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TESTO La carne di Gesù, promessa di vita eterna

don Elio Dotto  

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XX Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (17/08/2003)

Vangelo: Gv 6,51-58 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Gv 6,51-58

51Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».

52Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?». 53Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. 54Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. 55Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. 56Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. 57Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. 58Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».

Che i Giudei fossero avversi a Gesù già lo sapevamo: eppure colpisce la grossolanità delle obiezioni che essi avanzano nel racconto evangelico di domenica (Gv 6,51-58). «Allora i Giudei si misero a discutere tra di loro: Come può costui darci la sua carne da mangiare?». Appunto grossolana appare questa loro domanda: come se il Maestro intendesse davvero dare in pasto la sua carne... In realtà i Giudei sanno bene che Gesù allude ad altro; sanno bene che il suo discorso ha un significato profondo ed ulteriore: essi però hanno paura di questo altro significato, e per tenerlo lontano si aggrappano saldamente all'interpretazione più superficiale ed assurda. «Come può costui darci la sua carne da mangiare?». In una parola, i Giudei non comprendono perché non vogliono comprendere.

L'atteggiamento dei Giudei dunque ci colpisce: ma non deve poi stupirci più di tanto. Anche noi infatti siamo grossolani nei confronti delle verità scomode, di quelle verità cioè che spaventano il nostro quieto vivere. Davanti ad esse è difficile rispondere: soprattutto è difficile occultare la propria responsabilità. Più facile è invece rimuovere tali verità scomode: magari con una battuta, magari mettendola sul ridere, magari facendo finta di non capire. E così si ripete la stessa scena descritta nel Vangelo: non comprendiamo perché non vogliamo comprendere. Appunto come fecero i Giudei.

Ma qual era poi la verità scomoda nascosta nelle parole di Gesù? La possiamo ritrovare nell'affermazione con cui il Maestro aveva aperto il suo discorso: «Io sono il pane vivo, disceso dal cielo», aveva detto Gesù; «il pane che io darò è la mia carne per la salvezza del mondo». Proprio questa affermazione era apparsa scomoda alle orecchie dei Giudei: essa infatti sosteneva che la carne di Gesù avrebbe dato la salvezza al mondo. È questa mia carne il pane che dà la vita – diceva in altre parole il Maestro – è questa mia esistenza, questa mia debole e minacciata esistenza che salverà il mondo. E dunque non fuggite – sembrava aggiungere Gesù – non fuggite davanti alla morte violenta che questa mia carne subirà; non fuggite davanti alla croce sulla quale verrò appeso: «io vivo per il Padre» e la sua vita in me è più forte della violenza che mi uccide.

Così appunto diceva il Maestro ai Giudei: i quali però avevano già deciso di sopprimere Gesù, ritenendo inaffidabili le sue parole; e dunque erano infastiditi e spaventati da quell'ultima affermazione. «Come può costui darci la sua carne da mangiare?». Come può questo povero figlio di un falegname essere il salvatore del mondo? Come può questo uomo debole ed indifeso donare a tutti una vita eterna? «Come può costui darci la sua carne da mangiare?».

Da questa domanda certo neanche noi siamo estranei: perché anche per noi oggi credere è difficile; eppure è possibile. È possibile: perché nel volto coraggioso e fedele di Gesù crocifisso davvero possiamo vedere la speranza di una vita che rimane per sempre; e dunque davvero possiamo gustare quella gioia che nessuno potrà mai strapparci.

 

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