PERFEZIONA LA RICERCA

FestiviFeriali

Parole Nuove - Commenti al Vangelo e alla LiturgiaCommenti al Vangelo
AUTORI E ISCRIZIONE - RICERCA

Torna alla pagina precedente

Icona .doc

TESTO Se una cosa deve essere fatta, si deve fare

Marco Pedron  

XXI Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (22/08/2010)

Vangelo: Lc 13,22-30 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 13,22-30

In quel tempo, Gesù 22passava insegnando per città e villaggi, mentre era in cammino verso Gerusalemme. 23Un tale gli chiese: «Signore, sono pochi quelli che si salvano?». Disse loro: 24«Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno. 25Quando il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta, voi, rimasti fuori, comincerete a bussare alla porta, dicendo: “Signore, aprici!”. Ma egli vi risponderà: “Non so di dove siete”. 26Allora comincerete a dire: “Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze”. 27Ma egli vi dichiarerà: “Voi, non so di dove siete. Allontanatevi da me, voi tutti operatori di ingiustizia!”. 28Là ci sarà pianto e stridore di denti, quando vedrete Abramo, Isacco e Giacobbe e tutti i profeti nel regno di Dio, voi invece cacciati fuori. 29Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio. 30Ed ecco, vi sono ultimi che saranno primi, e vi sono primi che saranno ultimi».

Gesù procede nel suo cammino verso Gerusalemme. Nel vangelo di Lc viene sempre detto e ripetuto che Gesù camminava. Gesù era sempre in cammino. Non è soltanto un'annotazione descrittiva ma piuttosto simbolica, indice di una disposizione dell'anima.

Se non sei in cammino sei fermo. Se sei fermo non vai da nessuna parte.

Le persone vive, camminano, si muovono, cambiano, divengono, si trasformano, scelgono. Le persone morte rimangono fisse, stabili, si irrigidiscono, si intestardiscono, si impuntano.

Vi siete mai chiesti perché si dice "seguire il Signore"? Perché seguire è camminare. Non si può seguire il Signore e rimanere gli stessi, nelle stesse idee, con gli stessi punti di vista.

"Mio padre faceva così e lo faccio anch'io!": bravo!. Vuol dire che la tua vita non ha senso. Se tu copi tuo padre, se fai come lui, allora tu sei una fotocopia, anche se tu non ci fossi non cambierebbe niente. Allora la tua vita è inutile perché c'è già stata.

"Io ho imparato così!": bravo! Tu non sei mica tuo figlio; i tuoi genitori non sei te come genitore; il loro tempo non è questo tempo.

"Qui si è sempre fatto così": bravo! Vuol dire che non ti poni neppure certe domande, tu replichi. Questo andava bene per i precedenti, ma oggi ci sono altre persone, altri bisogni, altre necessità. Se tu applichi questi modi vuol dire che neppure ti chiedi chi hai davanti: tu esegui, tu ripeti, vai in automatico. E' come dar da mangiare un cibo di cento anni fa ad un uomo di oggi: ha cento anni, è vecchio, è scaduto!

E' per questo che la gente è triste e insoddisfatta: perché replica. Si sforza di essere come altri o, per non impegnarsi, copia altre vite. Ma nello stesso istante in cui io voglio essere come un altro, non sono più come me. Così passano tutta la vita a diventare qualcosa che non sono e si dimenticano di quello che sono.

Ho chiesto ad un prete cosa pensasse del caso Welby (l'uomo che ha chiesto di morire, a cui non sono stati concessi i funerali religiosi: triste che la chiesa rifiuti ad un uomo le esequie!) e lui, forse pensava di essere simpatico!, ha detto: "Io la penso come il vescovo!". Bravo! Tu non hai un tuo pensiero? Tu non ti sei fatto un'idea? Tu esegui? Tu ti conformi? Allora sei inutile, allora non servi a niente, perché il tuo pensiero ce l'ha già qualcun altro, e il tuo, quindi, è in più.

