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TESTO Distinti ma uniti, uniti ma distinti

Marco Pedron  

Santissima Trinità (Anno C) (30/05/2010)

Vangelo: Gv 16,12-15 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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12Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. 13Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future. 14Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. 15Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà.

Oggi la chiesa celebra la festa Della Trinità. La Trinità celebra un Dio che è comunione, relazione, famiglia. Dio non è un'entità di solitudine ma una realtà dinamica, viva e relazionale.

Quando noi diciamo la parola "famiglia" non diciamo un'entità monolitica, statica: succedono così tante cose in una famiglia! Vi sono così tante dinamiche, rapporti e situazioni in una famiglia. Dio è così: Famiglia.

La Trinità non è un problema matematico (come conciliare che Dio sia Uno e che siano Tre: Padre, Figlio e S.S) ma è la suprema espressione dell'esperienza che tutti facciamo dell'amore e della comunione umana.

Ciò che importa nell'amore è che restiamo uniti e non che ci fondiamo insieme. E' importante che ci doniamo senza perderci. Ed è importante che rimaniamo uniti senza uniformarci e divisi senza però essere separati. L'amore vero è quello trinitario: unito ma non uniforme, separato ma non diviso.

Dietro alla Trinità, ma anche a tutte le dottrine e i dogmi, c'è l'esperienza di Dio. Cioè: prima vivi l'esperienza di Dio e poi capirai chi è. Non scervellarti per capire cos'è la Trinità, quando non conosci Dio. Perché Dio non è un pensiero, una filosofia, una psicologia, un frutto della ragione, ma Dio è Vita, cammino, esperienza.

La chiesa prima visse l'esperienza di Dio e poi capì cosa voleva dire tutto questo. La Trinità non è frutto di concetti, di filosofie, di "scervellamenti"; non è uno sforzo speculativo, d'equilibrismo che conduce la mente a capire chi è Dio. Ma è l'esperienza che si fa parola, comprensione. La Trinità è l'esperienza dei primi discepoli: Gesù, loro amico, loro compagno e loro maestro si riteneva figlio di Dio e agiva realmente così, da figlio di Dio. In quell'uomo c'era Dio! In quell'uomo i discepoli sperimentarono un mondo d'amore, di comunione, di vita così grande, così pro-fondo da non avere fondo. E utilizzarono l'immagine che più poteva esprimere questo: una famiglia, con un padre, un figlio e il loro amore rappresentato dallo spirito.

La definizione, il dogma e la religione sono la scala, ma la meta è Dio. Quando sei arrivato in cima lascia la scala, perché non ti serve più. La definizione è come una strada che ti deve condurre alla meta. Se la definizione non ti porta dove devi andare non è una buona definizione.

La religione è l'auto che ti porta dalla tua fidanzata; ma la fede, Dio, è la tua fidanzata. Non confondere mai l'auto con la fidanzata. Non assolutizzare mai nessun mezzo, nessuna pratica, nessuna disciplina. Ogni pratica è buona se mi porta da lei. Se si ferma su se stessa è assolutamente inutile. La religione può essere di grande aiuto finché non la poniamo a livello superiore di Gesù Cristo.

Allora la Trinità è l'esperienza che Dio è comunione. Dio non è solo: è un Padre, un Figlio e il loro Amore, il loro Spirito.

Quando diciamo che Dio è Trinità, diciamo l'esperienza dell'amore e della comunione. Cioè: siamo distinti e allo stesso tempo uniti, ma non fusi. Ciò che conta è che lo spirito ci tenga uniti, che lo stesso spirito ci abiti, che ci sia qualcosa che ci leghi.

I rapporti fra un uomo e una donna, fra una mamma e un figlio, fra amici, dovrebbero essere così: uniti, ma distinti diversi, ma non separati. E l'amore, lo spirito, il profondo, l'amore dovrebbero essere la "colla" che li unisce.

Uniti, ma distinti. Viviamo la gioia dell'amore, facciamo cose insieme, progetti, figli, condividiamo tempo ma non fondiamoci. Non siamo, né saremo mai un'unica cosa. Io sono io e tu sei tu... L'amore, infatti, è la forza che unisce le nostre due sponde e i nostri due argini.

Ci sono un sacco di persone che vogliono che il partner-figlio faccia come loro, che sia così come loro hanno stabilito; lo vogliono uguale, simile, non riescono ad accettare che le cose-persone siano diverse o siano fatte diversamente. Ma un punto di vista è solo la vista da un punto.

Molti genitori pretendono che i figli divengano la loro copia o come loro hanno in mente. Ma se questo accade li rovinano, li defraudano della loro personalità. Se un genitore vuole che il figlio viva per lui (che lo accudisca nella vecchiaia; che raggiunga i successi che lui non ha ottenuto; i figli che fanno da genitori ai loro genitori) inverte il rapporto genitore-figlio: è il genitore che accudisce e che si prende cura del figlio, non viceversa.

