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TESTO Carità personale

don Daniele Muraro  

V Domenica di Pasqua (Anno C) (02/05/2010)

Vangelo: Gv 13,31-33.34-35 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Gv 13,31-35

31Quando fu uscito, Gesù disse: «Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. 32Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito. 33Figlioli, ancora per poco sono con voi; voi mi cercherete ma, come ho detto ai Giudei, ora lo dico anche a voi: dove vado io, voi non potete venire. 34Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. 35Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri».

Il comandamento nuovo di Gesù è quello dell'amore. Egli lo lascia agli Apostoli come suo testamento. Infatti ne parla durante l'ultima Cena, poco dopo che Giuda è uscito per portare a termine il suo incarico.

Se i discepoli non vorranno tradire il messaggio di Gesù, dovranno mettere in pratica il suo comando di amare. Strettemente parlando non chiede amore per sé, ma un amore come il suo. Il doppio comandamento dell'amore di Dio e dell'amore del prossimo rimane valido, ma nel momento cruciale Gesù aggiunge il suo esempio: "Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri". Insomma per Gesù la logica dell'amore è la sua.

Non è un consiglio, non è un suggerimento, è un comando, ma dato in maniera nuova, ossia con la forza dell'esempio e senza chiedere nulla in cambio se non l'imitazione.

"Ancora per poco sono con voi", Gesù vuole collegare il suo insegnamento con quello che Gli capiterà di lì a poco e che sarà la dimostrazione più evidente di quello che intende.

Giuda darà l'occasione di manifestare la grandezza del suo amore per Dio Padre e per gli uomini, per questo Gesù parla di glorificazione. "Ora il Figlio dell'uomo è stato glorificato", non a parole, ma coi fatti.

Ricordandosi di questo san Giovanni nella sua lettera ripeterà: "Figlioli, non amiamo a parole né con la lingua, ma con i fatti e nella verità." La verità è la corrispondenza tra gli insegnamenti e le azioni.

Gli scribi e i farisei dicono e non fanno; ma per quelli che credono in Lui Gesù dice che non può essere così. La raccomandazione vale in maniera particolare per i suoi ministri.

Paolo e Barnaba "- dicevano - dobbiamo entrare nel regno di Dio attraverso molte tribolazioni".

Nonostante la cattiva impressione che la frase può suscitare si tratta di un incoraggiamento, perché le tribolazioni di cui parlano essi ce l'avevano alle spalle; le avevano già affrontate e superate e perciò le portano come esempio.

Siamo alle ultime battute del primo viaggio, quello di Domenica passata. Di passaggio per Listra, Iconio e Antiochia Paolo e Barnaba confermano nella fede quelli che da poco erano diventati credenti.

Deve essere stata una faticata incredibile per loro Barnaba attraversare quelle regioni dell'Asia Minore a piedi tra aridi altopiani e condizioni climatiche avverse.

Molti anni dopo scrivendo a Timoteo san Paolo se lo ricorda ancora, lui che un tempo andava veloce a cavallo verso Damasco: "Quali cose mi accaddero ad Antiochia, a Iconio e a Listra! Quali persecuzioni ho sofferto! Ma da tutte mi ha liberato il Signore!"

Egli può essere così diretto con il suo discepolo perché quell'avventura l'avevano vissuta insieme: "Tu mi hai seguito da vicino nell'insegnamento, nel modo di vivere, nei progetti, nella fede, nella magnanimità, nella carità, nella pazienza, nelle persecuzioni, nelle sofferenze."

Come sappiamo dagli Atti le condizioni di vita si erano rivelate così dure che Giovanni Marco, il futuro evangelista aveva mollato quasi subito, ritirandosi, mentre Timoteo aveva perseverato.

Chi è pratico delle cose di mondo non faticherà ad ammettere che le sofferenze subìte ingiustamente esasperano e alle fine incattiviscono.

Non andò così con i due Apostoli. Essi incoraggiano gli altri; anzi andandosene stabiliscono per ogni comunità degli anziani che facciano da guida, prendendo esempio da loro. Il motivo è che tutte le prove superate le avevano vissute nell'amore del Signore.

L'esempio l'aveva dato Gesù stesso il quale nell'Ultima Cena non badando al prossimo momentaneo cedimento dei suoi Apostoli aveva parlato loro con simpatia e fiducia. Con loro Egli si dimostra quasi paterno, infatti li chiama: "Figlioli".

Diceva san Gregorio Magno: "Ai buoni va detto che cerchino di amare coloro che sono costretti a sopportare, perché se la carità non accompagna la pazienza, la virtù, tale solo all'esterno, non si tramuti nella più grave colpa dell'odio."

Insomma, senza l'amore nulla vale, ed è l'amore che fa grande una persona, qualunque sia il suo carattere e in qualsiasi stato si trovi a vivere. È necessario che ognuno si renda conto di ciò che porta in sé per via del suo temperamento, oltre che degli impulsi che lo incalzano da vicino a motivo della sua condizione di vita.

Questo è anche il compito del pastore: non trattare tutti allo stesso modo, ma saper proporzionare il suo intervento misurandolo ed adattandolo a ciascuno.

Ad esempio non è lo stesso avere a che fare con tipi allegri o tristi. I primi sono inclini alla licenza, quelli tristi all'ira. Chi tende all'allegria perciò deve essere avvisato di frenare la sua esuberanza; ai tipi tristi invece il pastore deve presentare la gioia delle ricompense che lo aspettano.

Al di sopra di tutto deve stare la carità, che è la qualifica propria del cristiano e che viene direttamente dal Signore: "Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri".

Essa supera ogni declinazione di carattere, tocca direttamente il cuore, cioè il centro della persona e costruisce la comunità, nel rispetto di tutti e dando valore a ciascuno. Per questo è così importante.

 

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