E' molto semplice verificare se si è discepoli del Signore. Basta farsi alcune domande: "Dico le stesse preghiere di dieci anni fa? Ho lo stesso modo di pregare? Ho la stessa fede, lo stesso credere?". Se la risposta è sì, allora sono stati dieci anni inutili.

"La mia immagine di Dio è la stessa di dieci anni fa? Il mio modo di confessarmi è lo stesso di dieci anni fa?". A otto anni confessavi: "Padre, ho detto le parolacce... le bugie... non ho detto le preghierine...". Se a quarant'anni confessi ancora: "Bugie... parolacce... non ho detto le preghiere... mormorazioni", allora hai ancora otto anni! Da un punto di vista dell'anima sei rimasto lì.

Seguire il Signore vuol dire che oggi non sono dove ero ieri, vuol dire essere in un processo di continuo cambiamento, di continua trasformazione, di continua conversione.

Il tuo carattere è lo stesso di quello di dieci anni fa? Se sì, hai perso dieci anni! Il modo di amarti fra te e tua moglie è lo stesso di dieci anni fa? Se sì, hai perso dieci anni! Il tuo modo di rapportarti con tua madre è lo stesso di dieci anni fa? Se sì, hai perso dieci anni!

Una persona ha cambiato casa. Gli dico: "Dove sei andata ad abitare?". "Ah, sono rimasta nel mio paese. Mi sono spostata solo di cento metri. Sai, è bello sapere e trovare tutti quelli che la pensano come te!". Oddio che tremendo!

La gente è orgogliosa quando tutti la pensano come lei, quanto tutti hanno le stesse idee (e si rinforzano poi nella stessa idea fino a convincersi). Invece è una tragedia. Se tu stai con quelli che la pensano come te, non crescerai mai. Evolvere è incontrare il diverso, gente nuova, gente diversa, idee diverse, posizioni diverse. Quelle "come te" le conosci già!, non ti servono. Sono rassicuranti (per forza non ti mettono in discussione!) ma non ti servono per andare avanti, per procedere, per crescere.

Il più grande comando della vita è evolvere, andare avanti, procedere, camminare, divenire.

Lungo la strada un uomo gli pone una domanda. Sono quelle domande da curiosi, da gente che "spettegola", da scoop, da "ultima notizia".

"Sono pochi quelli che si salvano?". Gesù non risponde né sì né no: non gli interessa soddisfare la curiosità mentale; e forse neppure lo sa.

Non è questo il punto! Gesù fa passare dall'esterno ("essi si salvano") all'interno ("sforzatevi.... comincerete a bussare... vi risponderà... allontanatevi da me... vedrete... e voi cacciati fuori"). Che ti frega degli altri? Pensa, concentrati e focalizzati sulla tua vita. Più uno parla e si interessa della vita degli altri e meno è capace di vivere la propria. Il punto sei tu.

L'immagine è dura, forte, decisa. Gesù sembra non fare sconti ed essere particolarmente crudele. Come si concilia quest'immagine così forte con il Gesù misericordioso? Gesù ci presenta nel vangelo un Dio che è Padre buono, che ama alla follia, buon samaritano, padre che aspetta il ritorno del figlio prodigo, che ti cerca, che perdona ogni cosa, che accoglie tutti.

Perché qui c'è da aver paura di Dio. Quando quelli fuori gli dicono: "Signore aprici!", Dio non ha dubbi o ripensamenti: "Non vi conosco, non so di dove siete". E quando quelli fuori insistono, lui risponde perentorio senza ripensamenti: "Vi dico che non so di dove siete. Allontanatevi da me voi tutti operatori di iniquità!". E dove ci manderà sarà "Pianto e stridore di denti", e vedremo gli altri nel benessere e nella gioia, e noi fuori.

Sono immagini del tempo ma vanno prese in considerazione. Non indicano una condanna: "Se non fai come dico io ti punisco". Questo era nostro padre che diceva così. Dio non è vendicativo. Non è che se ci comportiamo male, che se non facciamo secondo le sue regole Lui, per vendetta, ce la fa pagare.

