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TESTO La stoltezza di svendersi alle cose

mons. Antonio Riboldi

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XVIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (01/08/2010)

Vangelo: Lc 12,13-21 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 12,13-21

In quel tempo, 13uno della folla disse a Gesù: «Maestro, di’ a mio fratello che divida con me l’eredità». 14Ma egli rispose: «O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?». 15E disse loro: «Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede».

16Poi disse loro una parabola: «La campagna di un uomo ricco aveva dato un raccolto abbondante. 17Egli ragionava tra sé: “Che farò, poiché non ho dove mettere i miei raccolti? 18Farò così – disse –: demolirò i miei magazzini e ne costruirò altri più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. 19Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; ripòsati, mangia, bevi e divèrtiti!”. 20Ma Dio gli disse: “Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?”. 21Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio».

Se c'è un grande inganno, che il demonio ha sempre cercato di proporre all'uomo, è quello di svendere la propria dignità e felicità vera a ciò che non può assolutamente soddisfare le nostre esigenze più profonde, ossia il possesso delle cose.

Dovremmo sapere tutti ormai, per esperienza, che ciò che è materiale, senza anima, non può mai colmare il nostro cuore. Sono 'cosé, che possono donare soddisfazione, gratificazione, ma possono anche, purtroppo, rubarci l'anima.

Ciò che Dio ha creato - ed 'è cosa buona' - ci è però dato solo per un servizio alla vita, mai come oggetto 'assoluto' di felicità.

Ricordiamoci come la Sacra Scrittura ben evidenzia l'inganno, presentandoci - sotto forma di mito - ciò che il serpente seppe escogitare nel momento della prova, nel paradiso terrestre.

Dio aveva donato ad Adamo ed Eva tutto il creato, perché lo coltivassero, ma Lui, e solo Lui, era la gioia: l'uomo 'passeggiava con il suo Dio'.

Satana seppe intrecciare una menzogna fatale: far credere che il possesso del frutto proibito avrebbe fatto felici i nostri primogenitori, 'rendendoli come Dio'.

E sappiamo tutti come, dopo aver mangiato il frutto, Adamo ed Eva si videro 'nudi' e 'si nascoserò agli occhi di Dio.

Giunge ancora oggi, come monito e sofferenza, il grido del Padre: 'Uomo dove sei?'.

Seguì la cacciata dal paradiso, per essere soli su questa terra, che certamente non offre la stessa pienezza... a meno che impariamo a dominarla, preferendo l'amore del Padre e verso gli uomini, alle cose che periscono.

Basta guardarci attorno, per rendersi conto di come tutti siamo continuamente tentati di 'riempire la vità di cose materiali, di 'ricchezze', causa di lotte tra noi, differenze e diffidenze sociali, ma alla fine lasciando inevitabilmente un grande vuoto nel cuore.
Nulla può sostituire il Bene dell'Amore del Padre!

Nella vita, le persone veramente felici, le ho incontrate ín chi ha saputo e vissuto il distacco dai beni terreni, per godere di quella povertà-libertà di spirito, che diventa ricchezza di amore e di gioia anche per gli altri.

Non sono giunte al nostro cuore, forse, le parole di Quoelet:

"Vanità delle vanità - dice Quoelet - vanità delle vanità e tutto è vanità.

Perché chi ha lavorato con sapienza, con scienza e con successo, dovrà poi lasciare tutti i suoi beni a un altro che non vi ha per nulla faticato. Anche questo è vanità e grande sventura. Allora quale profitto c'è per l'uomo in tutta la sua fatica e in tutto l'affanno del suo cuore con cui si affatica sotto il sole? Tutti i suoi giorni non sono che dolori e preoccupazioni penose: il suo cuore non riposa neppure di notte. Anche questo è vanità". (Quoelet 2, 21-23)
Ma come è facile farsi prendere il cuore da queste vanità!

Eppure la vera gioia è nella libertà dalle cose: una libertà che ci permette di guardare il Cielo ed anche la sofferenza e le povertà dei fratelli.

S: Francesco d'Assisi, che aveva trascorso gli anni della giovinezza nell'agiatezza, dopo aver seguito la voce di Gesù, che lo chiamava alla santità, si fece talmente povero, da deporre tutto nelle mani del vescovo e restare nudo.

Ed è la scelta di tutti i Santi, quelli che la Chiesa nomina e quelli che sono ancora tra noi: sanno prendere il giusto distacco dalle cose senza anima della terra e vivere la povertà dello spirito, che è un cuore, che 'si serve' dei beni della terra, per quello che sono, miseri e caduchi, per restare totalmente aperto ai beni del Cielo e alle necessità del prossimo.
Ce ne sono tanti cristiani così, anche tra di noi.

Dopo il terremoto nel Belice, era per me grande gioia vivere l'estrema povertà causata dal sisma, con i miei fedeli, vivendo i disagi nelle tende, prima, e quelli ancora più duri in quelle che chiamavamo baracche per la loro fragilità.

La baracca, in cui si viveva, era la testimonianza della povertà totale, ma nello stesso tempo era la gioia di condividere una sofferenza con chi soffriva, con la povertà della nostra gente. Ci ammonisce l'apostolo Paolo, scrivendo ai Colossesi:

"Fratelli, se siete veramente risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio: pensate alle cose di lassù, non a quelle della terra.

Voi infatti siete morti e la vostra vita è ormai nascosta con Cristo in Dio!

