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padre Gian Franco Scarpitta  

XXI Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (22/08/2010)

Vangelo: Lc 13,22-30 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 13,22-30

In quel tempo, Gesù 22passava insegnando per città e villaggi, mentre era in cammino verso Gerusalemme. 23Un tale gli chiese: «Signore, sono pochi quelli che si salvano?». Disse loro: 24«Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno. 25Quando il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta, voi, rimasti fuori, comincerete a bussare alla porta, dicendo: “Signore, aprici!”. Ma egli vi risponderà: “Non so di dove siete”. 26Allora comincerete a dire: “Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze”. 27Ma egli vi dichiarerà: “Voi, non so di dove siete. Allontanatevi da me, voi tutti operatori di ingiustizia!”. 28Là ci sarà pianto e stridore di denti, quando vedrete Abramo, Isacco e Giacobbe e tutti i profeti nel regno di Dio, voi invece cacciati fuori. 29Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio. 30Ed ecco, vi sono ultimi che saranno primi, e vi sono primi che saranno ultimi».

Almeno per quello che riguarda la mia esperienza diretta, il ministero pastorale è molto bello perché, quando è svolto con impegno, zelo e disinteresse, aiuta a vincere l'egoismo e in tutti i casi ci rende utili agli altri e già questo apporta non poche soddisfazioni. Vi sono tuttavia dei casi in cui il ministero non sempre è immediatamente gratificante e non sempre si riscontrano copiosi e soddisfacenti risultati. In alcuni casi ci si deve anche arrabattare da soli, contando nelle proprie capacità e nelle proprie risorse, per realizzare un'attività pastorale o per crearsi luogo di lavoro apostolico. Come nel caso dei miei primi anni di sacerdozio, quando, tenuto in disparte da qualsiasi incarico o competenza che non fosse quella di sostituire periodicamente i confratelli sacerdoti nelle loro assenze in vari punti d'Italia (il che avveniva a volte improvvisamente, dovendo fare i bagagli anche di notte), mi trovavo in una realtà ecclesiale sterile e bizzarra: una chiesa

conventuale ubicata in una zona del centro cittadino del tutto isolata e scomodissima a raggiungersi, per il lungo percorso di stradine in salita che la circondava e per la presenza, nella zona di altre chiese molto più alla portata del popolo; una presenza di fedeli alle due messe domenicali che in totale non raggiungeva la trentina di unità, la maggior parte di età elevata; una cultura locale medio bassa molto suscettibile che non amava alcun tipo di coinvolgimento, pur pretendendo tantissimo dai sacerdoti, per cui era praticamente impossibile organizzare una qualsiasi attività, anche di attrazione. In quella situazione sperimentai la realtà evangelica della "porta stretta", poiché dovetti ricorrere al mio estro, alla mia inventiva e ad isolate iniziative sporadiche per la "sopravvivenza pastorale", arrangiandomi come potevo ora in un ministero ora in un altro e in tante iniziative frammentarie o incarichi privi di un nesso comune: la formazione di un piccolo oratorio che venne compromesso dalla frequenza di ragazzi di certi ambienti familiari, la cappellania delle suore di un convento vicino, isolate catechesi in altre parrocchie limitrofe, organizzazione di gite o pellegrinaggi che non sempre aveva il suo esito, visita ad alcune famiglie e ad ammalati...

Chi non svolge ministero in una parrocchia, in una missione o in un ambito pastorale ben definito, ma è relegato in una semplice chiesa rettoria deve contare solo sulle proprie forze per l'esercizio del ministero pastorale, specialmente quando non si ha alcun ruolo o incarico né interno né esterno, e quella fu una delle situazioni di tal tipo, tuttavia (permettetemi) molto più complessa delle altre, che non di rado conduceva alla crisi e allo scoraggiamento.

Dicevamo, la porta stretta. Con questo concetto, di cui io sperimentai la concretezza, si intendono i sacrifici e le difficoltà della radicale fedeltà al Signore, nel ministero e in tutta la vita cristiana, come pure nella carità e nell'operosità evangelica. Adoperarsi nelle situazioni piacevoli e garantite, vivere il cristianesimo nelle condizioni prive di rischi, problemi o difficoltà molte volte è fin troppo semplice e non è foriero di meriti e di ricompense; al contrario, vivere la radicalità evangelica e la missione che ci viene affidata affrontando difficoltà, sfide, incomprensioni e lottando contro crisi e demoralizzazioni personali conduce sempre ad ottenere tanta gloria quante sono state le necessità di perseveranza. Anche questo mi deriva dalla personale esperienza.

Più in generale, la porta stretta indica la via della salvezza, che non è mai un itinerario esente da rischi e da difficoltà, ma comporta non pochi patemi e fastidi che lo stesso Signore ha previsto nel nostro discepolato: ci si salva non viaggiando comodamente su un vagone letto, ma percorrendo il binario a piedi nudi sulle pietre. Con questo non si vuole invitare nessuno a procacciarsi appositi dispiaceri, ansie e difficoltà, a nessuno bisogna augurare spiacevoli inconvenienti di percorso e nessuno esporre inopinatamente ai rischi e ai pericoli; semplicemente, nell'ottica della salvezza, occorre accogliere senza resa e con determinazione tutte le avversità che ci si potrebbero presentare, non ponendo obiezioni a Dio quando Egli voglia condurci ai nostri obiettivi provandoci e sottomettendoci a sforzi, restrizioni o privazioni: molte volte queste racchiudono opportunità nascoste che nei successi e nelle fortune è impossibile ravvisare.

