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TESTO Commento su Luca 9,11-17

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Santissimo Corpo e Sangue di Cristo (Anno C) (06/06/2010)

Vangelo: Lc 9,11-17 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 9,11-17

11Ma le folle vennero a saperlo e lo seguirono. Egli le accolse e prese a parlare loro del regno di Dio e a guarire quanti avevano bisogno di cure.

12Il giorno cominciava a declinare e i Dodici gli si avvicinarono dicendo: «Congeda la folla perché vada nei villaggi e nelle campagne dei dintorni, per alloggiare e trovare cibo: qui siamo in una zona deserta». 13Gesù disse loro: «Voi stessi date loro da mangiare». Ma essi risposero: «Non abbiamo che cinque pani e due pesci, a meno che non andiamo noi a comprare viveri per tutta questa gente». 14C’erano infatti circa cinquemila uomini. Egli disse ai suoi discepoli: «Fateli sedere a gruppi di cinquanta circa». 15Fecero così e li fecero sedere tutti quanti. 16Egli prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò su di essi la benedizione, li spezzò e li dava ai discepoli perché li distribuissero alla folla. 17Tutti mangiarono a sazietà e furono portati via i pezzi loro avanzati: dodici ceste.

In questa domenica - che la sapienza della Chiesa vuole dedicata al Corpo e al Sangue di Cristo (festa più nota un tempo come "Corpus Domini") - vorrei soffermarmi sul tema dell'Eucaristia. Faccio riferimento all'Evangelo di Luca che oggi proclamiamo, la moltiplicazione dei pani: «(Gesù) prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò su di essi la benedizione, li spezzò e li dava ai discepoli perché li distribuissero alla folla. Tutti mangiarono a sazietà e furono portati via i pezzi loro avanzati: dodici ceste».

Il mio non sarà un commento esegetico, ma esperienziale: che cosa dice a me questo brano, quali sentimenti ed emozioni suscita, quale processo liberante mette in moto. Mi auguro che possa servire anche a tante coppie e a tante famiglie che leggono queste brevi note.

(Gesù) prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò su di essi la benedizione.

Gesù ci rappresenta tutti. Anche noi - nonostante tutte le nostre fatiche e le nostre fragilità, e quanto spesso inconsapevolmente - desideriamo alzare gli occhi al cielo. Senza abbandonare la terra, beninteso. Tenendo anzi i piedi ben piantati su di essa, per non correre il rischio di uno spiritualismo disincarnato. Piedi in terra e occhi al cielo. Questo alzare gli occhi al cielo è l'incontro liberante tra noi - persone e non burattini mossi da una mano invisibile - che avvertiamo in modo confuso ma prepotente il desiderio di un più di coscienza e quel Dio che viene e si unisce a noi. In una recentissima inchiesta sulla religiosità giovanile, Noemi - una ragazza intervistata - è uscita in un'espressione sconcertante, bellissima, degna di un mistico come Meister Eckhart: «È una cosa talmente personale che non lo chiamo neanche Dio». Ecco, questo è uno dei «luoghi» dell'Eucaristia: un luogo teologico dal quale occorre partire per fissare l'incontro in altri luoghi, antropologici ed ecclesiali. L'Eucaristia è davvero questo momento ascensionale in cui io, persona, trovo la mia realizzazione. Io, la più abbietta e la più debole delle creature, sono entrato in contatto intimo con la Trascendenza. Quando sono in c0ntatto intimo con la persona che amo, non la chiamo neppure più per nome. Anche se discendo all'inferno con i miei compagni di strada - e devo, voglio discendervi, come ha fatto il Cristo nel silenzio allucinante del sabato santo, prima della Risurrezione - so che non potrò più precipitare verso la dissoluzione e la morte. Sono in Dio. Sono di Dio. L'angoscia della fragilità - che pur permane perché è una componente ineliminabile della nostra umanità, della nostra creaturalità - viene ancorata al Cristo, redenta, trasfigurata. I piedi sulla terra sono ora leggeri. Ho alzato gli occhi al cielo. L'Eucaristia? Un mistero che interpella la mia fragilità.

Li spezzò.