In molte comunità si parla di unità, di comunione, di fraternità, ma questo, a volte, vuol dire che chi non fa come noi, come il capo o come tutti è fuori, escluso. Non ci accetta la di-versità.

Ti amo, ma non ti posso mangiare, non ti posso possedere, farti mio, conglobare; non mi posso fondere con te, perdermi per te, annientarmi per te; tu non puoi sacrificare la tua vita per me. Uniti, ma distinti. Tu sei tu, e io sono io: amiamoci, ma non con-fondiamoci, non facciamo, cioè, confusione.

Distinti, ma uniti. Io sono io e tu sei tu: siamo distinti, due vite diverse. Ma siamo uniti perché ciò che unisce è ciò che condividiamo l'uno con l'altro, è il nostro aprirci e il nostro darci. Se c'è comunione, se c'è dialogo, se c'è profondità, se c'è apertura allora la divisione è colmata dai nostri cuori, dal nostro darsi e riceversi, dal nostro aprirsi, dal nostro amore, dal nostro spirito.

Ci sono molte persone che stanno insieme ma sono distinte e distanti. C'è unione fisica, ma non c'è unione dei cuori. E quando si è lontani nel cuore, si fa l'amore ma non si è amore. Ciò che ci dovrebbe unire è lo spirito.

Unità non è fare le stesse cose, avere le stesse idee, fare tutti come me. L'unità non è il frutto di un matrimonio, del fatto che facciamo le nostre cose insieme, che siamo appartenenti al medesimo gruppo. L'unità è il frutto del nostro amore, del darci il nostro spirito, del condividere ciò che di più prezioso e caro abbiamo dentro.

Vi sarà capitato, lo spero per voi!, di parlare con qualcuno e sentire che si è diversi, su sponde anche lontane, con idee diverse, ma che i vostri cuori sono vicini e sentire le anime che si toccano.

La chiesa dovrebbe essere come la Trinità: diversi ma uniti. Dovrebbe amare esperienze diverse, cammini non omologati, strade non uguali per tutti. Dovrebbe favorire l'unione dei cuori, degli spiriti, delle anime, non l'uniformità. Dio è così!

La festa di oggi parla di un Dio che è famiglia, relazione, rapporto.

Una vita senza relazioni non è degna di essere vissuta; una vita senza relazioni non si può definire vita. Le relazioni sono lo strumento con cui impariamo a vivere (i nostri genitori ci hanno insegnato la vita attraverso la relazione con loro); le relazioni sono lo strumento con cui noi portiamo fuori (re-lazione, da refero, portare fuori, portare di nuovo) la vita che abbiamo in noi.

Buone relazioni equivalgono ad una vita significativa. E cattive relazioni vogliono dire una vita sempre risentita.

Noi veniamo da una relazione tra un uomo e una donna. La cosa che più ci farà felici nella vita sarà avere una buona relazione con noi (amarsi, rispettarsi, essere felici di sé ed essere in relazione con il proprio profondo-anima) e una buona relazione con altri esseri (l'amore).
Avere relazioni è normale, essere capaci di relazionarsi no.

La festa della Trinità ci invita a portare luce sui nostri rapporti e sulle nostre relazioni. La maggior parte delle persone non si interroga mai sulle proprie relazioni. Si crede che per il solo fatto di saper parlare, allora si sappia anche relazionarsi. Altri dicono poi: "Sono così non ci posso fare niente; è il mio carattere; non posso cambiare; non c'è niente da cambiare".

Un giorno all'università lungo un corridoio un ragazzo incontra una sua amica: "Ma dai, che bello vederti qui, anche tu all'università. Lo sapevo che l'avresti frequentata anche tu!". E lei risponde: "Faccio le pulizie dei corridoi e dei bagni!".

Alcune relazioni sono dominate dalla paura. Una donna in settimana mi ha detto: "Anche se mi picchia almeno tre volte la settimana lo so che mio marito mi ama tanto". E' la paura di aprire gli occhi e di accorgersi che si chiama"amore" qualcosa che non ha niente a che fare con l'amore.

Un'altra mi ha detto: "Non posso vivere senza di lui" e così permette di tutto a suo marito che la tratta come una schiava, che la tradisce, che non c'è mai, che non l'aiuta mai. E' la paura di rimanere da soli; cosa non si sopporta pur di non essere da soli! (Ma conviene?).

Alcune relazioni sono dominate dalle aspettative eccessive. Molte persone stanno male e pretendono che gli altri si prendano cura del loro malessere. "Se stai male è un problema tuo"; "sei tu che stai male, tocca a te prenderti cura del tuo problema". Molte persone si attendono che qualcuno risolva le loro questioni: ma sono le loro questioni e non le nostre. Non si capisce perché dovremmo farlo noi se non lo fanno loro stessi! Vuoi una cosa? Chiedi e preparati ad accettare il sì e il no. Ma non aspettarti le cose dagli altri senza mai neppure aprire bocca: "Tu dovresti capire... lo dovresti vedere da te stesso... perché non vieni da me (vieni tu!)... non mi telefoni mai (telefonami tu!)...".

