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padre Gian Franco Scarpitta  

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XIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (27/06/2010)

Vangelo: Lc 9,51-62 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 9,51-62

51Mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato elevato in alto, egli prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme 52e mandò messaggeri davanti a sé. Questi si incamminarono ed entrarono in un villaggio di Samaritani per preparargli l’ingresso. 53Ma essi non vollero riceverlo, perché era chiaramente in cammino verso Gerusalemme. 54Quando videro ciò, i discepoli Giacomo e Giovanni dissero: «Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?». 55Si voltò e li rimproverò. 56E si misero in cammino verso un altro villaggio.

57Mentre camminavano per la strada, un tale gli disse: «Ti seguirò dovunque tu vada». 58E Gesù gli rispose: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo». 59A un altro disse: «Seguimi». E costui rispose: «Signore, permettimi di andare prima a seppellire mio padre». 60Gli replicò: «Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu invece va’ e annuncia il regno di Dio». 61Un altro disse: «Ti seguirò, Signore; prima però lascia che io mi congedi da quelli di casa mia». 62Ma Gesù gli rispose: «Nessuno che mette mano all’aratro e poi si volge indietro è adatto per il regno di Dio».

Anche se l'ho già fatto nelle precedenti omelie che toccavano questo tema, vorrei riproporre alcuni tratti degli esordi del mio itinerario verso il sacerdozio.

Quando da ragazzino, un po' alla volta, cominciavo ad abbandonare l'aspirazione vaga del giornalismo (a questo infatti mi sentivo portato) per perseguire l'idea del sacerdozio, provavo un primo fascino verso il clero secolare. Del resto non facevo neppure distinzione, sulle prime, fra preti Diocesani e religiosi e il mio intento di diventare prete si orientava verso un senso unilaterale: il sacerdozio nella Diocesi. Le prime battute di questo passaggio erano tuttavia molto incerte e confuse, poiché neppure io stesso sapevo spiegarmi il perché di questo abbandono dell'idea del giornalismo per il sacerdozio, di fronte allo stupore di tutti, specialmente di mio padre. Per farla breve, sentivo un forte desiderio di diventare prete, ma allo stesso tempo non sapevo darmene la ragione e sconoscevo forse il mio reale obiettivo. Cosicché fui indirizzato alla frequenza costante di un gruppo vocazionale nel locale seminario Diocesano, alla vita di parrocchia e alla ricerca di una guida spirituale. Il primo sacerdote a cui mi rivolsi, notando la mia perplessità mi rivolse un giorno una domanda:

"Secondo te per la Chiesa è più importante sposarsi o diventare sacerdote?"

Lì per lì, non sapendo cosa rispondere, dissi che per la comunità ecclesiale era più importante che ci si ordinasse presbiteri onde rendere un servizio sacramentale e ministeriale al popolo di Dio.

"Sbagliato" mi rispose lui sorridendo paternamente. E tornò a domandarmi: "Allora, che cos'è più importante, il sacerdozio o il matrimonio?"

"Beh..." Esclamai tentennando non poco per lo stupore "Allora credo che sia importante sposarsi."

"Sbagliato" Disse lui con la stessa tonalità di prima. "Né il matrimonio è importante per la Chiesa, né lo è il sacerdozio; né la vita religiosa, né la vita professionale" sentenziò con molto garbo "Quello che è più importante è fare la volontà di Dio."

Se vorrai seguire il Signore nel sacerdozio senza che lui ti avrà chiamato a questo, andrai contro la sua volontà, causando fastidi a te stesso e all'intera comunità della Chiesa; parimenti, se ti ostinerai a sposarti mentre il tuo destino è la vita presbiterale, allora sarai di aggravio alla società."

Ricordo poi che fece una breve pausa, mi fissò in volto per alcuni istanti con un sorriso amorevole, quindi proseguì: " Infine, se vorrai a tutti i costi seguire il Signore da prete Diocesano mentre sei votato alla vita religiosa (o viceversa) sarai un eterno insoddisfatto creando malcontento anche nel luogo in cui ti troverai. Renditi conto che devi solo seguire la volontà del Signore, qualunque sia il progetto che Lui ha impiantato su di te."

Anche il Vescovo Diocesano, il primo giorno in cui entrai in seminario mi ribadì quasi il medesimo concetto:"Gian Franco, ti voglio bene qualunque sia il progetto di Dio su di te; quando ne avremo scoperto la natura, tu lo metterai in pratica senza esitazioni né obiezioni."

Dopo un anno di seminario Diocesano, altrettanto imbarazzo e indecisione provai quando il mio parroco, per vari motivi che sarebbe lungo trattare, mi consigliò di fare un'esperienza nel Seminario religioso dei PP. Minimi. Ostinato verso il sacerdozio secolare, non ammettevo la prospettiva di un Ordine Religioso, ma col passare di altro tempo scoprii che probabilmente questa mi era più congeniale. Capii infatti che Dio voleva di me un sacerdote, si, ma con un carisma di consacrazione specifico, quello dei PP. Minimi, di cui oggi sono membro. Nonostante io avessi ogni volta propositi miei personali, Qualcuno mi conduceva verso l'obiettivo che era stato fissato per me: non il giornalismo, ma il sacerdozio; non il solo sacerdozio, ma il sacerdozio nella vita religiosa minima.

