere cristiani: una scelta

mons. Roberto Brunelli

XXIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (05/09/2010)

Vangelo: Lc 14,25-33 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 14,25-33

In quel tempo, 25una folla numerosa andava con Gesù. Egli si voltò e disse loro: 26«Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. 27Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo.

28Chi di voi, volendo costruire una torre, non siede prima a calcolare la spesa e a vedere se ha i mezzi per portarla a termine? 29Per evitare che, se getta le fondamenta e non è in grado di finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, 30dicendo: “Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro”. 31Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? 32Se no, mentre l’altro è ancora lontano, gli manda dei messaggeri per chiedere pace. 33Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo.

"Chi vuol essere mio discepolo, deve amarmi più di quanto ami il padre, la madre, la moglie, i figli e persino se stesso; chi vuol essere mio discepolo, porti la sua croce dietro di me".

Così disse un giorno Gesù alla folla che lo seguiva: parole drastiche, si direbbe fatte apposta per scoraggiare quanti gli andavano appresso. A differenza di tanti demagoghi in cerca di facili consensi, pronti a promettere anche la luna pur di trovare chi gli consenta di realizzare i propri piani, egli non nasconde le difficoltà che comporta l'essere suoi amici. Chi pensasse che vivere da cristiani sia una passeggiata tra prati in fiore, è avvertito: in realtà significa mettere sempre Lui al primo posto. Quando si trovasse di fronte a facili occasioni di vantaggi e soddisfazioni personali che lui non approva, quando anche gli affetti più cari risultassero incompatibili con lui, per un cristiano non c'è dubbio possibile su quale deve essere la scelta, costi quel che costi.

In proposito, la storia trabocca di casi esemplari. Duemila anni costellati di martiri attestano che tanti uomini e donne hanno preferito rinunciare alla propria vita, pur di non tradirlo; tanti altri santi (per parlare di casi conosciuti: chissà quanti, poi, sono noti solo a Dio) hanno accantonato onori e ricchezze e ogni altro vantaggio offerto da questo mondo pur di restare suoi amici, talora lottando anche contro i familiari. Al riguardo bastino due esempi, in vario modo relativi alla storia mantovana: Barbara, la santa cui è dedicata la basilica palatina, per non aver voluto abiurare la fede fu decapitata dal suo stesso padre, e Luigi Gonzaga a suo padre si oppose tenacemente per anni, pur di poter rinunciare ai suoi privilegi e realizzare la vita cui si sentiva chiamato.

Nella normalità dei casi, ovviamente, non occorre arrivare a tanto; ma la regola resta la stessa: niente e nessuno è più importante di Gesù, e se metterlo al primo posto comporta rinunce, ecco: questa è la croce da portare. Del resto, essere cristiani è una scelta, non un obbligo, e come tutte le scelte va compiuta dopo averci ragionato, valutando i pro e i contro. Lo stesso Gesù invita a farlo, con un paio di esempi riportati anch'essi nel vangelo di oggi: "Chi di voi, volendo costruire una torre, non siede prima a calcolarne la spesa e a vedere se ha i mezzi per portarla a termine? Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila?" Così, sottintende, chi vuole dirsi cristiano deve essere consapevole di che cosa comporta, deve valutare come si configura la sua vita, presente e futura, con o senza di lui.

Senza di lui, tutto appare più facile e comodo: vivo come mi pare, spremendo da ogni giornata tutto il succo di vantaggi e piaceri che ne posso trarre, avvalendomi di quanto dispongo e servendomi degli altri per realizzare i miei intendimenti; se poi gli altri ne patiscono, che importa a me? La realtà però è spesso diversa: la mia presunta libertà mi lascia spesso insoddisfatto; le cose non vanno sempre come vorrei, e quand'anche riescono mi lasciano sempre un retrogusto amaro, talora tanto forte da portarmi alla disperazione. Con lui, invece, devo rinunciare a tante cose, devo farmi carico di chi mi sta intorno per dargli attenzione e aiuto; ma alla sera non fatico a prender sonno, perché non ho nulla di cui vergognarmi, so di avere speso la mia giornata al meglio delle mie possibilità, so che sto dando alla mia vita un senso e uno scopo, di cui un giorno raccoglierò pienamente i frutti. Senza di lui adesso, il pensiero di quel giorno semplicemente mi atterrisce; con lui sin da ora, quel giorno, il giorno senza tramonto, posso confidare di trascorrerlo sempre con lui. C'è di meglio?

 

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