Nei "paesi di missione", in Africa, in America Latina, lontano migliaia di chilometri, non solo geografici, dalle stanche ritualità rubriciste delle nostre vecchie chiese, ho vissuto le più belle eucaristie della mia vita. In un barrio di una grande città latino-americana, nella casa poverissima di un prete a me molto caro, ogni mercoledì si incontra una piccola comunità: due o tre coppie (una "in crisi"), un seminarista (vocazione adulta), una ragazza (madre di due bimbe), ma non è raro vedere arrivare qualche «estraneo», alla faticosa ricerca di un senso all'esistere. La porta è sempre aperta, anzi non esiste proprio. L'appuntamento è alle 20 di sera, dopo il lavoro. Anche il mio amico prete lavora come operaio. Ci sediamo attorno al tavolo della cucina; su una tovaglia ricamata da una delle ragazze deponiamo una pagnotta di pane fresco e un bicchiere di vino. Si celebra l'Eucaristia e il mio pensiero va subito a don Giacomino, al "nostro" don Giacomino, l'indimenticabile assistente nazionale dei CPM che ci ha lasciato alcuni anni fa e che sarebbe così felice di essere qui. Il mio amico prete non ha paramenti, non servono per cogliere la presenza del Signore in mezzo a noi.

Una Presenza, la Parola dell'Evangelo del giorno, che tentiamo - nonostante la stanchezza di tutti - di attualizzare nella nostra vita, nelle nostre fatiche e nelle nostre infedeltà, nell'amicizia dei presenti, nella struggente nostalgia degli assenti.

Un Presenza, quel pane che il celebrante spezza per tutti e quel vino, che facciamo circolare fraternamente.

In queste celebrazioni non si guarda l'orologio, tutti hanno bisogno di dire qualcosa, e la diversità delle lingue non è una Babele, hanno bisogno di aprirsi alla fiducia e alla confidenza. L'intimità si addice agli amici. Recitando il Padre Nostro ci prendiamo spontaneamente per mano, per prendere - realmente non solo simbolicamente - Lui in mezzo, come diceva sempre don Giacomino.

Mi vengono in mente gli ultimi versetti, proprio in senso biblico, di un poema di Ernesto Cardenal, il piccolo monaco trappista, poeta, che cantava dal suo Nicaragua:
Risuoneranno i miei inni in mezzo a una gran folla,
i poveri prepareranno un banchetto,
il nostro popolo celebrerà una gran festa,
il popolo nuovo che sta per nascere.

Un popolo nuovo, il nostro, nell'utero gravido della storia.

E li dava ai discepoli perché li distribuissero alla folla. Tutti mangiarono a sazietà.

Alla folla... e tutti mangiarono. Sì, l'Eucaristia è il centro unificatore del mondo: credere in Cristo, partecipare all'Eucaristia, non è un'operazione intellettuale, un rito accessorio, precesttistico, ma non indispensabile come alcuni vorrebbero farci credere. È entrare in questa dinamica di salvezza. L'Eucaristia crea la comunità ed è dunque per tutti. Gesù ha fatto distribuire il pane a tutti, non ha attuato complicati riti di selezione, tu sì, tu no. Il pane è per tutti, senza esclusioni. E poi, chi decide l'esclusione, chi dice tu sei degno e tu non l0 sei? Non certo Lui, quel Gesù che abbiamo "preso in mezzo" recitando il Padre Nostro, in quella lontana terra di missione. Lui è l'aspirazione massima della mia coscienza, attraverso la quale solo Lui mi giudica.

A una ragazza, che ha sposato alcuni anni fa con rito civile suo marito, abbandonato dalla moglie, divorziato, reduce stremato da due sessioni contrastanti di giudizio presso il Tribunale Ecclesiastico e privo della forza fisica, morale ed anche economica per accedere al giudizio definitivo, triste e mortificata perché le sono stati e le sono tuttora negati i sacramenti della riconciliazione e dell'Eucaristia, e che fa fatica a vivere la sua vita cristiana senza di essi, ho detto (l'opinione è solo mia e me ne assumo totalmente la responsabilità) che la Chiesa non sta nel mondo come organo giuridico, con una funzione di controllo e di giudizio, ma è lì per rendere attuale e presente la salvezza, rinnovando ogni giorno il mistero dell'Eucaristia. Si può vivere senza Eucaristia? Chi ha fame e sete può vivere con pietose pacche sulle spalle, con fumose assicurazioni di «misericordia»? Il paragone potrà anche apparire brutale (ancorché compatibile con la teologia conciliare), ma è un po' come se si invitasse a cena un gruppo di amici e poi, al momento di sedersi a tavola, ad alcuni di essi si chiedesse di digiunare.

