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TESTO La tardiva ricompensa è sempre la migliore

padre Gian Franco Scarpitta  

XXII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (29/08/2010)

Vangelo: Lc 14,1.7-14 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 14,1.7-14

Avvenne che 1un sabato Gesù si recò a casa di uno dei capi dei farisei per pranzare ed essi stavano a osservarlo.

7Diceva agli invitati una parabola, notando come sceglievano i primi posti: 8«Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto, perché non ci sia un altro invitato più degno di te, 9e colui che ha invitato te e lui venga a dirti: “Cedigli il posto!”. Allora dovrai con vergogna occupare l’ultimo posto. 10Invece, quando sei invitato, va’ a metterti all’ultimo posto, perché quando viene colui che ti ha invitato ti dica: “Amico, vieni più avanti!”. Allora ne avrai onore davanti a tutti i commensali. 11Perché chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato».

12Disse poi a colui che l’aveva invitato: «Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici né i tuoi fratelli né i tuoi parenti né i ricchi vicini, perché a loro volta non ti invitino anch’essi e tu abbia il contraccambio. 13Al contrario, quando offri un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; 14e sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Riceverai infatti la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti».

Inutile sottolineare, leggendo queste pagine il valore dell'umiltà, che risulta essere non soltanto una caratteristica e una condizione irrinunciabile del cristiano, ma anche una posizione privilegiata conveniente per tutti, che a lungo andare risulta tanto proficua quanto illusoria e dannosa è la vanagloria, l'altezzosità e l'arroganza di chi presume di ergersi sugli altri.

L'umiltà non è soltanto una condizione per essere graditi a Dio; non solamente è la rampa di lancio per la disposizione alla fede e per l'esercizio della carità effettiva ed operosa, ma offre anche tutte quelle garanzie e quelle soddisfazioni che di fatto ci precludono superbia, arroganza, amor proprio ed eccessiva autoesaltazione. Certo, le ricompense dell'umiltà non sono immediate, poiché questa virtù non di rado richiede l'accettazione delle altrui prevaricazioni, di ingiustizie, sopraffazioni e cattiverie che ci costringono a veder esultare chi non lo merita e al contempo piangere e disperare chi avrebbe diritto a copiosi frutti di ricompensa. Essere umili non di rado comporta che si venga esclusi ed emarginati e che si debba essere disposti ad accettare il male per il bene, a volte accettando di svolgere il servizio o il lavoro di altri per ottenere anche delle critiche e ingiurie come ricompensa. In una parola, essa comporta l'umiliazione, che è l'occasione effettiva per l'addestramento ad essa poiché nell'accettazione di situazioni umilianti, che pure stremano e deprimono, si ha l'occasione di essere sempre più umili e dimessi, assumendo un atteggiamento gradito a Dio e dignitoso di fronte agli altri. Umiliazione ed umiltà sono percorsi molto difficili e contorti che si preferirebbe non dover esperire e che di norma si preferirebbe eludere; di fronte alla pena di contristanti umiliazioni si vorrebbe anche abbandonare la corsa e non di rado si ha anche la tentazione a rinunciare ad essere cristiani: "perché i malvagi vincono e poveri piangono?" si domanda il Qoelet. Concludendo che tutto è vanità e un inseguire il vento.

E tuttavia, per quanto assillante e penosa possa sembrarci l'umiltà, spesso alimentata dall'umiliazione, conduce a traguardi tardivi e tuttavia molto più promettenti delle fugaci soddisfazioni immediate colte da coloro che godono di un apparente successo subitaneo: "i malvagi che oggi ridono, domani piangeranno" (Sal 72, 13-20) e a lungo andare chi gioisce solo dopo numerose lacrime gode di una letizia maggiore e molto più duratura.

Occasioni di umiliazione me ne sono capitate diverse nel corso del mio ministero pastorale e tutte hanno contribuito a che in me non prevalesse la presunzione e l'orgoglio, ma il fare semplice, umile e dimesso che ad esse ogni volta è conseguito ha sempre apportato le sue soddisfazioni. Esperienze di attività pastorale molte volte accompagnate da delusioni e atti di ingratitudine da parte di terzi hanno sempre risvegliato nel sottoscritto la consapevolezza che nulla noi possiamo se non è Dio per primo ad operare in noi; che nessuna opera ci appartiene e nulla è dovuto alla nostra bravura o alla nostra intraprendenza, ma che i risultati appartengono sempre a Colui che è il padrone della storia.

