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Santissima Trinità (Anno C) (30/05/2010)

Vangelo: Gv 16,12-15 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Gv 16,12-15

12Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. 13Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future. 14Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. 15Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà.

Lo Spirito prenderà del mio e ve l'annunzierà

Pensare alla Trinità ci fa fatica. In qualche modo sembra che non ci riguardi. O, se non altro, che non cambi nulla per noi e per la nostra fede. Forse può essere argomento di interesse e di indagine dei filosofi o dei teologi. Ma è un mistero così lontano, che ha poco a che spartire con l'ordinarietà della nostra vita di fede. Ma è realmente così? Possiamo così disinvoltamente archiviare il problema, semplicemente rimuovendolo? In verità il mistero della Trinità è al cuore della fede cristiana, perché è mistero che parla di Dio e di noi. E parla di noi, in quanto ci rivela la più intima natura del Dio che ci ha creati e fatti a sua immagine.

1. In primo luogo ci parla di Dio, in quanto ci racconta qual è la sua più intima realtà e come si è manifestato lungo la storia della salvezza. I brevi versetti che la liturgia odierna ci suggerisce, sono tratti da un lungo discorso di Gesù, pronunciato poco prima del suo ritorno al Padre. Attraverso questo discorso di addio, Gesù sta rendendo partecipi i suoi delle verità più profonde che lo riguardano. Si tratta di verità che riguardano Lui, il Padre e lo Spirito, dono promesso ai discepoli a seguito della sua dipartita da loro.

Gesù sa di essere vicino alla realizzazione del disegno del Padre, che si compirà nei giorni terribili e gloriosi della sua passione, morte e risurrezione, ma vuole che il suo ritorno al Padre non sia vissuto dai discepoli come un abbandono. È, piuttosto, la condizione necessaria per la venuta dello Spirito: "È bene per voi che io me ne vada. Infatti, se non andessi, il Paraclito non potrebbe venire da voi" (Gv 16, 7). Ed il compito proprio dello Spirito, nel tempo che separa il ritorno di Gesù al Padre e la sua venuta finale, nella Parusia, è quello di offrire la sua testimonianza a Gesù, introducendo gradualmente i suoi discepoli alla piena comprensione di tutto ciò che Egli ha detto e fatto. Lo Spirito non ha nulla in più da aggiungere alla rivelazione di Gesù, ma allo Spirito Gesù affida il compito di portare avanti la sua missione attraverso la vicenda storica dei suoi, rimandando continuamente al suo insegnamento, alla sua persona.

Lo Spirito è chiamato a portare avanti la missione del Figlio, esattamente nel modo in cui Gesù ha compreso e realizzato la sua missione in stretta unione al disegno del Padre. Gesù non è venuto nel mondo a dire parole sue, a cercare una gloria per sé: Egli è stato tutto proteso ad ascoltare e realizzare ciò che ha udito dal Padre. Per questo Gesù può affermare: "Egli prenderà del mio e ve l'annunzierà" (v. 14).

2. In secondo luogo, il mistero della Trinità ci parla di noi, in quanto Gesù, rivelandoci l'intimo rapporto tra Lui e il Padre, nello Spirito, sta inserendo i discepoli e, attraverso essi, tutti noi che da essi abbiamo ricevuto l'annuncio della sua Pasqua, nella vita intima di Dio che è relazione, comunicazione, comunione. In una parola: amore! Una relazione d'amore che si apre, inglobando l'umanità intera nel dialogo intra-trinitario.

Bonhoeffer, a questo riguardo, afferma in Sequela: "Con Cristo abita presso di me il Padre, e Padre e Figlio per mezzo dello Spirito Santo. È la santa Trinità stessa che ha preso dimora nel cristiano, lo pervade e lo rende sua immagine". Dunque, contemplare, intuire qualcosa del mistero d'amore della Trinità Santa significa meglio comprendere noi stessi, la nostra più intima e costitutiva identità che è un'identità relazionale, comunionale, plurale.

Il nostro essere ad immagine e somiglianza di questo Dio comporta per noi un impegno serio a comprendere noi stessi come esseri in relazione e a vivere i rapporti interpersonali improntandoli alla comunione e all'amore vicendevole e verso tutti. Tali relazioni si giocano, innanzitutto, in ambito intra-ecclesiale, perché sia sempre più evidente e trasparente l'immagine di una Chiesa, icona della Trinità. Ma poi ogni altro rapporto sociale, dai rapporti di coppia alla famiglia, dalle amicizie al luogo di lavoro, sono concrete occasioni che ci vengono offerte per "giocarci" la nostra identità relazionale, costruendo relazioni sempre più umanamente ricche, capaci di reciproco rispetto e di amore disinteressato.

L'eucaristia è sacramento di comunione. È invito a verificare la qualità della nostra vita in relazione, perché sia sempre più informata dallo spirito del vangelo. Paolo rimprovera aspramente la comunità dei Corinzi che, celebrando l'eucaristia, continuava a vivere le fratture e le lacerazioni al suo interno, senza lasciarsi cambiare il cuore e la vita dal sacramento celebrato. Sia un appello anche per noi!

Commento di don Adriano Caricati

tratto da "Il pane della Domenica. Meditazioni sui vangeli festivi" Anno C
Ave, Roma 2009

 

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