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TESTO Ma che pretese hai con Dio?

don Alberto Brignoli   Amici di Pongo

XXI Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (22/08/2010)

Vangelo: Lc 13,22-30 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 13,22-30

In quel tempo, Gesù 22passava insegnando per città e villaggi, mentre era in cammino verso Gerusalemme. 23Un tale gli chiese: «Signore, sono pochi quelli che si salvano?». Disse loro: 24«Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno. 25Quando il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta, voi, rimasti fuori, comincerete a bussare alla porta, dicendo: “Signore, aprici!”. Ma egli vi risponderà: “Non so di dove siete”. 26Allora comincerete a dire: “Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze”. 27Ma egli vi dichiarerà: “Voi, non so di dove siete. Allontanatevi da me, voi tutti operatori di ingiustizia!”. 28Là ci sarà pianto e stridore di denti, quando vedrete Abramo, Isacco e Giacobbe e tutti i profeti nel regno di Dio, voi invece cacciati fuori. 29Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio. 30Ed ecco, vi sono ultimi che saranno primi, e vi sono primi che saranno ultimi».

Almeno una volta, nella nostra vita di credenti, ci saremo chiesti: "Mi salverò oppure no?". Quantomeno, ci siamo posti la domanda sulla salvezza, la nostra, ancor prima che quella universale instaurata da Cristo con la sua venuta nel mondo: cosa significa "salvarsi"? Cosa vuol dire, e come avviene? Cosa bisogna fare per "salvarsi"?

Sicuramente, la storia della Chiesa, soprattutto la letteratura spirituale cristiana, ha offerto ai fedeli di ogni tempo le più svariate risposte e soluzioni. Da una serie di pratiche e comportamenti, ad esortazioni e pensieri come il proverbiale "Chi prega si salva, chi non prega si danna", ciò che è stato prospettato ha spesso offerto una chiave di lettura "in controluce", "in negativo", potremmo dire: ossia, salvarsi significa fondamentalmente cercare di raggiungere il premio sospirato del Paradiso attraverso atteggiamenti che liberino il credente dai vincoli di questo mondo, visto quasi sempre come luogo di peccato e di malvagità, puntando ad una vita virtuosa che sia il più possibile segno del nostro cammino verso la perfezione.

Sarà anche teologicamente e spiritualmente corretta, ma a me pare una visione un po' limitata. Non posso proporre la salvezza "personale" (già di per sé limitata, se vissuta individualmente) solamente come cammino di liberazione dal peccato; devo anche prospettare verso quale meta cammina la mia liberazione (è il concetto di "liberi da" e "liberi per", che diverse scienze umane ci insegnano).

In questo senso, ci può essere di aiuto l'etimologia latina della parola "salvezza", intesa come "salute", come "stare bene", "sentirsi bene". Se l'uomo di fede trova la massima espressione del suo "stare bene" nel momento in cui "sta" con il Bene Supremo della propria esistenza, ci risulta abbastanza naturale dire che la salvezza è "stare con Dio" e con Gesù suo Figlio, che ce lo ha rivelato. Ecco allora che la discriminante della salvezza non è data dall'insieme dei gesti compiuti per adempiere a delle credenze, ma dall'unione profonda del credente con Dio in Cristo. Se con Dio ci sto male, se la mia vita in unione con Cristo non mi realizza e non mi rende felice, non posso dirmi salvato, anche se da cristiano ho vissuto una vita asceticamente ed eticamente ineccepibile.

E allora, la questione del "Sono pochi quelli che si salvano?", provocatoriamente avanzata da quel tale che imbecca Gesù nel Vangelo di oggi, non può essere posta sotto l'aspetto "quantitativo" per il quale si formerebbe un "gruppo" di eletti che venga certificato come tale perché vive alla perfezione la propria religiosità in funzione della salvezza; la questione va piuttosto posta sotto l'aspetto della nostra adesione a Cristo e alla sua Parola. Se la salvezza è stare con Cristo, è fuori di dubbio che tutta la vita di fede del cristiano va letta in prospettiva di lui, finalizzata all'incontro con lui.

Mi balena alla mente un'immagine efficace, che viene dagli studi di geometria che tutti abbiamo fatto nelle scuole medie, ed è quella del "punto focale", ovvero quel punto verso cui convergono tutte le linee di un disegno di cui viene tracciata la prospettiva centrale. Nell'arte, ancor meglio, il punto focale indica quell'area del dipinto verso cui l'occhio dell'osservatore è più facilmente indotto a guardare. La salvezza mi pare proprio come un mettere la nostra vita in prospettiva di Cristo, in funzione di lui, che diventa il "punto focale" verso cui convergono non solo i nostri sguardi, ma tutta la nostra vita. E un punto focale non è certo un'area di grandi dimensioni: è un'area ristretta attraverso cui necessariamente i nostri sguardi devono passare per comprendere la totalità della prospettiva dell'opera.

