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TESTO Il valore della solidarietà e dell'accoglienza

padre Gian Franco Scarpitta  

XVI Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (18/07/2010)

Vangelo: Lc 10,38-42 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 10,38-42

In quel tempo, 38mentre erano in cammino, Gesù entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo ospitò. 39Ella aveva una sorella, di nome Maria, la quale, seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola. 40Marta invece era distolta per i molti servizi. Allora si fece avanti e disse: «Signore, non t’importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti». 41Ma il Signore le rispose: «Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, 42ma di una cosa sola c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta».

L'episodio di cui ci parla la Prima lettura di oggi, che vede Abramo accogliere i tre visitatori alle querce di Mamre, è diventato emblematico del tema dell'ospitalità e della gratuità con cui siamo tenuti anche noi ad accogliere i forestieri e gli stranieri senza pregiudizi e senza riserve. Poco però si considera ciò che per Abramo è di sprone all'esercizio dell'accoglienza e dell'ospitalità, cioè quella grande fede che lo aveva animato sin da quando era uscito dalla sua terra, e adesso, di conseguenza, quella predisposizione innata a vedere il Signore in ogni fratello che chiede ristoro e assistenza provenendo da un lungo viaggio. In effetti è proprio così: nell'ospite che viene a trovarci e nel povero che bussa alla nostra porta, come del resto Gesù stesso ha insegnato nel Vangelo ("Avevo fame e mi avete dato da mangiare") è Dio stesso che viene ad interpellare la nostra disponibilità di cuore e a saggiare il grado di carità effettiva che mette in rilievo lo spessore della nostra fede; nel povero e nel bisognoso che chiede aiuto e assistenza non possiamo non riscontrare la presenza di Gesù e di conseguenza essere solleciti alla carità e alle opere effettive di accoglienza.

Effettivamente, occorre riconoscere che al giorno d'oggi l'ospitalità concessa a chiunque, il beneficio prestato ai poveri e agli indigenti e il prodigarsi spontaneo verso chi versa in situazioni di necessità sono un esercizio tutt'altro che facile, che richiede sovente non poca prudenza e circospezione. Soprattutto da parte anticlericale e non cattolica, si condannano i conventi e le parrocchie per la loro presunta ostentazione di ipocrisia, non mettendo esse uno dei loro locali a disposizione di qualche indigente, bisognoso o senzatetto; poche volte però si considerano i casi in cui, proprio per esercitare la carità e l'accoglienza, parecchi parroci sono stati citati in giudizio ora per aver accolto inconsapevolmente dei latitanti ricercati dalla polizia, ora per aver favorito senza volerlo qualche cattivo affare, ora per aver agevolato l'immigrazione clandestina. Come pure è capitato che nei conventi o nelle case canoniche siano stati ospitati forestieri che hanno poi dato fastidio alla comunità abusando della benevolenza dei Religiosi, avanzando pretese assurde e compromettendo anche l'andamento della vita religiosa o pastorale o che sia stato poi difficile dimettere una volta che essi si mostravano profittatori più che bisognosi. Esercitare la carità e l'amore a volte corrisponde anche ad essere complici di atti turpi e repellenti, come nel caso (quando da seminarista lavoravo alla caritas) di quel falso bisognoso che frequentava la mensa dei poveri per spacciare ivi la droga o di quell'altro che fece sparire una macchina da scrivere. Se da una parte va indiscutibilmente esercitato l'amore e l'accoglienza attiva nei confronti dei forestieri e degli immigrati, dall'altra non va omessa attenzione e circospezione perché non è possibile accogliere chiunque, in ogni caso e incondizionatamente.

Anche nel concedere donazioni in denaro o in beni alimentari e di vestiario occorre non di rado usare molta prudenza e discrezione: proprio qualche settimana fa una signora della mia parrocchia mi si lamentava di aver donato biancheria e scarpe ad alcuni "poveri" che siedono all'entrata della nostra chiesa per poi vedere, il giorno seguente, i suoi regali abbandonati nei cassonetti della spazzatura o dispersi per le strade sotto casa sua. Le ho detto che la roba da dare in beneficenza non si da MAI direttamente ai poveri o presunti tali, ma ai sacerdoti o alle associazioni di volontariato.

Per non parlare poi di tutti quegli accattoni che ai crocicchi delle strade o nelle chiese chiedono denaro ai passanti per poi spenderlo in alcool o in droghe.

L'accoglienza e l'amore al prossimo non sono quindi facili ad essere esercitati, considerando che "i figli delle tenebre sono più scaltri dei figli della luce" e che pertanto occorre essere "semplici come le colombe, ma astuti come i serpenti": anche se spesso è più facile a dirsi che a farsi, va sempre operata una distinzione fra i veri bisognosi e i profittatori.

