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TESTO Solo un povero accoglie...

Marco Pedron  

XXII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (29/08/2010)

Vangelo: Lc 14,1.7-14 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 14,1.7-14

Avvenne che 1un sabato Gesù si recò a casa di uno dei capi dei farisei per pranzare ed essi stavano a osservarlo.

7Diceva agli invitati una parabola, notando come sceglievano i primi posti: 8«Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto, perché non ci sia un altro invitato più degno di te, 9e colui che ha invitato te e lui venga a dirti: “Cedigli il posto!”. Allora dovrai con vergogna occupare l’ultimo posto. 10Invece, quando sei invitato, va’ a metterti all’ultimo posto, perché quando viene colui che ti ha invitato ti dica: “Amico, vieni più avanti!”. Allora ne avrai onore davanti a tutti i commensali. 11Perché chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato».

12Disse poi a colui che l’aveva invitato: «Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici né i tuoi fratelli né i tuoi parenti né i ricchi vicini, perché a loro volta non ti invitino anch’essi e tu abbia il contraccambio. 13Al contrario, quando offri un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; 14e sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Riceverai infatti la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti».

Gesù nel vangelo di oggi racconta due parabole. Gesù guarda cosa accade nei pranzi del tempo e da ciò che vede capisce come funzionano le dinamiche e le relazioni tra le persone. Siccome noi ci "portiamo" sempre con noi, quello che siamo emerge in tutto ciò che facciamo. Allora basta guardare a come una persona parla, si muove, a come si relaziona e si capisce chi è, cosa considera importante, cos'ha dentro.

E' venuto un uomo che voleva fare l'animatore. Ci siamo seduti e ci siamo messi a parlare per conoscerci. Ha iniziato a "sparlare" del parroco precedente con giudizi feroci e taglienti. Chissà, forse pensava di farmi piacere! Dentro di me mi sono detto: "Ho capito!!! Di uno come te non c'è bisogno qui!". Perché da come uno parla, da come uno si rapporta, da come uno pesa le cose, si capisce chi è. Basta guardare.

Nella prima parabola Gesù si accorge di come tutti cerchino di essere "più" degli altri, superiori. Siamo ad un pranzo di nozze e tutti cercano di mettersi al primo posto, più avanti. Nella seconda, invece, si accorge della logica degli inviti. Ognuno invita ciò che lui è. Da chi chiami alla tua tavola io capisco chi sei tu, cosa cerchi e a cosa ambisci. Se tu non sei mai stato povero, non puoi invitare i poveri. Se tu non conosci cosa vuol dire essere soli, bisognosi, malati d'affetto, mendicanti di amicizia, non puoi invitare chi è così.

Nella prima parabola: ognuno cerca il primo posto ma chi vuole il primo posto non è contento del suo posto. Chi cerca di essere primo, di essere più degli altri vuol dire che non ama la sua vita e quello che è. Chi cerca di essere al primo posto non ha ancora trovato il suo posto. Perché se avesse trovato il proprio posto nella vita non ne avrebbe bisogno di un altro. Chi ha trovato il proprio posto non ne vuole nessun altro perché quello è il suo: non deve mettersi al posto di nessun altro perché ha già il suo posto e non ha bisogno di salire perché non è il suo posto.

La nostra società è una società menzognera e ce lo insegnano fin da piccoli. Ci insegnano a inseguire dei posti dove non potremo mai essere noi stessi.

Hai tre anni e c'è il temporale, hai paura e cerchi rifugio. Il papà ti dice: "Ma va là fifone!". Così impari subito a nascondere la tua paura per non essere umiliato e non prenderti del "fifone".

Hai bisogno che la mamma stia con te e piangi. Ma lei ti dice: "Non fare i capricci!". Così impari subito che non è il caso di chiedere affetto, perché poi si viene rifiutati.

Hai voglia di cantare, di urlare e di giocare con la sabbia del giardino. Ma non si può, perché si disturba il vicino di casa, perché "non c'è motivo di essere degli animali", perché ci si sporca il vestito. Così impari che non è il caso di essere te stesso e che per non ricevere rimproveri è meglio adattarsi.