Indicano una conseguenza: tutto quello che fai ha delle conseguenze. Stai attento perché certe scelte, un certo vegetare, un certo vivere senza farsi domande, un certo massificarti ti porta a fare questa fine.

Le cose si fanno sempre in due! Ogni relazione, ogni legame è costituito da due elementi. E' un po' come quelle persone che dicono: "Ah, padre, mia moglie ha distrutto il mio matrimonio". "Ah, sì, e tu dov'eri finché lei distruggeva il tuo matrimonio?". Dormivi? Tu non esistevi?

La madre di una ragazza di vent'anni: "Se mi capita sotto le mani quel bastardo di quel ragazzo lo uccido. Si rende conto di cos'ha fatto? (Sua figlia era incinta!)". "Ma, sua figlia dov'era? Ha fatto tutto da solo?".

Dio è grande, misericordia infinita, mani che accolgono ogni creatura. Dio tende la sua mano verso di te. Ma poi c'è anche l'altra parte: la tua mano. Tu devi tendere la tua. Sono su questo versante le parole dure, crude, forti e sferzanti di Gesù. Se tu non tendi la tua mano verso di Lui per quanto Lui tenda la sua, non c'è l'incontro.

Non è di Dio che dobbiamo aver paura. Se qualcuno dobbiamo temere è l'uomo, noi stessi.

L'immagine è quella della porta. La porta in tutte le culture indica un passaggio, un evoluzione spirituale. La porta fa passare dal fuori al dentro, dall'esterno all'interno. Indica un passaggio di zona. La porta, come il ponte, permette di passare dal mondo profano a quello sacro, spirituale. Per questo in numerosi templi le porte sono sorvegliate da draghi, cani, leoni, santi o divinità: può entrare solo chi ne è meritevole, cioè, consapevole e quindi degno.

Gli Egizi conoscevano il Ro Stau, un santuario dove le porte conducevano al mondo inferiore. I Romani conoscevano due porte dalle quali passavano i sogni usciti da Ipnos: una di corno per i sogni di verità e una d'avorio per i sogni menzogneri. Gli Induisti conoscono il Dio elefante Ganesha e il Dio toro Nardin, guardiani delle porte. I Cinesi conoscono la porta degli Spiriti e la porta dei Demni.

La porta aperta evoca accoglienza, calore, libertà, accesso; la porta chiusa evoca rifiuto, esclusione, imprigionamento. Tutti noi conosciamo le espressioni: "Essere messo alla porta; chiudere la porta in faccia; sbattere la porta".

Cosa vuol dire allora quest'immagine?

Bisogna sforzarsi, bisogna fare, compiere certi passaggi nella vita altrimenti si muore (dentro). Bisogna operare delle evoluzioni, entrare in certe situazioni, in certe questioni, affrontare certe paure. Perché viene un momento in cui è troppo tardi, viene un momento in cui non c'è più niente da fare. Allora la vita stessa ci dirà: "Non ti conosco! Troppo tardi! Dovevi pensarci prima! Adesso!?". Ma non è una punizione della vita, è una conseguenza del nostro agire.

Sforzarsi, in greco, agonizomai, vuol dire "lotto, combatto, gareggio". Indica una difficoltà.

Nessuno dice che certe questioni siano facili, ma bisogna passarci dentro, bisogna affrontarle. Forse fanno paura; forse faranno piangere; forse creeranno tensione o lacerazione o separazione. Ma se le lasci lì, se fai finta di niente verrà un giorno in cui sarà troppo tardi, in cui non ci sarà più niente da fare.

Nessuno ha mai detto che crescere sia facile: a volte è doloroso, a volte ti costringe a scegliere, a volte "fa male". Ma bisogna entrare dentro, bisogna affrontare certe questioni, bisogna compiere certi passaggi.

La maggior parte della gente è infelice. Lo si vede da come ha bisogno di giudicare, di parlare male degli altri, di invidiare, di avere "giocattoli" (gioielli, auto, vestiti, successo, apparizioni in tv, ecc) per sentirsi viva. Un giocattolo però non riscalda l'anima e quindi dura poco.