La prima lettura, tratta dal libro del profeta Isaia, ci ragguaglia su come la salvezza sia destinata non ad una categoria sociale di persone, a un'etnia o ad uno specifico settore di appartenenza, ma nel "raduno" globale di tutti i popoli, si vuole evincere che ogni uomo è oggetto di amore e di salvezza divina, quindi tutti sono votati ad essere salvi, anche chi non appartiene alla nostra cultura o alla nostra religione. Il problema che si pone quindi non riguarda chi siano i destinatari del piano salvifico di Dio, se sia possibile o meno salvarsi e se sia difficile conseguire il premio eterno, poiché in Cristo Dio ha già realizzato e realizzerà egli stesso la salvezza di tutto il genere umano e la destinazione è quindi universale. Come si scrive nel libro dell'Apocalisse: "La salvezza appartiene al nostro Dio seduto sul trono e all'Agnello" (Ap 7, 10), cioè al Cristo che ci ha riscattati dall'impossibilità di salvarci (il peccato) offendo se stesso come vittima immacolata sulla croce.

Il problema che si pone, come afferma Gesù nella sua risposta al passante che lo interpella, è dunque quello della nostra adesione, della volontà di lasciarci coinvolgere dal progetto salvifico di Dio, di aderirvi in una prospettiva teologale di fede, speranza e carità, ma soprattutto di voler accettare quello che tante volte risulta essere irrinunciabile a che noi perseguiamo l'obiettivo della salvezza: appunto la porta stretta.

Imboccare questa porta costituisce uno sforzo che molti vorrebbero evitare, forse non perché non vi sia la forza di volontà per passarvi attraverso, ma perché si notano tutt'intorno ingressi più accattivanti e spaziosi, che raggiungono la stessa meta; si preferisce transitare attraverso di essi, senza considerare tuttavia che potrebbero condurre anche in un baratro apparentemente nascosto o comunque dare solo garanzie e successi temporanei. Oppure, si presume di poter essere salvi solo in ragione di un'appartenenza a Cristo solo concettuale, circoscritta o limitata a sterili devozionismi e banalità esteriori, ma non opportunamente radicata né avvalorata da una coerenza di vita esemplare per gli altri,; in parole povere non testimoniata da una carità operosa e concreta.. In quest'ultimo caso l'errore diventa imperdonabile e non può che determinare la nostra autocondanna concomitante con la salvezza di altri, giacché il regno di Dio non consiste in parole, ma in opere (1Cor 14, 20). O ancora, come afferma lo stesso Gesù, molti tentano di sgomitare per questo ingresso stretto della vita affrontando anche la sua occlusione e la sua ostilità, ma non vi riescono per il semplice fatto che non pongono il minimo sforzo e la prospettiva della fatica li incita a tornare indietro: non che non si tenti di passare per la porta stretta, ma non vi si persevera a motivo dei sacrifici che essa comporta. Eppure Gesù chiede non il transito completo di quella porta ma... solamente lo sforzo, ossia la decisione e la radicalità nei propositi che verrano premiati nonostante i risultati.

Il cristianesimo è lotta, perseveranza, costanza nella prova e nelle vicissitudini in negativo e molte volte comporta che si accettino situazioni o conflitti che altri rifiuterebbero, eppure occorre osservare che, anche prescindendo da ogni imperativo etico e religioso, molti dei problemi restano insoluti proprio per la comune incapacità, o meglio negligenza di adattamento o di sacrificio che se accolta deliberatamente apporterebbe da se stesso i risultati sperati.

Per fare un esempio si potrebbe osservare il fenomeno italiano della disoccupazione, che è certamente un problema sempre più preoccupante ed emergente visto che numerosi giovani si ritrovano spesso privi di lavoro e molti padri di famiglia improvvisamente privi di salario e del necessario sostentamento familiare, eppure è capitato anche a me di orientare alcune persone su attività lavorative che venivano da queste immediatamente rifiutate perché... "troppo faticose o troppo distanti dal luogo in cui vivo". Ma si tratta di impieghi che regolarmente svolgono numerosi immigrati, senza riscontrare fastidio alcuno! Anche a pagarlo bene, mi riusciva praticamente impossibile, da Superiore, trovare un badante italiano che si occupasse almeno di giorno di un mio confratello novantenne e ho conosciuto locali nei quali è difficile trovare persone che passino la scopa o puliscano i tavoli raccogliendo cartacce e rimasugli.

Non attribuiamo dunqu colpe alla sola economia globale o alle istituzioni quando sperimentiamo carenza di lavoro ma identifichiamo l'occupazione professionale con il solo servizio di scrivania o di impegno puramente concettuale.

Sforzarsi di passare per quella porta stretta e insidiosa che altri rifiuterebbero o che imboccherebbero solamente alle prime battute è quindi una comune proposta di vita che procede anche oltre il puro senso cristiano.

 

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