Il sommesso interrogativo è: tutto questo non appare un po' schizofrenico... invitare gli amici alla Cena e poi escluderne una parte dal cuore stesso di essa? Verrebbe da chiedersi - non certo provocatoriamente, ma solo con una sofferenza profonda - se in questo caso, con la presenza cioè, nella comunità radunata, di chi viene escluso dalla Cena, non sarebbe più significativo e più umano il digiuno da parte di tutti ...

Personalmente non sono particolarmente interessato agli equilibrismi un po' patetici di quei teologi che, con in mano il Codice di Diritto Canonico, si affannano a trovare giustificazioni per l'esclusione. Non è questo "il mondo nuovo che sta per nascere". Questo mondo non è basato sulla divisione tra buoni e cattivi. Selezionare chi può e chi non può ricevere l'Eucaristia mi sembra non solo la negazione della forza vincolante della coscienza, che è il tribunale ultimo di ogni soggetto, ma il tradimento stesso del significato dell'Eucaristia, da cui tutti dobbiamo lasciarci assimilare per sperimentare la salvezza e per collaborare alla salvezza (la liberazione) del mondo. Alla ragazza che ha avuto il coraggio di testimoniare la sua angoscia profonda ho detto che il giudizio finale non sarà pronunciato né da giuscanonisti, né da una commissione teologica, ma solo da Colui che "abbiamo preso in mezzo" recitando il Padre nostro, prima di mangiare il pane spezzato.

Furono portati via i pezzi loro avanzati: dodici ceste

Colligite fragmenta... raccogliete i frammenti. L'invito è di Gesù e vale anche per noi oggi, nel nostro mondo frammentato.

La frammentazione è veramente il problema del tempo che ci è dato in sorte da vivere. Ognuno di noi è un piccolo frammento che gira vorticosamente nel mare dell'insignificanza, proiettato verso non si sa dove. Eppure ogni frammento, anche il più piccolo, non può essere disperso. Va salvato dalla dispersione, dal precipitare nel buio della morte. Cristo è veramente il centro di unificazione del mondo. Con l'Eucaristia Egli attrae tutto a sé. Ci conduce dalla pluralità all'unificazione.

Per questo il mistero dell'Eucaristia - che oggi meditiamo - è troppo serio e troppo consistente per essere banalizzato. È un mistero d'amore che, come ogni amore, non può essere compreso se non vivendolo, sperimentandolo, se non partecipando al dolore cosmico degli uomini e delle donne che abitano l'universo e non separandosene mai, ma facendosi per tutti puro dono. L'Eucaristia è puro dono per tutti. Partecipare ad essa e pensare alla propria salvezza individuale è un po' tradire questo mistero grande.

Dio, l'Altro, il Totalmente Altro, può ancora essere vicino a noi, a ognuno di noi, perché ogni frammento ha un valore che supera qualsiasi immaginazione. Un Dio che è alterità insondabile perché non è a misura umana... Eppure, con l'Eucaristia, si fa talmente prossimo da non poter essere mai più disgiunto dall'intimità più profonda con ogni essere umano. Se non è un mistero questo... Vertiginoso.

TRACCIA PER LA REVISIONE DI VITA.

1) Che cos'è per me l'Eucaristia? Una devozione privata? Il sostegno della comunità dei credenti?

2) Quale aiuto dà l'Eucaristia alla crescita della nostra famiglia? Quali sono gli impegni che prendiamo partecipando all'Eucaristia?

3) Quale aiuto do ai miei figli (o ai miei nipoti) nel prepararli alla loro "prima Comunione"?

Commento a cura di Anna e Luigi Ghia

 

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