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TESTO Chi siamo veramente?

don Fulvio Bertellini

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XII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (23/06/2002)

Vangelo: Mt 10,26-33 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mt 10,26-33

In quel tempo, Gesù disse ai suoi apostoli: 26Non abbiate paura degli uomini, poiché nulla vi è di nascosto che non sarà svelato né di segreto che non sarà conosciuto. 27Quello che io vi dico nelle tenebre voi ditelo nella luce, e quello che ascoltate all’orecchio voi annunciatelo dalle terrazze. 28E non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima; abbiate paura piuttosto di colui che ha il potere di far perire nella Geènna e l’anima e il corpo. 29Due passeri non si vendono forse per un soldo? Eppure nemmeno uno di essi cadrà a terra senza il volere del Padre vostro. 30Perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati. 31Non abbiate dunque paura: voi valete più di molti passeri!

32Perciò chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli; 33chi invece mi rinnegherà davanti agli uomini, anch’io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli.

La parola di Gesù non è una rivelazione privata, da conservare nel proprio intimo. Inevitabilmente la fede in lui è chiamata a manifestarsi. Come un fiore che deve sbocciare: non può restare eternamente una gemma, altrimenti appassisce e muore. La paura si presenta come il principale ostacolo che si frappone alla testimonianza. Tutto questo brano si presenta come una catechesi sul timore e sulle paure che potrebbero bloccare l'azione del discepolo. La loro radice è la mancanza di fede; dar corso alle proprie paure significa in pratica rinunciare alla fede. Il che ci sconcerta non poco, e suscita in noi due domande: perché la testimonianza è così importante per il discepolo? E perché la paura così deleteria?

Il nascondimento

Nel brano appare chiaro che esiste una dimensione nascosta dell'esperienza di fede: esiste un "segreto" che viene detto "nelle tenebre" e "all'orecchio". Gesù si rivolge innanzitutto all'interiorità, va al profondo della persona, tocca il nostro cuore. La scorsa domenica abbiamo ascoltato la conversione di Matteo: come è possibile che un uomo abbandoni tutte le sue certezze, per seguire il Cristo? Non può trattarsi di un evento di poco conto. E poiché non appare nessuna costrinzione esterna, deve trattarsi di un fatto interiore, profondo: nel suo "cuore" Matteo sente il fascino della persona di Gesù e decide di seguirlo. E mentre lo segue, approfondisce costantemente la conoscenza iniziale e la sorprendente decisione di rovesciare la sua vita per Gesù.

La rivelazione

Si potrebbe essere tentati di vivere solo nell'interiorità la propria fede nel Cristo. Il che significherebbe avere come una doppia personalità: una maschera esterna, adattabile, riservata ai rapporti con il pubblico; e una personalità autentica, intima, che resta per lo più nascosta. Per Gesù una simile doppiezza non è possibile. Pur con le sue falsità e ambiguità, il contatto con gli altri rivela sempre chi siamo, e se nella nostra vita c'è realmente un posto per il Cristo. Gesù viene a salvare tutto l'uomo, interiorità ed esteriorità, anima e corpo, e in entrambi gli animi la salvezza deve manifestarsi. Sempre per restare all'esempio della conversione di Matteo, notiamo che la reale consistenza della sua amicizia con Gesù si misura nel momento in cui lascia tutto e lo segue. Non può continuare a far strozzinaggio di fuori, e seguire Gesù solo nel profondo del suo cuore.

La paura

E' dunque vera testimonianza quella che nasce dall'interiorità, da un'amicizia profonda con Gesù; la testimonianza resta invece falsata quando diventa solo esibizione, non sorretta dall'interiorità. Qui entra in gioco la paura. E in particolar modo la nostra paura fondamentale, quella di restare soli. Spesso l'identificazione con il gruppo, il "sentirsi come gli altri", la stima e la considerazione degli altri fanno da supporto ad una interiorità carente. Il che può essere comprensibile in un bambino o in un adolescente: tutti impariamo che valiamo, come persone, perché abbiamo goduto dell'affetto dei genitori prima, e della stima e della considerazione degli amici poi. La persona adulta invece sa di valere per se stessa, indipendentemente da ciò che le viene detto dall'esterno; e il credente trova nel rapporto con Dio un potente fattore per la crescita della propria identità. I grandi personaggi biblici (Abramo, Giacobbe, Mosè, Isaia, Geremia, Giobbe...) scoprono chi sono veramente soltanto attraverso il confronto - a volte la lotta - con Dio; e in questa esperienza fondamentale si ritrovano ad essere soli. Una solitudine che fa paura.

Chi siamo?

Quando l'evangelista scrive queste parole di Gesù, ha probabilmente di fronte una comunità sofferente, perseguitata, in cui la testimonianza comporta il rischio della vita. Per noi non è così, per adesso. La testimonianza della fede non comporta per noi il rischio della morte, ma il rischio della solitudine. Di non essere capiti. La frustrazione del nostro bisogno di "sentirci come gli altri", per puntellare la nostra fragile identità. Della nostra sete di consensi e di stima. Per cui siamo cristiani quando fa comodo, quando conviene, quando comporta riconoscimento. E ci nascondiamo quando non conviene più. Gesù non ci invita a sbandierare la nostra fede, ma semplicemente ad essere noi stessi. A manifestare la nostra autentica interiorità. Dove convivono paura e coraggio. Amore di Dio e calcolo. Amicizia con Gesù e orgoglio, invidie, risentimenti. Chi siamo veramente? Nel momento della testimonianza non solo esprimiamo la nostra identità, ma le diamo anche forma, la costruiamo. E non possiamo aspettare: perché anche la non testimonianza dà una forma negativa alla nostra identità. Ma in quali scelte si gioca la nostra testimonianza oggi?

Flash sulla I lettura

Il profeta annuncia una parola scomoda: il peccato del popolo e la sua imminente catastrofe. I suoi concittadini lo prendono per un disfattista e un collaborazionista, in combutta contro i nemici stranieri che opprimono il popolo, dopo aver posto fine all'indipendenza politica del regno di Giuda. Anche gli amici di un tempo sono diventati ostili al profeta e aspettano soltanto un suo passo falso per vederli cadere.

Mentre tutti lo abbandonano, il profeta si rivolge a Dio: questa è appunto la suo preghiera.

"Possa io vedere la tua vendetta su di essi": sembra un'affermazione violenta e indegna di un profeta, che parla a nome di Dio. Ma proprio perché parla a nome di Dio, Geremia non può restare indifferente al male, anche se viene perpetrato nei suoi confronti. Ma la vendetta è lasciata a Dio, non è il profeta che si fa giustizia da solo. Nella dura esperienza della solitudine, Geremia sperimenta la protezione di Dio.

Flash sulla II lettura

Tutto questo difficile brano è incentrato sul confronto tra Adamo e Cristo. Adamo è l'emblema dell'umanità segnata dal peccato e dalla morte, e in capace di risollevarsene. Questa situazione non rimane confinata ad un solo individuo, ma si estende a tutti: Paolo allude ad una misteriosa solidarietà nel male, per cui tutti vengono messi in condizione di peccare, e di fatto peccano, e si allontanano da Dio; fonte della vita.

"Se infatti per la caduta di uno solo morirono tutti, molto più la grazia di Dio e il dono concesso in grazia di un solo uomo, Gesù Cristo; si sono riversati in abbondanza su tutti gli uomini": la figura di Adamo permette a Paolo di mostrare l'efficacia salvifica della persona di Gesù. Come è bastato un solo uomo per far cadere tutta l'umanità nel peccato, così in Cristo tutti possono essere salvati.

 

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