Molti dicono: "Ma io sono cristiano: Io prego; io vado in chiesa quasi tutte le domeniche; io non ho mai fatto male a nessuno; io mi sono sempre comportato bene; io non rubo a nessuno e non sono disonesto", ("Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze..."). Non è sufficiente. Tu sei rimasto fuori della tua anima per questo non hai accesso alle fonti della vita.

Vedete, dire delle preghiere è una cosa. Ma prendersi cura delle voci dell'anima è un'altra questione. Se tu vai dentro allora inizi a sentire che dentro di te ci sono urla, rabbie, grida. Senti la paura di rimanere da solo, la rabbia per il tempo che passa, le ferite antiche, i traumi infantili. Ci sono le voci perverse e quelle rabbiose, quelle potenti e quelle aggressive. E che si fa?

Basta rimanere fuori e ti eviti il problema. Ma per non sentire tutte queste voci ti devi chiudere, devi ovattare il tuo cuore da non sentirlo più; ti devi allontanare così tanto, per non sentirle, che ti dimenticherai la strada del cuore.

Allora una mattina ti svegli e dici: "Non provo più niente; niente mi entusiasma più; non amo più; sono vuoto". Per forza, e cos'altro potevi pretendere? Hai vissuto fuori di te, fuori casa, e a forza di vivere fuori hai perso la casa!

C'è un bambino che ha gli occhi della paura. Si è perfino bloccato fisicamente da quanto terrore ha: non cresce più, è rimasto piccolo di statura. Sua madre urla in continuazione e lo picchia sempre e di continuo. A scuola il bambino è stato bocciato perché "non ci arriva", dicono i professori. Sua madre è furente perché "Non si impegna; è un testone" dice lei. Vogliamo rimanere fuori od entrare dentro? Qual è il vero problema? Il vero problema è che tu hai un problema, che sei aggressiva, che hai un leone dentro che si scarica con lui. Ed è bene entrarci subito nel problema perché verrà un giorno in cui sarà troppo tardi.

E' inutile dire: "Ma io vado in chiesa! Ma io gli voglio bene!": cosa c'entra con la questione? A sedici anni o a diciotto potrebbe essere troppo tardi. E sarà falso dire: "Che sfortuna, guarda che figlio che ho avuto? Ma guarda gli altri che bei figli, e guarda il mio cos'è diventato!".

Quando succede qualcosa di forte, di doloroso, di tragico che ci tocca da vicino, le nostre prime espressioni sono: "Non ci posso credere! Non può essere! Non è possibile!". E' la negazione di ciò che è successo: è successa una cosa, un evento che non ti saresti aspettato e lo neghi. E' normale! Ma se poi continui a negare allora non è più normale. Allora è solo un modo per non soffrire (agonizomai, sforzarsi, lottare), per evitare di compiere un passaggio, un evoluzione, una crescita.

Senti di non poter vivere senza tua moglie e per non perderla accetti tutto. Sei il suo tappetino. Che si fa? Si entra. "Ma ho paura?". Se rimani fuori la perderai (fisicamente o nell'anima)!

Vuoi qualcosa di diverso, di più, dalla tua sessualità. Che si fa? Si entra dentro al problema. "Ma è difficile!". "E vero, lo è. E allora?". Attento perché un giorno sarà troppo tardi!

C'è una ragazza (trent'anni) che vorrebbe uscire di casa. Ma sa che sua madre (senza marito) poi rimarrebbe da sola. Sua madre le dice: "Ma stai qui; non paghi affitto, io ti lavo, ti stiro, ti preparo da mangiare; fai quello che vuoi, non ti do regole, né orari, che motivo c'è di andarsene?". Il motivo che lì è sempre figlia! Che si fa? Si entra nel vero problema o ci si giustifica: "Ma sì, in fondo che differenza c'è tra vivere qui con lei e da sola. Tanto qui faccio quello che voglio".