Quante volte abbiamo sentito dirci: "Smettila; lasciami in pace; non frignare!; fai l'ometto; non piangere; se non la smetti te le prendi; stai zitto e non parlare; devi rispettare i tuoi genitori; ecc". Avevamo dei sentimenti ma non si poteva esprimerli perché si veniva rimproverati, umiliati o feriti. Così abbiamo imparato a mentirci: "Provo rabbia, paura, amore, voglia di cantare? No, non devo provarla, non è vero che la provo, non posso provarla". E non l'abbiamo più sentita.

Così dentro di noi abbiamo fatto un patto: "Se mostrare quello che sono fa così male non lo farò mai più". E così abbiamo fatto. Siamo diventati invulnerabili (cioè insensibili); neppure si sentono più certe cose, neppure ci riguardano (pensiamo noi). Abbiamo imparato a controllare.

Ma essere insensibili, invulnerabili pone un problema al bambino: come si fa ad essere amati? Come fa un bambino, che non viene accettato per quello che è, a ricevere amore?

Se non posso essere amato per quello che sono (ciò che ho dentro, sentimenti) sarò amato per quello che farò. Così il bambino diventa il "bravo bambino"; così si cerca di essere superiori, migliori degli altri, si cerca di emergere, di raggiungere il primo posto, sperando che "la mamma" di turno ci veda. "Se sono il migliore, vuoi che non mi accoglieranno?", pensa il bambino.
Nasce l'immagine: ci creiamo una maschera.

Il dramma però è che noi non siamo un'immagine, noi siamo noi stessi. Ciò che siamo non conterà più: sarà importante solo dimostrare di essere qualcuno.

La nostra società è così, una società dove tutto ruota attorno all'immagine, ad essere qualcuno.

Studioaperto, il telegiornale di Italia 1, un giorno di quest'estate ha fatto sei servizi su veline, calciatori, grande fratello e topless, per un totale di 13 minuti su 19.

Vincere al superenalotto o alla lotteria (per poter essere qualcuno) è il sogno di milioni di italiani.

Non solo c'è solo miss Italia, ma anche miss Padania, miss Immagine, miss Muretto, miss Sorriso.

Il sogno delle ragazzine è di arrivare ad essere famose come le veline o di accedere al Grande Fratello; quello dei maschietti è di avere tanti soldi come i calciatori.

Quando siamo insieme agli altri quante volte ci chiediamo: "Sono migliore? Sono il più simpatico? Sono il più bello? "La so più lunga"". E come ci danno fastidio e ci irritano quelli che sono "più" di noi.

Quando l'anno scorso ho pubblicato il libro delle riflessioni, agli occhi della gente ho ricevuto un sacco di punti. Uno mi ha detto: "Adesso sì che sei un grande!". E prima? Sono grande perché ho scritto un libro?

C'è una donna che è insieme ad un noto professore universitario che la tratta come la sua "pezza da piedi" buona solo per essere usata quando a lui serve. Ma lei dice di essere contenta. Si è innamorata della sua immagine. Lei lo chiama "amore", ma non è amore è solo il suo bisogno di essere qualcuno. "Se sono vicina a qualcuno importante", pensa il suo inconscio, "allora valgo".

Ad un mio compagno prete è stato chiesto di andare in una parrocchia difficile per sanare una situazione. Mi ha detto: "Sai il vescovo mi ha detto: Fammi contento, vai tu perché è una situazione difficile". Sembrava di sentire il bambino che lo fa per fare contenta la mamma, così lui si sente importante per lei.

Io stesso quando cambiai parrocchia la prima volta feci così. Mi fu detto: "Non sappiamo chi mandare lì, abbiamo pensato a te". Allora io mi sentii importante, mi senti qualcuno, speciale... e, infatti, dissi di sì (furbo!!!)!

