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TESTO Nube, gloria e Shekhinah

padre Gian Franco Scarpitta  

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Trasfigurazione del Signore (Anno C) (06/08/2010)

Vangelo: Lc 9,28-36 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 9,28-36

28Circa otto giorni dopo questi discorsi, Gesù prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare. 29Mentre pregava, il suo volto cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante. 30Ed ecco, due uomini conversavano con lui: erano Mosè ed Elia, 31apparsi nella gloria, e parlavano del suo esodo, che stava per compiersi a Gerusalemme. 32Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno; ma, quando si svegliarono, videro la sua gloria e i due uomini che stavano con lui. 33Mentre questi si separavano da lui, Pietro disse a Gesù: «Maestro, è bello per noi essere qui. Facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Egli non sapeva quello che diceva. 34Mentre parlava così, venne una nube e li coprì con la sua ombra. All’entrare nella nube, ebbero paura. 35E dalla nube uscì una voce, che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo!». 36Appena la voce cessò, restò Gesù solo. Essi tacquero e in quei giorni non riferirono a nessuno ciò che avevano visto.

Che Dio dimorasse con gli uomini era già concepito e insegnato dalla tradizione ebraica, che nella Thorà orale e in altre fonti parlava della Shekhinah, ossia della manifestazione o dimora di Dio fra gli uomini, alla quale si affinavano concetti di "gloria" (Kabod) e di "nube". Il primo di essi rendeva l'idea della presenza altisonante e gloriosa di Dio che imperava sulle creature avendone il dominio e la preponderanza; nel caso della nube, essa riguardava un segno evidente di tanta divina grandezza, un tipo di parvenza viva della gloria medesima. Anche nell'Antico Testamento si parla della "Tenda del convegno", nella quale Dio comunica con il popolo e quando in essa entra Mosè per parlare con il Signore faccia a faccia, come un uomo parla con un altro uomo, vi discende una colonna di nubi che si pone davanti all'ingresso (Es 33, 7-10); la nube viene associata alla gloria di Dio e ne indica la presenza magnificente e imperativa, che tuttavia entra in comunicazione diretta con l'uomo.

Elementi quali nube, gloria e in un certo qual modo Shekhinah, presenziano adesso in questo fenomeno straordinario di cui sono attoniti spettatori Pietro, Giacomo e Giovanni. Dell'evento è protagonista ancora una volta Dio, che manifesta la sua gloria indomita e indiscussa, ma ne è direttamente interessato Gesù Cristo: questi, che fino ad allora era stato conosciuto dagli astanti come il Maestro intento a predicare nella sinagoga, a cacciare demoni e operare altri segni sempre comunque sotto le fattezze di pura umanità, ora si mostra in tutto il suo splendore di gloria, rendendo edotti i suoi discepoli della sua vera realtà di Verbo Incarnato: le vesti candide e abbaglianti che nessun lavandaio sulla terra potrebbe mai rendere, tali, la nube che presenzia sul monte (già questo allusivo al luogo della manifestazione divina), la presenza di Mosè ed Elia, descrivono che Egli è direttamente partecipe della stessa gloria del Padre e della stessa magnificenza come Figlio di Dio, Verbo fatto carne per la salvezza dell'umanità.

Gesù si manifesta insomma nella pienezza della sua gloria di Dio per mostrare agli effetti come lui "è nel Padre e il Padre è in Lui e ambedue (Padre e Figlio) sono una cosa sola (Gv 14, 5-11). Dio eterno, generato e non creato, Signore indomito del tempo e della storia che mostra la sua gloria ineffabile, pari al Dio della manifestazione gloriosa dell'Antico Testamento: il candore delle vesti rende queste simili alle vesti del vegliardo che si asside alla corte, del quale ci parla Daniele (I Lettura) e che rappresenta il Dio invitto Giudice.. Accanto a Gesù, Mosè ed Elia, rappresentanti l'uno della Legge, l'altro Profeti, che prefigurano, mostrandone le evidenze di preveggenza, la venuta del Messia nella storia: il Cristo Redentore che sarà comunque il Trafitto. Quindi la voce imponente dal cielo che costituisce un ulteriore evento teofanico che è di avallo a tutti gli altri, perché in esso si evince la predilezione di Dio del suo Cristo e la consegna del Figlio per la salvezza dell'umanità intera.