Tutto questo però non pregiudica il fatto che la carità operosa ed effettiva debba essere il nostro distintivo e che la prudenza non deve diventare un alibi per mostrare chiusura e refrattarietà verso chi ci chiede accoglienza e ospitalità e che si debba usare a volte diffidenza e discrezione non giustifica che si nutrire pregiudizi, illazioni e secchi dinieghi nei confronti di chi viene a trovarci. Come afferma la Lettera agli Ebrei, "Esercitate l'ospitalità perché molti nel praticarla, senza saperlo hanno accolto degli angeli"(Eb 13,2)

Come riflettevamo la scorsa domenica, il farci prossimo degli altri ci aiuta a riconoscere nell'altro universalmente inteso il nostro prossimo: avvicinarci senza riserve a quanti sappiamo trovarsi in estrema difficoltà; aiutare chi incontriamo sulla nostra strada con i mezzi che abbiamo a disposizione e soprattutto con la nostra disponibilità di cuore; mettere da parte le riserve discriminatorie ed essere imparziali quanto alla razza, alla cultura e alla religione ci aiuta a riscoprire il nostro prossimo come colui che abbiamo immediatamente vicino e che è oggetto dell'amore che Dio riversa a lui nostro tramite.

Esercitare l'accoglienza è quindi sempre un dovere morale che, pur legittimando circospezione e prudenza, materializza immediatamente quella carità con cui ci facciamo "prossimi" agli altri individuando in ciascuno il nostro prossimo. L'accoglienza e l'ospitalità immotivata e disinteressata sono una componente della carità e dell'amore di cui Dio ci rende latori agli altri e non possono non essere esercitati con spirito di attenzione perché scaturenti dalla nostra fede e dalla fiducia disinvolta in Dio poiché nel prossimo ci fanno rilevare la concretezza e la spontaneità del nostro servizio verso il Signore. Servire il prossimo equivale a servire Dio e l'amore verso gli altri è costitutivo immediato dell'amore verso Dio, per cui la carità attiva ed effettiva è un costitutivo irrinunciabile della nostra vita di fede.

E questo è anche il motivo per cui non va omessa da parte di nessuno la carità, la comprensione, l'amore e l'accoglienza nei confronti degli immigrati che popolano le nostre strade, verso i quali occorre certo adottare non di rado delle misure su diversi fronti ma non per questo ci si deve chiudere all'accoglienza e alla solidarietà. E' infatti certamente aberrante che non poche persone di nazionalità straniera si siano macchiati di gravissimi reati e mettano in seria discussione la tutela della nostra convivenza come nel caso di rapine, furti o atti di violenza sessuale messi a segno da parte di immigrati; altrettanto riprovevole altresì è che parecchi degli stranieri che ospitiamo avanzino delle pretese assurde che non sono concesse neppure agli italiani e che parecchi di essi omettano di mostrare gratitudine e riconoscenza verso chi usa amore e disponibilità nei loro confronti; altrettanto reale è il dato di fatto che l'aumento sempre continuo di immigrazioni nel nostro paese destabilizza la nostra economia. Tutto questo però non deve indurci a generalizzare sulle suddette aberrazioni al punto da etichettare tutto l'insieme degli immigrati come persone fastidiose e irriconoscenti; né deve giustificare l'omissione all'accoglienza e alla solidarietà nei confronti di chi viene nel nostro paese in cerca di uno spiraglio di sopravvivenza o della possibilità di crearsi un avvenire, idea che perseguivano anche gli italiani delle vecchie generazioni che emigravano per altri liti. La vicinanza e l'accoglienza degli immigrati e il nostro sostegno morale e materiale nei nostri rigaurdi sono prerogativa singolare e irrinunciabile, considerando soprattutto il beneficio che i nostri immigrati apportano al nostro paese nel sostenere non di rado quelle attività onerose di manovalanza e e di umiliazione che solitamente vengono rifiutate dagli Italiani. Come trascurare del resto la bontà e l'umiltà di fondo di tanti immigrati seri e onesti che non di rado sono costretti a vivere penose situazioni di sfruttamento e di di lavoro sottopagato?

In tutti i casi, pregiudizio razziale e ingiustificata xenofobia vanno scongiurate e sostituite dalla carità e dall'accoglienza operosa e attiva verso coloro che nel chiedere assistenza, aiuto e ospitalità apportano la presenza del Cristo in mezzo a noi, come nel caso dell'episodio evangelico odierno, nel quale egli, pur riconoscente nei confronti di Marta e della sua solerzia organizzativa, non omette di sottolineare il valore di ogni attività di ospitalità, la motivazione di fondo per cui essa va esercitata, e cioè la supremazia dello spirito e il riconoscimento, nella presenza dell'ospite, dello stesso Signore.

Che ci chiederà conto un giorno della misura con ci avremo amato.

 

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