Molte relazioni sono egoistiche: l'egoismo è voler modificare gli altri per il proprio tornaconto, per paura di soffrire, di star male, per avere dei vantaggi. Il marito alla moglie: "Non puoi uscire con le tue amiche altrimenti io rimango a casa da solo!". Il padre al figlio: "Tu fai così perché te lo comando io e non si discute". Tra fidanzati: "Quando io sono libero, tu non ti devi prendere appuntamenti altrimenti non ci vediamo mai".

Molte relazioni sono dominate dal possesso. Conosco partner che impediscono al compagno di uscire la sera per una pizza con i colleghi; genitori così gelosi dei fidanzati dei propri figli da screditarli o da impedire loro di vederli; amici che si rodono se qualcun altro gode dell'amicizia del loro amico; mariti e mogli che vanno su tutte le furie se qualcuno guarda o scherza con il proprio partner. "Non hai il diritto di possedere nessuno se non te stesso".

Altre relazioni sono dettate dalla paura. Una donna mi ha detto: "Non posso perderlo, altrimenti chi troverò?". Ad un uomo ho detto: "La lasci". E lui: "Ma che cosa potrebbe pensare mia madre?".

Altre basate sulla svalutazione o sulla presa in giro. Alcuni partner fanno passare i propri compagni sempre nel ruolo di "stupida, di cretinetta, di quella che è indietro, di inferiore, che non sa, di poco intelligente, di non bella, di quella da sopportare". Ma allora perché ci stanno insieme? Non è che abbiano bisogno di qualcuno da svalutare per sentirsi superiori loro?

Altre relazioni sono distorte semplicemente perché ci è stato insegnato così.

Mi ricordo alcune cose di quand'ero piccolo. Mia mamma mi diceva: "Dormi un quarto d'ora e poi ti sveglio", ma mi lasciava dormire tutto il pomeriggio così poteva fare un sacco di cose. E così ho imparato a non crederle e non mi fidavo mai del tutto di lei.

Altre volte mi diceva: "Se vai male a scuola mi darai un dispiacere; se non fai quella cosa io starò male". Era un modo sottile con cui mi costringeva a fare anche ciò che non volevo fare o che non riuscivo. Era troppa l'ansia e la paura di vederla stare male (era sempre su e giù per gli ospedali come potevo darle anche io dell'altro male?).

Altre volte mia madre mi diceva: "Se fai questo lavoretto la mamma ti vuole più bene, ti dà questo premio". Io lo facevo ma solo oggi mi rendo che era (fatto in buona fede) un sottile metodo per manipolarmi e per farmi fare anche quello che non volevo, perché come si fa a restare senza l'amore della mamma?

I miei nonni mi chiedevano: "Vuoi più bene al papà o alla mamma?". Se dicevo che volevo bene ad uno dicevo in pratica che odiavo l'altro. Ma io volevo bene ad entrambi. Erano loro che non volevano bene ad entrambi!

Un mio compagno di scuola veniva picchiato dai suoi. E diceva: "Quando sarò grande li ucciderò". Oggi è diventato un delinquente che pesta gli extracomunitari: penso che stia picchiando i suoi genitori.

Il vangelo dice: "Ho molte cose ancora da dirvi, ma per ora non siete capaci di portarne il peso". Sì, ci sarebbero molte altre cose da dire, ma per ora va bene così.

Il vangelo continua: "Lo Spirito di verità vi guiderà alla verità tutta intera". E' importante che portiamo verità, luce, nelle nostre relazioni altrimenti i nostri legami di vita diventano i nostri legacci di morte, le nostre relazioni d'amore un cappio al collo, altrimenti sono le relazioni che gestiscono noi e non noi che gestiamo le nostre relazioni.

Il vangelo conclude: "Quando verrà lo Spirito di verità vi guiderà alla verità tutta intera". Allora io guardo alle relazioni d'amore e di verità della Trinità tra Padre, Figlio e Spirito Santo e prego perché anche nella mia vita le mie relazioni siano più vere.


Pensiero della Settimana

Una figlia di otto anni si ferisce e la mamma la porta al pronto soccorso. La madre è molto preoccupata e finché il medico sutura con alcuni punti la ferita della figlia gli dice: "Mi raccomando dottore faccia bene perché lei è l'unica mia figlia". Allora la bambina la guarda e le dice. "Ma mamma... e mia sorella?". "Cara, lei è l'altra mia unica figlia!".

Sei miliardi di persone... e sei miliardi di figli unici.

 

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