Quando tu hai una bella casa, magari con un bel giardino, e poi la casa in montagna e la barca, ti senti qualcuno perché non tutti hanno quello che hai tu, anzi tu sei uno dei fortunati. Ma sentirsi speciali, sentirsi ricchi, superiori agli altri, è solo narcisismo: "Guarda chi sono io". Ma è solo immagine. Si cerca di essere qualcuno perché in realtà, dentro ci si sente nessuno.

La gente vuole un corpo magro e un fisico piatto: guai se c'è la pancia! Ma per togliersi la pancia deve contrarre i muscoli addominali e così riduce la respirazione. Così i sentimenti ingabbiati in questa cassa toracica non possono più uscire. Un fisico piatto è un insulto alla vita. Ma tutti lo vogliono. E' tutta apparenza.

Nella "Milano bene" per il diciottesimo compleanno i genitori regalano (5-10 mila euro!) alle loro figlie la possibilità di "rifarsi" il seno o il naso o qualcos'altro.

Se tu sei della "Milano bene" la gente del "centro di Padova" è provinciale. E se tu sei del "centro di Padova" quelli di paese sono dei "contadini". L'immagine: si ha bisogno di sentirsi superiori agli altri.

Nella "Milano bene" ciò che conta è essere sofisticati (cioè superiori, speciali): feste, baldorie, cocaina, stranezza, assenza di limiti, sesso, gioielli, cose, spriz, ecc.

Ci sono poi gli "sfigati": sono quelli che non riescono ad essere qualcuno (per cui si sentono falliti) e invidiano gli altri. Sono quelli che non sanno altro che invidiare e giudicare. Invidiano perché non riescono ad essere nessuno, e come lo vorrebbero! Giudicano gli altri perché poiché non sanno vivere la propria vita non possono far altro che pensare a quella degli altri. Siccome non riescono a salire cercano di abbassare gli altri.

Tutto questo è realmente vendere l'anima al diavolo: rinunci a te per essere qualcuno di grande. E' il tuo patto con il diavolo: vuoi essere qualcuno e per esserlo rinunci alla vita che c'è in te per diventare qualcosa che non sei. Allora diventi come il Dorian Gray di Oscar Wilde: sotto il vestito e l'immagine, non c'è niente.

Il dramma è che nessuna immagine, per quanto grandiosa sia, ti può far felice. Non lo può per definizione. E' come dire: si può vivere di sassi? No, ovvio! Bene, così l'immagine non ti può rendere vivo perché la felicità nasce dalla percezione di essere vivi, nel sentire la propria vitalità e i sentimenti che ti vivono dentro. Ma più l'immagine è grande e più i sentimenti e la vitalità sono eliminati e distrutti.

Qual è il segreto del regno dei cieli, della vera gioia, ciò per cui Gesù ha vissuto e ciò per cui è morto? Regno dei cieli è sentire la paura, l'angoscia e la tristezza, e questo ti fa umile e vicino a tutti gli uomini. Regno dei cieli è sentire la rabbia per l'ingiustizia e per la falsità della gente. Regno dei cieli è sentire l'amore che danza dentro di te e che si espande nei tuoi incontri. Regno dei cieli è avere gli occhi pieni di luce perché dentro hai la luce. Regno dei cieli sono gli occhi pieni di passione, quegli occhi che ti penetrano e che raggiungono l'anima. Regno dei cieli è abbracciarsi, toccarsi e non spolverarsi; passarsi amore, affetto e presenza. Regno dei cieli è l'incontro di due corpi che bruciano d'amore e le loro anime che si sfiorano. Regno dei cieli è non perdere mai la propria dignità anche quando si sbaglia, anche quando la si combina grossa. Regno dei cieli è poter guardare senza giudicare, toccare senza prendere, ammirare senza voler possedere. Regno dei cieli è sentirsi vivi ma così vivi da cantare per una notte intera e poter fare qualche pazzia; così vivi da voler lottare per qualcosa di significativo; così vivi che si sente "vissuta", piena e traboccante la propria vita; così vivi che si potrebbe anche morire perché si è vissuto abbastanza e perché si è felici di essere stati a questo mondo. Regno dei cieli è l'eccitazione degli occhi di un bambino quando vede la sua mamma o il gatto o quando salta di gioia. Regno dei cieli è sentirsi tra le braccia della vita e che tutto sommato non c'è proprio nulla d'aver paura. Regno dei cieli è quella fiducia profonda per cui si sa e si è certi che tutto andrà bene, molto bene. Regno dei cieli è smettere di preoccuparsi per cose futili e anche per quelle non futili. Regno dei cieli è sentirsi parte importante ed essenziale di questo mondo, voluti, benedetti, aspettati. Regno dei cieli è trovare una forza per iniziare a guarire dalle proprie malattie.