In una determinata circostanza, all'inizio del mio ministero sacerdotale, avvenne che dopo che ebbi costruito un piccolo oratorio in un rione di Napoli accogliendo diversi ragazzi della zona, sfruttando al massimo tutte le mie energie e le risorse economiche, la mamma di uno di questi ragazzi mi disse "tu con la gente e con i ragazzi non ci sai fare". Eppure avevo creato tante cose per ragazzi. Come anche in un'altra occasione, quando mi trovavo a dirigere un altro oratorio di ragazzi, giovani e adolescenti avendo approvato e proposto parecchie iniziative, fui accusato erroneamente da alcuni ragazzi di "fare discriminazioni fra tutti" e deliberarono quindi che fosse l'altro mio confratello a prendere le redini dell'oratorio. Lasciai che così avvenisse, ma non passò molto tempo che essi si pentirono della loro scelta e richiamarono me alla guida dell'opera confessando di aver commesso un errore. Come pure quell'altro giovane che mi disse che mi sarei dovuto trasferire altrove solo per un'osservazione che avevo fatto... E di fatto me ne andai (fui trasferito il mese seguente) per svolgere ruoli più gratificanti, ma non mi è sembrato che la presenza di un altro al mio posto lo abbia reso soddisfatto... In circostanze come queste mi domando sempre quale sia l'atteggiamento più idoneo di reazione, come occorre rispondere, come ribattere e quali provvedimenti adottare; il tempo comunque dà sempre ragione a chi davvero è nel giusto, mostrando soddisfazioni e ricompense proporzionate, per cui non posso che concludere che se certe cose mi hanno fatto soffrire esse hanno apportato per me motivo di soddisfazione e di esultanza anche se non immediata, mostrandosi come opportunità nelle quali ci si può temprare, fortificare e trovare nell'umiltà la migliore condizione per vincere ogni battaglia.

Per questo motivo, sulle orme dell'insegnamento evangelico odierno, ritengo conveniente non aspirare alle alte posizioni o ai gradi altolocati e fuggire ogni sorta di vanagloria e di presunzione: meglio accontentarsi dei posti semplici e delle posizioni meno onorifiche perché non avvenga che da esse si possa precipitare. La parabola di Gesù sotto questo aspetto è abbastanza chiara affermando che ad ogni banchetto, come pure in ogni situazione della nostra convivenza collettiva, è preferibile prendere le distanze dai primi posti perché certamente avverrà prima o poi che qualche altra persona più "degna", cioè qualcuno che secondo la comune mentalità è "uno che conta" non ti costringa a passare agli ultimi siti del desco. Al contrario, prediligere le situazioni semplici e le posizioni modeste e non di rilievo accettando eventuali deprezzamenti che esse possano comportare, avrà senz'altro la conseguenza inaspettata che qualcuno "che conta" possa notare la tua bravura, la tua sollecitudine e il tuo zelo nel nascondimento, invitandoti egli stesso a passare ai primi posti. L'umiltà infatti, appunto perché ci affranca da ambizioni assurde e libera dal peso di inutili gravami di arrivismo e di potere che ci lasciano sempre nell'ansia e nell'insoddisfazione, apporta sempre la bontà delle azioni, la rettitudine, l'impegno e la buona volontà, come pure altre virtù che non possono non passare inosservate.

Il Siracide pertanto (I lettura) afferma che la condizione del superbo è misera, mente la mitezza e il fare dimesso sono cosa gradita a Dio e l'atteggiamento del semplice è molto più conveniente e proficuo dell'altezzosità e della vanagloria del borioso e dell'arrogante. Sempre Gesù poi ci ragguaglia su come l'umiltà è condizione della carità sincera e dimessa che è sempre disinteressata e non cerca mai il contraccambio altrui: "quando offri un banchetto invita coloro che non ti possono ricambiare per avere la ricompensa al momento della resurrezione."

La ricerca dei posti più semplici e la fuga dalla vanagloria e dalla presunzione sono la via segreta del successo quando questo tuttavia comporti sempre e comunque l'esercizio della fede e della carità ravvivando la fedeltà al Signore, che è l'unico garante dei nostri buoni propositi e dei traguardi che ci prefiggiamo e l'umiltà è anche la dimensione del vissuto onesto e integerrimo che è alla base della perfezione.

 

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