Quando si dice che ciascuno ha la sua vocazione, si deve intendere non che ognuno ha il suo talento naturale (o meglio: non solo quello); non che ciascuno sceglie da se stesso, secondo ambizioni e progetti puramente individuali, il proprio destino, né che ciascuno deve far leva esclusivamente sulle proprie forze o sulle proprie capacità. La vocazione (lo dice il termine stesso) è un fatto di chiamata: ognuno ha un destino già tracciato da Qualcuno sin dall'eternità che va scoperto e attualizzato, ragion per cui ogni riferimento vocazione deve partire non dalla domanda: "Cosa farò da grande", ma da quella molto più umile ed impegnativa: "Cosa vuole Dio che io faccia?" Occorre infatti un interrogativo da parte nostra che ci impegni in relazione a Dio e ci distolga dall'indifferentismo religioso, unica matrice di sicura disfatta per scrutare il senso della nostra vita presente e del nostro avvenire alla luce della sua Parola, chiedendo il lume dello Spirito Santo nella preghiera e nella vita sacramentale, certi che Dio non mancherà di esaudirci nella sua risposta attraverso gli ambiti della stessa vita quotidiana e per mezzo degli eventi e delle persone che lui stesso colloca sulla nostra strada.

Non per niente Gesù, in ogni riferimento evangelico che tratti di questo argomento, compreso il brano di oggi, tratta ciascuno singolarmente e differentemente da tutti gli altri. Nel passo di oggi avviene infatti che ad uno egli dica di sua iniziativa: "Seguimi"; ad un altro che gli si propone ribatte prontamente: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell'uomo non ha dove posare il capo", ad indicare che la scelta della sequela dipende solo dalla sua libera iniziativa e non dalla nostra proposta. In tutti i passi biblici la chiamata profetica è quasi sempre visibile iniziativa di Dio, che raggiunge egli per primo, ignari e sorpresi, i suoi interlocutori; anche nel caso degli apostoli vi è una scelta libera e incondizionata da parte di Gesù, che sceglie ora dodici apostoli perché (prima di tutto) stiano sempre con lui e per inviarli ad annunciare il vangelo, ora settantadue discepoli per una missione temporanea specifica; nel libro degli Atti è il Signore che sceglie, per mezzo degli apostoli il successore di Giuda nella persona di Mattia, mentre Giuseppe viene destinato ad altro (At 1, 15-25) e anche la scelta dei sette diaconi viene svolta su indicazione (indiretta) dello Spirito Santo (At 6, 1-7).

L'unico brano biblico in cui Dio accetta la proposta vocazionale libera da parte di qualcuno forse è quello di Isaia: "Eccomi, Signore, manda me" (Is 6, 8). In tutti gli altri casi è sempre Dio a chiamare, in ragione dei suoi singolari progetti, duraturi o momentanei ma tutti a vantaggio degli stessi interessati e dell'intera opera di salvezza. Come nel caso del profeta Elia (I Lettura) che getta sul nuovo eletto il proprio mantello, simbolo nell'Antico Testamento della personalità intera della dignità e del potere carismatico di un uomo, in questo caso della dignità profetica per intero che viene consegnata all'eletto. Dio infatti attrezza, tutte le volte che chiama.

A noi non resta dunque che l'adesione radicale alla chiamata di Dio, di qualunque natura essa sia.

Ma prescindendo dallo specifico della vocazione di ciascuno, qualsiasi progetto di vita va svolto non senza una condizione previa: quella della decisione, della fedeltà e della radicalità, che esclude ogni forma di titubanza, di rimpianto e di ripensamento. La risposta di Gesù a chi vuole congedarsi da casa e a chi intende prendere tempo per "seppellire suo padre" tende ad affermare che la radicalità della scelta decisionale non deve conoscere condizionamenti umani, neppure inerenti la sfera degli affetti e delle personali preferenze, ma che tutto quanto va anteposto a Cristo quando si tratti di rispondere a una chiamata vocazionale.

La scelta di Cristo in conseguenza di una chiamata, sia essa di carattere permanente che duraturo, comporta che ci liberiamo da vincoli di interesse personale, dal predominio di affetti e condizionamenti terreni e dall'attrattiva di realtà che si pongono in alternativa alla scelta radicale del Regno. Aderire alla chiamata di Dio comporta la capacità di rinunce a volte molto coraggiose a beni in sè stessi apprezzabili, il dominio della propria volontà nel deliberare in tutto Cristo e anteporlo ad ogni altro interesse, fosse pure quello più esaltante per noi, e questo senza che vi siano remore, ma come garantisce anche la stessa promessa del centuplo evangelico, tale radicalità sarà sempre foriera di soddisfazioni e garanzie inaspettate.

A tal proposito, sempre ricordando la mia decisione definitiva per la vita religiosa presso i Minimi, mi ricordo che, una volta incamminatomi nell'Ordine, seppure io fossi sempre stato ghiottissimo di salumi e arrosti, non mi pesò affatto di dover rinunciare per sempre a tali cibi per una Regola imposta dal nostro Quarto voto (la vita quaresimale con perpetua astinenza dalla carne). Nonostante la mia infanzia golosa di carne, neppure adesso avverto come un fastidio il dovermene privare ma la rinuncia che in vista del Signore mi è stata proposta avviene senza alcun rimpianto né esitazione di sorta.

Il segreto risiede nel dono della vocazione e nell'amore preferenziale di Cristo da parte nostra.

 

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