Tutto questo sarebbe la normalità. Quando nasciamo tutto questo lo conosciamo già. Invece crescendo ci insegnano a lasciare il regno dei cieli. La maggior parte della gente crede che tutto questo sia una grande "balla". E si vede! La maggior parte di noi non crede che sia possibile vivere così, e invece questo è il nostro stato naturale. Crede che sia un sogno per bambini, un'illusione per pazzi.

Lo sapeva anche Gesù questo: infatti solo pochi credettero al suo regno dei cieli. Quei pochi che gli credettero e lo sperimentarono, lasciarono tutto per questo e non furono mai più gli stessi. Gli altri lo uccisero perché era un eretico che diceva bugie, falsità e illudeva la gente.

La frase nel mezzo lega le due parabole: chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato. Dev'essere così.

Per chi mira a salire "umiliarsi " è terribile all'inizio. Umiliarsi, che vuol dire fare contatto con la propria umanità (humanitas e humilitas hanno la stessa origine), "fa davvero male". Perché quando ti togli la maschera all'inizio non trovi niente. In fin dei conti la maschera ti faceva sentire qualcuno. Non eri tu, ma almeno eri qualcosa. Adesso che sei senza, non sei più nessuno.

E' un momento difficile, duro, ma è un passaggio obbligato per ritrovare la strada verso di te. E' la conversione: quando non vivi più per l'esterno (mostrare di essere qualcuno), ma vivi a partire dall'interno, da ciò che sei tu. Solo allora inizi a sentire cos'è la vita, la senti proprio la vitalità dentro di te!

Le due parabole sono legate. La seconda mostra le conseguenze della prima e ne spiega le ragioni. Se tu non sai metterti all'ultimo posto non puoi accogliere (ospitare, invitare) chi è ultimo.

Devi salire, devi avere un posto importante, proprio perché non sai accogliere il povero, lo storpio, il cieco che è in te.

Tutti noi vorremmo essere sempre in forma, stare bene, avere sempre la parola e la battuta pronta, essere brillanti. Ma non è così. Anzi, a volte facciamo l'esperienza di essere "gli ultimi", uno schifo.

Ci guardiamo allo specchio e se siamo onesti con noi ci accorgiamo che ci piacciono solo le persone belle mentre quelle meno belle le evitiamo; che ci piace e cerchiamo chi ha un alto rango e che ci sentiamo onorati che proprio loro stiano con noi; che guardiamo le donne e facciamo pensieri non proprio nobili; che se potessimo qualche persona la elimineremo e a qualche altro un po' di male con gusto potremo anche farglielo.

Non sei così? No!? Se mi dici di no, sei pericoloso. Perché sei come il tossicodipendente che dice che lui "non si farà più; che lui se vuole, ne esce da solo e quando lui vuole": mente.

Non è bello vedersi così, vero! Eppure! Solo chi non si ascolta, solo chi non si conosce, può dire di non avere queste spinte aggressive, perverse e sadiche dentro di sé. Guai a chi non si vede così. Guai a chi crede di non vivere tutto questo. Meglio stargli alla larga.

Ci fa bene vederci così. Ci fa bene perché ci fa umili, cioè a contatto con la nostra umanità, con il nostro essere uomini. E quando qualcuno cade capisco che, in fin dei conti, quello che è successo a lui è qualcosa che, anche se io non l'ho agito, è dentro di me e dentro ogni uomo. Sono spinte che anch'io sento, che anch'io vivo. Quello che hai fatto tu so che potrei farlo anch'io.