Quando si manifesterà Cristo, la vostra vita, voi sarete manifestati con Lui nella gloria. Mortificate dunque quella parte di voi che appartiene alla terra: fornicazione, impurità, passioni, desideri cattivi e quell'avarizia insaziabile che è idolatria". (Col. 3, 1-5)

È davvero grande miopia svendere la grande potenza e bellezza del cuore a cose che 'passano; possono solo dare qualche passeggera soddisfazione, ma non sono felicità e libertà.

Eppure ci cascano in tanti. Basterebbe andare su una spiaggia, in questi tempi, per notare come trionfa l'idolatria del corpo, destinato a perire, e il trionfo della moda e dell'immodestia, come se il bello del corpo, che Dio ha dato, fosse merce e non prezioso dono.

Ascoltiamo il Vangelo di Luca, che la Chiesa ci propone oggi:

"In quel tempo, uno della folla disse a Gesù: 'Maestro, dì a mio fratello che divida con me l'eredità. Ma egli rispose: 'O uomo, chi mi ha costituito giudice e mediatore sopra di voi?: E disse loro: 'Guardatevi e tenetevi lontani dalla cupidigia, perché anche se uno è nell'abbondanza, la sua vita non dipende dai suoi beni. Disse poi una parabola: 'La campagna di un uomo ricco aveva dato un buon raccolto. Egli ragionava tra sé: 'Che farò? Perché non ho dove riporre i miei raccolti?' e disse: 'Farò così: demolirò i miei magazzini e ne costruirò di più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni per molti anni, ripòsati, mangia, bevi, datti alla gioia. Ma Dio gli disse: 'Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato di chi sarà?:

Così è di chi accumula tesori per sé e non arricchisce davanti a Dio". (Lc. 12, 13-21)

Davvero una seria lezione per tutti noi, anche oggi: una lezione che deve aiutarci a prendere le distanze dall'aver l'animo 'soddisfatto' dalle cose, cioè sentirsi ricchi - quando poi si può veder svanire tutto nel breve spazio di Luna notte - per fare spazio alla povertà di spirito, che davvero fa conoscere la gioia di amare e il vero senso della libertà interiore.

Diceva Paolo VI, che cito sempre come grande maestro di fede:

"Il possesso e la ricerca della ricchezza, come fine a se stessa, come unica garanzia di benessere presente e di pienezza umana, è la paralisi dell'amore. I drammi della sociologia contemporanea lo dimostrano, e con quali prove tragiche e oscure! E dimostrano che l'educazione cristiana alla povertà sa distinguere innanzitutto l'uso del possesso delle cose materiali, e sa distinguere poi la libera e meritoria rinuncia ai beni temporali, in quanto impedimento allo spirito umano nella ricerca e nel conseguimento del suo ottimo fine supremo che è Dio e del suo ottimo fine prossimo, che è il fratello da amare e servire, dalla carenza di quei beni che sono indispensabili alla vita presente, cioè dalla miseria, dalla fame, a cui è dovere, è carità, provvedere....

Il discepolo di Cristo, alla sua severa scuola di povertà, scorge un rapporto meraviglioso fra povertà e carità, si direbbe complementare, e non solo perché la prima, cioè la povertà, ha bisogno di quel gratuito, spontaneo e gentile soccorso, ma perché chi ama è alla ricerca di chi possa ricevere i segni e i doni del suo amore, cioè la carità ha bisogno della povertà per esplicare l'energia di bene che le è propria". (novembre 1964)

Può mai il nostro tempo fregiarsi del titolo meraviglioso di 'solidale', quando non ve ne sono i segni? E tanta la speranza, che sorge - a volte - quando si ha notizia che i cosiddetti 'grandi della tela si riuniscono per cercare soluzioni e vie che colmino le sacche immense di miserie che non sono solo in Africa, ma in troppe parti del nostro mondo.

Ma ogni volta si ha l'impressione che da questi convegni esca solo un balbettio, che approda a poco. I Paesi cosiddetti 'ricchi' non sanno, non hanno saputo - o non vogliono? - farsi speranza per

tanti nel mondo che muoiono di fame. E turba la coscienza anche solo sapere e vedere che ogni giorno tanti sono condannati ad una morte così atroce ed ingiusta, quando tutti potremmo vivere dignitosamente, se solo si mettesse fine alla corsa del benessere di pochi e nascesse quella solidarietà o amore alla povertà, che si traduce nello spezzare il pane con tutti.... a cominciare da noi, da dove siamo, dove certamente c'è chi stenta a vivere.

Dovremmo ricordare sempre, carissimi, quanto Gesù dice a proposito del giudizio finale:

"Avevo fame e non mi avete dato da mangiare... andate via da Me, maledetti!'

'Avevo fame e mi avete dato da mangiare... venite benedetti dal Padre mio!: Facciamo nostra la preghiera di Madre Teresa di Calcutta:
"O Signore, affinché possiamo seguire il tuo esempio,
donaci la grazia di abbracciare la tua povertà
come il più grande di tutti gli impegni umani.

Rendici capaci di imitare nella nostra vita la povertà del nostro Altissimo Signore Gesù Cristo e della Sua amatissima Madre.
Aiutaci ad esercitare il controllo più severo su noi stessi
affinché non abbandoniamo mai questo impegno
a causa della nostra debolezza
o dei consigli e degli insegnamenti altrui."

 

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