È come dire che possiamo comprendere nella sua totalità il disegno che Dio ha sulla nostra vita solo nella misura in cui ci indirizziamo verso quest'area ristretta che è l'incontro con Cristo. Un'area ristretta, appunto: come quella "porta stretta" attraverso la quale il Signore ci invita ad entrare con sforzo e sacrificio, non perché lui goda nel vederci soffrire, e nemmeno perché la salvezza sia un fatto di sofferenze (a volte comunque necessarie), ma perché non c'è altra possibilità di salvezza per il credente se non quella di stare in stretta comunione con Cristo, punto centrale e focale della nostra esistenza con cui ognuno di noi è chiamato inesorabilmente a confrontarsi. Pena l'esclusione dalla salvezza.

E questo nonostante il nostro "palmares" sia pieno di buone opere e di pretese da avanzare nei confronti di Dio in virtù dei nostri ineccepibili comportamenti. Il catechismo tradizionale ci ha insegnato che tra i sei peccati contro lo Spirito Santo esiste la "presunzione di salvarsi senza meriti": e io specificherei ulteriormente, e parlerei di "presunzione di avanzare dei meriti per i quali sentirsi sicuri di essere salvi". Credo sia il significato della micro - parabola di oggi.

Un gruppo di "esclusi" dal banchetto del Regno di Dio si mette a protestare nei suoi confronti, chiedendo che venga loro aperta "la porta stretta". E di fronte a una negazione del padrone di casa, dovuta alla sua non conoscenza dei soggetti ("Non vi conosco, non so di dove siete"), ecco la pretesa della salvezza avanzata attraverso una serie di attributi, titoli, meriti che a detta loro li rende sufficientemente accreditati per ottenere l'ingresso al banchetto del Regno: "Ma come? Siamo noi, dai, aprici! Abbiamo mangiato e bevuto con te, e tu hai insegnato nelle nostre piazze!".

Quanta drammatica attualità in questo avanzamento di pretese nei confronti di Dio! Quanti cristiani - o presunti tali - sentiamo oggi ragionare di fronte a Dio con parole simili: "Signore, aprici! Siamo noi! Siamo quelli che si siedono al tuo banchetto, all'Eucaristia, quelli che non hanno mai perso una messa domenicale, quelli che sono cristiani per davvero, quelli che non nascondono l'evidenza della loro identità cristiana! Noi siamo quelli che hanno il distintivo di cristiano, noi ti portiamo nelle nostre piazze, noi ti appendiamo nelle nostre aule! E tu pure sei venuto nelle nostre piazze, hai condiviso le feste con noi, sei entrato a benedire le nostre case, i nostri negozi, i nostri affari: dai, non puoi lasciarci fuori! Siamo i tuoi fedelissimi, quelli del tuo partito, quelli che non ti hanno abbandonato mai! Non è possibile che non siamo salvati! Perché vuoi lasciarci fuori?"

La risposta del padrone di casa, ossia il giudizio di Dio su di loro, è senza mezzi termini: "Allontanatevi da me, perché siete operatori di ingiustizia! Allontanatevi da me, perché le vostre opere appaiono come buone, ma il vostro cuore è lontano da me. Allontanatevi da me, perché il vostro concetto di giustizia è avanzare delle pretese nei miei confronti, è farmi fare ciò che voi volete fare, è farmi dire ciò che voi volete dire! Voi vedrete entrare al banchetto del Regno coloro che hanno messo me al centro della loro vita come punto focale, come passaggio ineludibile, a partire dai patriarchi, fino ad arrivare ai molti giusti che, in ogni tempo e in ogni luogo, pur senza conoscermi così bene come voi hanno vissuto secondo il mio cuore e secondo la mia giustizia! Coloro che voi ritenevate ultimi, ecco ora sono i primi ad entrare al banchetto. E voi, convinti di essere i primi, sarete ultimi e ne resterete esclusi".

Io non ho nessuna intenzione, un giorno, di sentirmi dire così da Dio: e allora, cerco di avviarmi sulla via della salvezza, senza avanzare nei suoi confronti alcuna pretesa legata alla mia appartenenza religiosa o, ancor più, alla mia consacrazione o al mio incarico nella Chiesa, ma con l'unica presunzione, nella consapevolezza dei molti miei limiti, di sforzarmi di mettere Lui al centro, come punto focale della mia esistenza.

Il quadro lo dipinge lui: io proverò solo a mettere una bella cornice, e poi contemplerò la sua opera.

 

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