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TESTO Voi chi dite che io sia?

mons. Gianfranco Poma

XII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (20/06/2010)

Vangelo: Lc 9,18-24 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 9,18-24

18Un giorno Gesù si trovava in un luogo solitario a pregare. I discepoli erano con lui ed egli pose loro questa domanda: «Le folle, chi dicono che io sia?». 19Essi risposero: «Giovanni il Battista; altri dicono Elia; altri uno degli antichi profeti che è risorto». 20Allora domandò loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Pietro rispose: «Il Cristo di Dio». 21Egli ordinò loro severamente di non riferirlo ad alcuno.

22«Il Figlio dell’uomo – disse – deve soffrire molto, essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e risorgere il terzo giorno».

23Poi, a tutti, diceva: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua. 24Chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà.

Non dobbiamo mai dimenticare che i Vangeli non sono una composizione letteraria che si propone di narrare la storia di Gesù di Nazareth, ma piuttosto una testimonianza di fede delle prime comunità che hanno creduto che nel suo evento storico si rivela definitivamente il mistero di Dio e la sua volontà di salvare il mondo. Così, il brano che oggi la Liturgia ci fa leggere, Lc.9,18-24, segna un momento particolarmente importante del cammino di fede che Gesù ha fatto compiere ai suoi discepoli e che la comunità cristiana rivive continuamente nella storia.

"Chi dicono le folle che io sia?": è la domanda che leggendo questo brano nella celebrazione eucaristica di questa domenica, le molte persone presenti si sentono porre. Il Vangelo dice che alla domanda posta da Gesù, i presenti hanno risposto: "Alcuni pensano che tu sia Giovanni il Battista, altri Elia, altri uno degli antichi profeti che è risorto". Questo significa che le folle che avevano visto ciò che Gesù aveva detto e fatto fino a questo punto, ritenevano che egli fosse un profeta, un uomo mandato da Dio per ridare vigore al suo popolo, richiamandolo alla fedeltà alla Legge. "Che cosa dicono le folle che io sia?" Sarebbe interessante dare la parola a tutti i fedeli presenti alla celebrazione liturgica domenicale: forse la maggior parte, se pur con parole meno improntate all'Antico Testamento, risponderebbe che Gesù è un grande personaggio, il maestro di una altissima morale, un testimone inimitabile di fedeltà alla verità e alla giustizia.

E' interessante sottolineare che Gesù a questa interpretazione che lo ritiene un profeta, un maestro talmente grande da essere inimitabile, non fa commenti, non smentisce e neppure approva, aggiunge un'altra domanda rivolta alla cerchia di chi gli è più vicino: "Ma voi, chi dite che io sia?" A nome di tutti, Pietro risponde: "Il Cristo di Dio". Risposta teologicamente esatta: è la risposta di Pietro, il capo degli apostoli ed è quella che darebbe ogni sacerdote celebrante che oggi personalmente fosse interpellato. Nel passo parallelo di Matteo (Matt. 16,16), Pietro proclama: "Tu sei il Cristo, il figlio del Dio vivente". E' evidente la diversa reazione di Gesù nei confronti della proclamazione di Pietro in Matteo e in Luca: tanto Matteo sottolinea la bontà della risposta di Pietro, altrettanto non lo fa Luca. Certo Luca riflette la situazione precisa della sua comunità: a lui sta a cuore che la comunità non confonda la fede in Gesù con illusorie aspettative messianiche. La sua comunità è immersa in un ambiente pagano, all'evangelista sta a cuore che la comunità cristiana non abbia mire di conquiste di potere quasi che il potere di qualsiasi tipo assicuri all'uomo la salvezza di cui ha bisogno. La proclamazione di Pietro, percepita nella sensibilità del tempo, corrisponde alla esaltazione di un personaggio di potere: Gesù, in Luca, mette in guardia la comunità cristiana di ogni tempo, dal fare di Lui un personaggio trionfante e della sua proclamazione messianica uno strumento per suscitare illusorie attese miracolistiche.

La reazione di Gesù è rivolta non solo a Pietro, ma a tutti i discepoli: "Egli ordinò loro severamente di non dire ad alcuno questo". Questa parola di Gesù ha una notevole importanza dal punto di vista pedagogico e catechetico per la comunità cristiana di ogni tempo: "non dire questo ("Gesù è il Cristo di Dio") ad alcuno", non insegnare "teorie" su di Lui, non attribuire "titoli" a Lui, prima di aver incontrato personalmente Gesù e di essere entrati nella sua esperienza.

Chi è dunque Gesù? Non possiamo dimenticare che il nostro brano inizia dicendo che "essendo Gesù in preghiera, da solo, si trovavano con lui i discepoli ed egli li interrogava". Potrebbe sembrare contraddittorio dire che Gesù è in preghiera "da solo" e nella stesso tempo è "con i discepoli": in realtà la preghiera di Gesù è la sua dimensione personale di essere con il Padre per essere in comunione con i discepoli. La solitudine con il Padre è la radice della verità della sua esistenza, per poter essere nell'autenticità della comunione con gli altri. La preghiera è per Gesù il momento più intenso in cui egli vive il mistero della sua relazione filiale con il Padre e non può non essere pure il momento nel quale egli vede tutta la sua missione: il momento nel quale confida al Padre le sue inquietudini, i suoi fallimenti nel modo in cui la sua opera è accolta. La preghiera è il respiro dell'esistenza di Gesù che in ogni momento percepisce che tutto di Lui deve essere solo trasparenza dell'Amore del Padre, abbandono totale di se stesso nel Padre per amore per il mondo.

Chi è dunque Gesù? Certo un profeta, ma che con tutto se stesso è la Parola di Dio. Il "Cristo di Dio": certo Gesù è il Messia, ma non trionfante secondo le attese umane. E' il Cristo di Dio ma che non si impone, che non deve "usato" neppure da Pietro o dagli altri discepoli per rivendicare una qualche potenza. "Il Figlio dell'uomo deve soffrire molto, essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e risorgere il terzo giorno": Gesù è il "Cristo di Dio", ma può essere confessato solo dopo essere entrati nel mistero della sua vita abbandonata radicalmente nelle braccia del Padre, dopo aver condiviso con Lui il dolore, il rifiuto, la morte e poi la risurrezione.

Gesù è il "Cristo di Dio" ma egli preferisce definirsi il "figlio dell'uomo" che deve soffrire molto...venire ucciso e risorgere il terzo giorno.

"Poi Gesù a tutti diceva: Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua...". Il figlio dell'uomo completamente abbandonato nel Padre, completamente abbandonato all'amore, che conosce che cosa significhi concretamente tutto questo, che sa che la risurrezione, la vita nuova, viene solo passando attraverso la morte, propone ai suoi discepoli la totale condivisione del mistero della sua esistenza.

Questo è il Vangelo: perdere la vita per amore di Gesù Cristo è il senso della nostra vita, è la vera felicità possibile già da ora. Comprendiamo tutto questo? Abbiamo il coraggio di riprendere ogni giorno il nostro cammino dietro a Lui? Solo così possiamo dirci ancora cristiani.

 

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