Solo chi si può sentire ultimo può invitare gli ultimi. Solo chi si ascolta bene e conosce il proprio cuore può ascoltarti e conoscere il tuo cuore. Solo chi è vero con sé e non si mente può essere vero con te e non mentirti.

Ma chi si crede ricco non può accettare il povero. Chi dice dentro di sé: "Io quella cosa non la farò mai" non accetterà nessuno di quelli che la faranno.

Chi dice: "Io non tradirò mai mia moglie", non accetterà nessuna infedeltà. Chi pensa così si eleva sopra gli altri e dice: "Io non lo farò mai, guarda che bravo sono!". Magari non lo farà mai (bene così) ma è l'atteggiamento del presuntuoso.

Colui che sta all'ultimo posto (e magari non lo farà mai, speriamo!), invece, dice: "So che potrebbe succedere anche a me, per questo veglierò, per questo mi prenderò cura del rapporto con mia moglie e non mi metterò in situazione pericolose".

Il primo ti giudicherà a sangue, sarà spietato con te. Il secondo non ti giustificherà, ma saprà comprenderti. Vai dal secondo se sei in difficoltà ma evita il primo perché sarà spietato con te.

Il prete che dice: "Chi è separato o divorziato, niente comunione, niente battesimo e niente sacramenti" è uno che dentro di sé pensa: "Chi sbaglia, paga". Ma non si conosce, presume di sé e chissà quanto chiederà a sé, quanto rigido sarà nei suoi confronti e nei confronti degli altri. Perché non accetta la possibilità umana di errare, di commettere degli errori, di fallire. Succede, ma lui non può permetterselo perché questo distruggerebbe la sua immagine di sé, di "bravo, perfetto, di non essere un uomo poi così male". Lui non sarà mai "l'ultimo" cioè colui che sbaglia o fallisce. Per questo non può accettare chi sbaglia, chi fallisce.

Non ti sei mai sentito povero? Non ti sei mai sentito svuotato, povero di energie e depresso; non ti sei mai sentito povero d'amore, bisognoso di un abbraccio, di un contatto, anche solo di una telefonata? No?

Un uomo è single da dieci anni e sente il bisogno tremendo di una compagna. Ci "prova" un po' con tutte e accattona l'affetto. D'altronde!

Un uomo ha tutto: famiglia, figli, ricchezza, carriera. Eppure è vuoto dentro, perennemente infelice. Si sente vuoto, a volte pensa che non vale la pena di vivere questa vita.

Se tu non ti sei mai sentito "povero" (vuoto) come puoi capire (ospitare) chi è povero? I poveri non hanno accesso alla tua casa e non potranno che stare fuori. Quando verrà un "povero" gli darai una pacca sulle spalle e gli dirai: "Dai, dai, su, coraggio, non facciamoci troppe pare! Dai, dai, che ti passa! Non è niente! Stai male per queste stupidaggini?".

E - mi chiedo - se tu non ti sei mai sentito così, quale corazza ci dev'essere dentro di te? Ma siccome tu non senti la tua povertà, ti puoi permettere di giudicare le "povertà" degli altri perché ti credi superiore, fuori: a te certe cose non toccano.

Non ti sei mai sentito zoppo, storpio? Non ti è mai successo di essere incapace di fare una cosa? Non ti è mai successo di aver paura di fare una cosa che magari tutti fanno? Non ti è mai successo di sentirti svantaggiato su qualcosa rispetto agli altri?

Un ragazzo non è mai andato via in motorino (sempre in bici) e non ha proprio mai imparato. Si sente diverso, incapace, si vergogna di questa cosa, eppure è così.

In una compagnia di giovani borghesi ce n'è uno che non sa né sciare né nuotare. A i suoi amici pare impossibile, eppure è così! Lui si vergogna, si sente storpio, si sente diverso, eppure è così.