Un uomo ha dei mal di schiena terribili che lo bloccano a letto. Ogni volta che va in conflitto con uno dei suoi capi non riesce a "disarcionarlo", a confrontarsi, a reggere il faccia a faccia, abbassa la testa e subisce (conflitto di svalutazione di sé). Preferisce cambiare lavoro, piuttosto che reggere il confronto. La cosa è molto antica perché il "capo" è suo padre. Anche da bambino doveva sempre abbassare la testa e subire. Che si fa? Passare per quella porta ed entrare dentro vuol dire soffrire, risentire il dolore del bambino, vincere la paura del confronto. Ci vuole tempo, ci vuole impegno, ci vuole costanza, ci vuole pazienza e cura. Non è meglio dire: "E' solo un mal di schiena!". Attento perché un giorno non sarà più possibile aprire la porta.

Un uomo è stato lasciato dalla moglie da tre anni e continua da una parte a maledirla, dall'altra le chiede in continuazione di tornare insieme. Quando parli con lui si parla sempre e solo di questo. "Vuoi o no entrarci dentro? Vuoi passare quella porta o ci rimani lì davanti per sempre?". Ti piaccia o no, questa è la realtà. O la accetti ed entri dentro a questa nuova situazione o ti fossilizzi. Consolarsi è a volte un modo per non affrontare la sofferenza che si porta dentro.

Un altro uomo ha fatto un incidente in auto e adesso vive in carrozzina. E' dura, è difficile, ma la realtà è questa. Che si fa? Si entra dentro o ci si piange addosso per tutta la vita per quello che è successo.

Hai gli attacchi di panico e devi fare una terapia. Puoi raccontartela: "Ma sì, come sono venuti passeranno!". E' un modo per fuggire la realtà. Bisogna passare per quella porta.

Quante volte ci giustifichiamo. Ci si giustifica per non affrontare la realtà. "Non ho chiesto io di venire a questo mondo (però ci sei!); cos'ho fatto per meritarmi una cosa del genere (forse niente ma è successa!)?; se avessi avuto degli altri genitori... (ma hai avuto questi); se avessi fatto degli incontri diversi... (ma non li hai fatti!); è stata quella donna a rubarmi mio marito (ma te l'ha rubato!); questa vita, è una vita di merda (ma è l'unica che abbiamo!); ecc".

Oppure iniziamo a dire: "Non ce la faccio; ho paura; chi me lo fa fare?; non voglio soffrire; non voglio stare male; non voglio cambiare; io ho le mie idee; a che serve?; e chi mi garantisce che poi sarà diverso?; e se non funziona?; e se poi sono sempre lo stesso?; e ne uscirò?, ecc": continuiamo a mentirci, a trovare giustificazioni per non affrontare la realtà e per evitarci la sofferenza.

Ti piaccia o no, doloroso o no, il punto è: c'è questa porta da passare e da entrarci dentro. O lo fai o rimani lì per sempre (e quindi per te sarà una porta chiusa). Tutto qui, scegli!

Questa dinamica (bisogna entrare dentro perché la porta non si barrichi per sempre) vale per i microsistemi (uomini), che per i macrosistemi (chiesa, società, organizzazioni, stati, ecc).

Il numero dei preti è in calo vertiginoso, evidente e chiaro. Allora si cercano sempre nuove strategie, nuove tecniche, nuovi "sistemi". Allora si può dire: "Tutta colpa della società edonista, liberista, materialista, ecc". Ma bisogna entrarci veramente nel problema. Entrarci vuol dire mettersi in gioco; entrarci vuol dire cambiare. Entrarci vuol dire che qualcosa di noi non va, e che se continuiamo così andrà sempre peggio. Prima che sia troppo tardi, meglio entrarci dentro, meglio cambiare.