Cristo infatti non trattiene la sua gloria a suo esclusivo vantaggio e non ne fa utilizzo per motivi di predominio e di affermazione sull'uomo e sul mondo. Piuttosto, il Cristo Verbo Incarnato la gloria di Dio si dona tutta all'uomo, che ne diviene partecipe in ogni momento della vita e dell'opera di Gesù, soprattutto nell'usufruire della redenzione e della salvezza, che si realizzerà definitivamente nella croce, il supplizio supremo che manifesta la concretezza indubbia e inesorabile dell'amore divino.

Proprio in quei giorni Gesù aveva annunciato ai suoi che sarebbe entrato a Gerusalemme, dove la gloria confermata dal popolo che lo avrebbe accolto gioioso ed esultante all'ingresso della città (palme e rami d'ulivo) si sarebbe trasformata nella passione conseguente alla deliberata auoconsegna per il riscatto dell'umanità. Pietro aveva tentato di impedire che Gesù facesse questo terribile passo, ottenendo un rimprovero categorico del tutto efficace (allontanati da me, Satana! Mt 16, 21-28), ma poi sarà egli stesso testimone di quanto ora sta esperendo al monte Tabor e la sua testimonianza sarà certa e indiscutibile: "Non per essere andati dietro a favole artificiosamente inventate vi abbiamo fatto conoscere la potenza e la venuta del Signore nostro Gesù Cristo., ma perché siamo stati testimoni oculari della sua grandezza." (2Pt 2, 16-17). Dopo la visione del Tabor avrà compreso infatti che l'avvio al patibolo del suo maestro non è era scongiurarsi quale condanna ingiusta fra le tante che avvengono nella nostra umanità, ma da accettarsi come tappa necessaria dell'intero disegno di salvezza voluto dal Padre, come manifestazione suprema della volontà di riscatto dell'uomo che non ha nulla da spartire con i progetti umani, ma che è di provenienza e di natura del tutto divina: Dio salva l'uomo attraverso l'annientamento, la sofferenza e la croce.

Quali le reazioni dei tre discepoli tanto esterrefatti dalla visione? La paura, mista a stupore, meraviglia e anche entusiasmo. Quasi ignaro di quello che sta dicendo, Pietro prorompe in una proposta: "facciamo tre tende: una per te, una per Mosè e una per Elia". Non è da escludere che abbia voluto professare la sua fede nella riconosciuta Shekhinah della dimora di Dio con gli uomini, che viene espressa nella Bibbia appunto con la tenda: questo luogo di abitazione (la tenda) che egli propone non per sé e per i suoi compagni, ma per i grandi personaggi della storia della salvezza, sottende a più riprese nella Scrittura all'abitazione di Dio con l'uomo e alla condivisione della sua gloria.

Sta di fatto che egli comunque ritiene molto affascinante che il suo Maestro sia il Signore della gloria che verrà messo a morte da chi voleva affermare una sapienza puramente umana (1Cor 2, 7-8) ma che con la sua morte sovrasta e vanifica il sapere umano per la sapienza di Dio; strabilia e si entusiasma per la manifestazione della sua gloria di Dio Onnipotente e Signore che tuttavia si concede fino all'inverosimile all'umanità e insomma comprende tutto del mistero che interessa il suo maestro.

La trasfigurazione è in ultima analisi il mistero di un Dio che a diritto potrebbe trattarci con toni imperativi di sottomissione, coazione e subordinazione, ma che preferisce mostrare la sua gloria nell'umiltà, nella mansuetudine e nella pazienza (Ef 4, 1-3) sopportando anche l'annientamento e l'umiliazione della morte pur di salvare l'umanità e di conseguenza è anche il monito che da essa ci deriva a ravvivare in noi stessi la fede nello stesso Signore glorioso, per la quale anche noi possiamo sperimentare il fascino della "tenda" che il Verbo Incarnato a voluto porre in mezzo a noi per renderci partecipe della sua stessa gloria e magnificenza divina.

 

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