C'è un uomo che soffre di vertigini: non può proprio andare in montagna. Un altro che è terrorizzato dall'aereo. Un altro che non riesce a parlare in pubblico. C'è una bellissima donna che vorrebbe mettersi le gonne ma si vergogna terribilmente.

Ti sei mai sentito storpio, zoppo, mancante, diverso dagli altri? Magari una cosa banale che tutti fanno e che tu non riesci a fare? No? Come puoi capire (invitare) chi è così? Quando verrà uno "storpio" e ti dirà: "Ho paura a fare quella cosa", non lo potrai capire. Gli dirai: "Ma va là scemo; sì fa e basta; è semplice!". E lo giudicherai se non ne sarà capace.

E - mi chiedo - se tu non ti sei mai sentito così, quale corazza ci dev'essere dentro di te? E siccome tu non senti la tua "storpiaggine", ti puoi permettere di giudicare e magari di ridere, di denigrare quelle degli altri perché ti credi superiore, perché a te certe cose non toccano. Diciamo pure: "Hai paura di sentirle, ah!". Cadrebbe tutta la bella immagine di te che ti sei costruito e il tuo palco di invulnerabilità.

Non ti sei mai sentito cieco? Non ti è mai successo che quella cosa avresti dovuto vederla, la vedevano tutti, la sapevano tutti, ma tu no, tu proprio non l'hai vista, non l'hai voluta vedere. E quanto sarebbe stato importante vederla prima ma tu proprio non hai avuto occhi. Non ti è mai successo? Non può accadere?

Una donna veniva tradita da molti anni dal marito. In paese lo sapevano tutti, era così evidente, ma lei proprio non se ne rendeva conto. Quando l'ha scoperto è stato un terremoto. Oggi si dice: "Ma come ho fatto a non vederlo? Era così evidente! Adesso capisco!". Eppure può succedere!

Un uomo è stato "silurato" al lavoro: o va a lavorare all'estero o deve trovarsi un altro lavoro (spostare per eliminare è la solita strategia). Lui dice: "Non me lo sarei mai aspettato dal mio capo". Ma chi gli è vicino pensa: "Ma se si vedeva lontano chilometri che ce l'aveva con te!". Eppure tu non lo hai visto! Avresti dovuto vederlo, eccome!... ma non è andata così.

Una quindicenne è diventata anoressica. Un giorno è svenuta e l'hanno ricoverata in ospedale. I suoi genitori se ne sono accorti solo lì prendendosi una ramanzina dai dottori. Ma come hai fatto a non vedere? (Certo non si vuole vedere, però!). Eppure, a volte proprio non vediamo ciò che dovremmo vedere!

Ma se non ti sei mai sentito cieco come puoi comprendere, farti vicino, compatire chi è cieco? Uno così quando tu andrai e gli dirai: "Guarda proprio non me ne sono accorto", ti dirà: "Problema tuo, dovevi vederlo prima". Non potrà che giudicarti.

Quando tu non senti la tua "cecità", ti permetti di giudicare gli altri. Diciamo pure: "Hai paura di vedere che sei cieco, ah!". Cadrebbe tutta la bella immagine di te che ti sei costruito.

Una rana un giorno volle diventare come il bue. Le altre rane le dicevano: "Ma tu non puoi essere come un bue! Tu sei una rana". "Voi lo dite ma io vi farò vedere che lo potrò essere. Non sono mica come voi! Vedrete cosa sarò". E si cominciò a gonfiare. In effetti si gonfiò davvero tanto e le altre rane erano veramente colpite e ammirate da quanto fosse diventata grande. "Sono come il bue?", chiedeva la rana. "Sei veramente grande, ma non sei proprio un bue". E così continuò a gonfiarsi, a gonfiarsi che alla fine scoppiò.

Chi non si accetta non ti può accettare; chi si giudica ti giudicherà; e per chi vuol essere il primo tu sarai sempre secondo.

Pensiero della Settimana

Più sali in alto e più sarà tremendo il tonfo. E arriverà!

 

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