Facciamo un altro esempio: la Coca-Cola (uhm, che buona la Coca-Cola!). Le pattuglie della polizia usano la Coca-Cola per la rimozione di sangue sulla strada dopo un incidente. Se si mette un osso in un contenitore con Coca Cola l'osso di dissolverà in 2 giorni. Per pulire il water: ci versi una lattina di Coca Cola e lasci "riposare" per un'ora poi tiri l'acqua. L'acido citrico della Coca Cola rimuove le macchie nelle stoviglie. Per togliere le macchie di ruggine dal paraurti cromato delle auto strofini il paraurti con un pezzo di foglio di alluminio, (quello che si usa per incartare gli alimenti), bagnato con la Coca Cola. Per poter togliere una vite corrosa ci metti sopra per qualche minuto uno straccio bagnato di Coca Cola. Per togliere macchie di grasso dai vestiti versare una lattina di Coca Cola nella lavatrice con i panni sporchi di grasso e aggiungere il detersivo. La Coca Cola aiuterà a toglierle. Mai lavarsi i denti dopo aver bevuto Coca-Cola perché toglie lo smalto, e lo toglie per sempre! Per pulire il parabrezza delle automobili ci metti la Coca-Cola.

L'ingrediente attivo nella Coca Cola è l'acido fosforico. Il suo ph è 2,8 e dissolve un'unghia in 4 giorni circa. L'acido fosforico inoltre ruba il calcio delle ossa ed è il maggior contribuente all'aumento dell'osteoporosi. Alcuni anni fa si fece una ricerca in Germania per ricercare il perché dell'apparizione dell'osteoporosi nei bambini a partire dai 10 anni. Risultato: eccesso di Coca Cola. I camion che trasportano la Coca Cola vengono identificati con la scritta "materiale pericoloso" che è riservata per il trasporto di materiali altamente corrosivi. Per pulire i motori dei camion o le cisterne dei succhi di frutta si usa Coca-Cola.

Vogliamo entrarci nel problema o no? E' una bevanda o un insetticida di uomini? Bevanda o veleno? Verrà un giorno in cui potrebbe essere troppo tardi (forse lo è già!).

Una donna doveva dire al marito che non era più innamorata di lui e che aveva deciso di lasciarlo per andare a vivere da sola. Ma aveva paura di farlo soffrire e della sua reazione. Così si rivolse ad un maestro spirituale. Il maestro le disse: "Vai a casa e glielo dici". Ci andò, ma non ce la fece. Il giorno dopo quando ritornò il maestro prese un bastone e con colpo tremendo la colpì in testa: "Vai a casa e glielo dici". La cosa si ripeté per tre mesi: ogni giorno tornava a casa, ma non ci riusciva; ogni giorno tornava dal maestro e prendeva un colpo tremendo. Finché un giorno, stanca di prenderle, disse al marito: "Ho deciso di lasciarti perché non ti amo più". E il marito tutto contento: "Sono proprio contento, perché anch'io non ti amo più e non sapevo come dirtelo". Tornata dal maestro, lo ringraziò per le bastonate, altrimenti non sarebbe mai riuscita a farlo. Ma lui le disse: "Ma chiediti però, se ne valeva la pena di prenderne così tante di bastonate!".

Se una cosa s'ha da fare, s'ha da fare. Se bisogna entrarci, ci si entra.

Un uomo aveva i piedi che puzzavano. Ogni volta che andava a letto la donna era infastidita dall'odore sgradevole. La donna gli acquistava oli essenziali per i pediluvi, che lui non faceva; creme perché coprissero l'odore, che lui non metteva; e sali per lavarsi i piedi, che lui non usava. La cosa andò avanti per un anno. Un giorno quando lui tornò a casa, lei gli disse: "Questa sera io dormo su di un altro letto!". Da quella sera in poi l'uomo usò gli oli essenziali, le creme e i sali e non ebbe più odore ai piedi.
Se. Se bisogna entrarci, ci si entra.


Pensiero della Settimana
Se una cosa s'ha da fare, s'ha da fare.

 

Ricerca avanzata  (54049 commenti presenti)
Omelie Rituali per: Battesimi - Matrimoni - Esequie
brano evangelico
(es.: Mt 25,31 - 46):
festa liturgica:
autore:
ordina per:
parole: