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don Daniele Muraro  

IV Domenica di Pasqua (Anno C) (25/04/2010)

Vangelo: Gv 10,27-30 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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27Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. 28Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. 29Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. 30Io e il Padre siamo una cosa sola».

Nel Vangelo Gesù si presenta come il buon Pastore, nella prima lettura invece abbiamo sentito la cronaca di vicende concrete legate alla prima predicazione del Vangelo.

Paolo e Barnaba si sforzano di mettere in pratica l'ideale proposto da Gesù. Pastore letteralmente è colui che pasce, cioè che nutre, e i due Apostoli tentano con grande sforzo prima di far nascere comunità cristiane e poi di farle crescere spiritualmente.

Paolo e Barnaba annunciano la Parola del Signore e istruiscono più persone possibile prima di condurle al battesimo. All'insegnamento e al dono della fede attraverso il sacramento, essi uniscono la loro testimonianza personale, in modo che il loro ministero sia completo.

Dice il Papa in questa giornata di preghiera per le vocazioni: "L'iniziativa libera e gratuita di Dio incontra e interpella la responsabilità umana di quanti accolgono il suo invito a diventare strumenti, con la propria testimonianza, della chiamata divina."

E ancora: è la testimonianza personale, fatta di scelte esistenziali e concrete, che incoraggia tutti, ma soprattutto i giovani a prendere decisioni impegnative, a loro volta, che investono il futuro.

Il racconto degli Atti descrive le prime volte che la Chiesa si allarga ai pagani in maniera ufficiale. Questo compito san Paolo lo sentiva particolarmente suo per tre motivi, la sua provenienza da quelle regioni, la conoscenza della lingua e della cultura greca, il superamento interiore del legalismo che aveva maturato dopo la conversione.

Paolo aveva capito che era la fede che salvava e non le opere, ma per questa fede è disposto ad impegnarsi con tutte le sue forze. Infatti era stato raggiunto da un ordine del Signore inequivocabile: "Io ti ho posto per essere luce delle genti, perché tu porti la salvezza sino all'estremità della terra"».

Potremmo pensare che Paolo, e Barnaba insieme con lui, fossero degli orgogliosi a pensarla così. La frase proviene dal profeta Isaia e di solito si intende riferita al Messia (non per niente si legge durante la Settimana santa nel secondo dei quattro canti del Servo del Signore).

Paolo e Barnaba non vogliono sostituire Gesù, ma rappresentarlo e prestare a Lui per così dire la loro persona.

L'immagine usata della luce da Paolo è ripresa dal Concilio Vaticano II nel documento sulla Chiesa intitolato "Lumen Gentium", che nelle prime parole dice: "Cristo è la luce delle genti e il santo Concilio, adunato nello Spirito Santo, desidera ardentemente, annunciando il Vangelo ad ogni creatura, illuminare tutti gli uomini con la luce del Cristo che risplende sul volto della Chiesa."

Rispetto a Cristo la Chiesa brilla di luce riflessa, come la luna col sole, ma a differenza dell'astro notturno non può eclissarsi, perché è necessario che faccia luce sempre a tutti gli uomini.

La prova che Paolo e Barnaba non si ritengono dei protagonisti della missione, ma collaboratori del Signore e inviati dalla Chiesa, la troviamo dai gesti che compiono nei confronti dei Giudei rivolgendosi prima di tutto a loro e solo quando si sentono respinti dirigendosi verso i pagani.

In quasi tutte le maggiori città del mondo antico esistevano comunità di ebrei detti della diaspora, cioè disperse. La famiglia stessa di Saulo stesso ne faceva parte, essendo stanziata a Tarso.

Non doveva essere stato facile per Paolo parlare con i suoi antichi correligionari che già una volta a Damasco, dopo la sua conversione avevano tentato di ucciderlo.

Comunque egli si sforza e alla fine non avendo ottenuto niente ricorre al gesto indicato da Gesù nel caso di insuccesso: scuotere la polvere dai piedi in segno di distacco e di esonero.

Gesù resta un modello insostituibile e insuperabile. Egli solo ha unito in maniera compiuta amore di Dio e amore per il prossimo. Lui e il Padre sono una cosa sola e nello stesso tempo Egli in quanto buon Pastore conosce le sue pecore e le guida.

Un atteggiamento simile però deve avere anche chi è suo collaboratore ed è indubitabile che la testimonianza da rendere al Signore passa prima di tutto attraverso le cose che dice: un pastore deve essere discreto con il silenzio e rendersi utile con la parola.

Il silenzio del pastore umano dovrebbe essere il segno che egli parla con Dio; la sua parola dell'ascolto del messaggio di Dio. Il pastore umano deve invece evitare un parlare incauto che trascina nell'errore, ma anche non chiudersi in un silenzio indiscreto che inganni quelli che si rivolgono a lui in cerca di luce.

Paolo e Barnaba essendo stato rifiutati, tacciono con i Giudei e li affidano alla misericordia di Dio, ma non smettono di predicare il Vangelo, suscitando gioia ed entusiasmo negli ascoltatori.

Certamente nelle loro istruzioni non furono prolissi, perché avendo qualcosa da dire lo esposero chiaramente e senza incertezze. Per questo suscitarono opposizioni, ma il risultato positivo fu superiore alle contrarietà.

Dopo aver parlato brevemente si fermarono e lasciarono agire lo Spirito del Signore ed è proprio quello che è opportuno fare a questo punto.

 

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