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TESTO Meglio la povertà evangelica

padre Gian Franco Scarpitta  

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XVIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (01/08/2010)

Vangelo: Lc 12,13-21 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 12,13-21

In quel tempo, 13uno della folla disse a Gesù: «Maestro, di’ a mio fratello che divida con me l’eredità». 14Ma egli rispose: «O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?». 15E disse loro: «Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede».

16Poi disse loro una parabola: «La campagna di un uomo ricco aveva dato un raccolto abbondante. 17Egli ragionava tra sé: “Che farò, poiché non ho dove mettere i miei raccolti? 18Farò così – disse –: demolirò i miei magazzini e ne costruirò altri più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. 19Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; ripòsati, mangia, bevi e divèrtiti!”. 20Ma Dio gli disse: “Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?”. 21Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio».

"Chi mi ha istituito giudice o mediatore delle vostre cose?" Così si sentono rispondere i due interlocutori che si rivolgono a Gesù perché intervenga su una lite scoppiata fra di loro a motivo di una questione ereditaria. Questa risposta inaspettata e perentoria stupisce non poco perché sembra apparentemente sottendere a "non mi importa nulla dei vostri problemi; non sta a me giudicarli". Così in effetti sarebbe se tale espressione non fosse seguita immediatamente da una pedagogia parabolica, fra le tante con le quali Gesù riesce ad illuminare ed elevare: il ricorso alla parabola mostra infatti che Gesù non mostra insensibilità e distanza alla problematica posta dai due contendenti, ma a quella che ne era stata la causa di fondo: la cupidigia, il desiderio sfrenato e sregolato di potere e di denaro che acceca e rende insensibili e refrattari agli altri. E in più ci illude di conseguire successi, traguardi e benefici materiali rimpinzandoci smodatamente, quando invece stiamo solamente inseguendo il vento vivendo di illusioni, chimere e inutilità. Non è infatti forse inutile la corsa al potere e al successo economico, allo sfarzo al lusso e all'agiatezza che ti illudono di onnipotenza e sicurezza, quando ad un certo punto viene a mancare la salute, la forza fisica, e perfino la vita stessa? Non è ridicola la corsa sfrenata al potere quando giungendo all'ultimo respiro non sarai mai in grado di pagarne un altro in aggiunta, neppure versando tutto il denaro che hai a disposizione? Se è vero che i soldi salvano tante situazioni difficili, risolvendo immediatamente numerosi problemi contingenti e togliendoci dai guai nell'immediato, è altrettanto vero che essi diventano inutili e banali quando si tratti di fronteggiare ben altre situazioni di estrema gravità o situazioni irrisolvibili dal punto di vista materiale.

Quando ci si trova soli e abbandonati da tutti, magari perdendo la sfiducia degli amici e vivendo l'indifferenza e la freddezza degli altri che non ti rivolgono la parola o peggio non ti degnano di uno sguardo, anche possedendo un intero arsenale di oro o un centinaio di banche ben nutrite, non si potrà mai comprare una parola di conforto o l'attenzione da parte di qualcuno, e queste diventano molto importanti in situazioni disperate di isolamento e di solitudine. Un buon consiglio sincero o una parola amica, quando viene a mancare e quando nessuno è disposto ad ascoltarti diventa più preziosa di ogni altra cosa, perché il dolore morale è sempre più lancinante di quello fisico. Ho già ricordato in altre pagine la famosa commedia Napoli Milionaria di Edoardo De Filippo, che si conclude con la malattia grave subita da una bambina in punto di morte. Solo una medicina rara potrebbe salvarla, ma questa non è più in commercio; la si cerca per ogni dove ma invano. Finalmente c'è un conoscente che per caso ne possiede una confezione, ma prima di cederla ai genitori della piccola li rimprovera di aver subito in passato da parte loro atti di risoluta indifferenza e chiusura in situazioni di bisogno; e conclude come in certi casi la solidarietà e la condivisione valgano molto più dei soldi e delle ricchezze.

Solo l'esperienza di determinate peripezie e di situazioni di difficoltà estrema e di irrimediabili circostanze consente di recepire la pedagogia del vero valore della ricchezza terrena, che diventa insignificante di fronte a situazioni davvero insostenibili nelle quali a nulla serve il guadagno e il possesso per uscire dai guai. Quando poi si è in punto i morte ci si preoccupa certo del futuro delle proprie ricchezze, dell'attendibilità e della responsabilità degli eredi, del destino che subiranno le proprie risorse, guadagnate con anni di penosa fatica, una volta che avremo chiuso gli occhi per sempre. Ma non si tratterà di preoccupazioni grandi quanto quelle della vanità e dell'insignificanza del successo economico: quando si è consapevoli di dover morire, anche se non sempre così appare, non si da' importanza alcuna al conto in banca o alla risorse che avremo accumulato per noi stessi e ogni guadagno risulta insignificante e vano, Indipendentemente da quello che sarà il nostro destino ultraterreno (Inferno, Purgatorio, Paradiso...), di fronte al Giudice Supremo, rileggendo retrospettivamente quella che sarà stata la nostra vita, riscontreremo certamente il ridicolo e l'insulsaggine della corsa al denaro e al lusso spropositato.

E' meglio allora che ci atteggiamo di fronte ai beni di questo mondo con l'attitudine di chi è abituato a vedere nelle ricchezze materiali non delle finalità ma dei mezzi di santificazione: qualunque sia il profitto e l'utile che traggono le nostre attività o i nostri successi professionali, da ogni bene materialeoccorre tenere il cuore distaccato, sempre pronti alla disposizione di dover anche rinunciare alle nostre ricchezze a vantaggio di chi soffre perché si scopra così anche la vera utilità del denaro: fare da strumento con cui adoperarci per le necessità di chi soffre e i benestanti sono una benedizione di Dio nella misura in cui il loro profitto risolleva le sorti dei sofferenti.Il più grave dei nostri malani odierni non è il denaro in quanto tale, che se considerato nelle giuste proporzioni può diventare utilissimo strumento di amore al prossimo e di benessere, ma lka cupidigia e l'avidità che lo rendono di fatto spregevole perché causa anche di sangue e di dispersione: non i soldi, ma l'accanimento spropositato e vano su di essi rovinano la nostra convivenza.

Accontentarsi insomma dell'essenziale per una vita dignitosa, decorosa e decente, scongiurando ogni sorta di sfarzo e di superfluo, nella consapevolezza che i beni di consumo che abbiamo in superfluo ( anzi tutti quelli di cui disponiamo) appartengono in partenza ai bisognosi e chi dona al povero presta a Dio che gli restituirà in modo adeguato (Pr 19, 17). Tutto questo è alternativa ben fondata alle fittizie illusioni del guadagno e prende il nome profondo e garantito di povertà evangelica.

 

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