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TESTO Amore che rinnova la speranza

Il pane della domenica  

V Domenica di Pasqua (Anno C) (02/05/2010)

Vangelo: Gv 13,31-33.34-35 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Gv 13,31-35

31Quando fu uscito, Gesù disse: «Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. 32Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito. 33Figlioli, ancora per poco sono con voi; voi mi cercherete ma, come ho detto ai Giudei, ora lo dico anche a voi: dove vado io, voi non potete venire. 34Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. 35Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri».

Vi do un comandamento nuovo

Sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, l'ora della sua Pasqua, Gesù si congeda dai suoi discepoli. Li introduce al mistero della sua Passione - glorificazione e li coinvolge, quasi fosse un testamento, con la consegna dell'amore.

Immediatamente ci interpella l'espressione di Gesù: "Vi do un comandamento nuovo" (Gv 14,34). È questo aggettivo "nuovo" che incuriosisce noi, così sensibili alle novità.

Nel nostro tempo continuamente sono reclamizzate le novità della moda; i giovanissimi e non solo subiscono il fascino irresistibile dell'ultima versione dei videogiochi e un'abile regia coinvolge tanti nella rincorsa all'innovazione dei programmi informatici. Telefonini, iPod e fotocamere digitali devono forzatamente rappresentare l'ultimo modello. Per non dire, poi, dell'affanno quasi ossessivo dei media nel giocare d'anticipo sull'ultima notizia. Ciò che è passato ha pregio se rientra nell'antiquariato, diversamente tutto deve essere rinnovato: la tecnologia produttiva, i progetti economici, il look delle città e delle persone...

Perché mai dovrebbe risultare "nuova" per noi oggi una parola vecchia di duemila anni? In che senso Gesù può definire "nuovo" il suo comandamento? È, questa, una novità solo per gli apostoli o vale anche per noi?

1. In primo luogo riconosciamo che il comandamento di Gesù è assolutamente nuovo per la forma, per il modo con il quale è espresso. I maestri prima di lui, anche il grande Mosè, hanno sempre e scrupolosamente proclamato parole che Dio stesso aveva consegnato. "Questi sono i comandi, le leggi e le norme che il Signore vostro Dio ha ordinato di insegnarvi" (Dt 6,1); "Il Signore chiamò Mosè e dalla tenda del convegno gli disse: «Parla agli Israeliti e riferisci loro...»" (Lev 1,1); ricordiamo anche la stessa vocazione di Mosè: "Va'! Riunisci gli anziani d'Israele e di' loro..." (Es 3,16). Questo riscontriamo in modo chiarissimo anche nella predicazione dei profeti: "Il Signore disse a Isaia: «Va' incontro ad Acaz... Tu gli dirai...»" (Is 7,3-4); "Così dice il Signore... Oracolo del Signore" (Am 2,6.11.15); "Ascoltate questa parola che il Signore ha detto riguardo a voi, Israeliti..." (Am 3,1).

Qui, invece, Gesù parla in prima persona. Egli non riferisce, bensì annuncia una parola che con sorprendente autorità dona sapienza di salvezza. Ben presto se ne erano accorti gli abitanti di Cafarnao e le folle della Galilea: "Erano stupiti del suo insegnamento perché insegnava loro come uno che ha autorità e non come i loro scribi" (Mc 1,22). In lui è la stessa parola autorevole di Dio: "Le cose che dico le dico come il Padre le ha dette a me" (Gv 12,50).

2. In secondo luogo, dobbiamo sottolineare che il comandamento di Gesù è nuovo soprattutto per il contenuto. Il comandamento dell'amore verso Dio e verso il prossimo era già stato consegnato attraverso l'antico Israele. Un amore verso Dio totalmente coinvolgente: "con tutto il cuore con tutta l'anima e con tutte le forze" (Dt 6,5); inoltre, un amore verso il prossimo che domanda di riconoscere nell'altro noi stessi, riaffermando così la sua inviolabilità: "Amerai il tuo prossimo come te stesso" (Lev 19,18). Ma qui Gesù, che pure aveva confermato l'antico comandamento dell'amore verso Dio e verso il prossimo (cfr. Lc 10,25-28), senza rinnegarlo lo porta a pieno compimento, ponendo se stesso come criterio e misura: "Come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri" (Gv 13,34).

3. La novità della consegna di Gesù sta, a questo punto, proprio nel contesto. Egli è giunto alla "sua ora" (Gv 2,4), l'ora della Pasqua. Egli porta a compimento la sua missione, il progetto del Padre. Questo "comandamento" è l'invito pressante a non rimanere fuori dal Regno di Dio e dal suo compiersi nella Pasqua di Gesù. Proprio l'assumere la logica dell'amore nel nome di Gesù ci permette di fare esperienza continua della sua Pasqua, di rimanere dentro questa inattesa avventura della comunione per la vita che vince la morte. Un'esperienza non riservata a pochi fortunati, bensì offerta a tutti e della quale i discepoli sono chiamati a diventare testimoni. "Tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri" (Gv 13,35).

Ecco, dunque, il "nuovo" del comandamento di Gesù. Se in ogni stagione della vita restiamo costantemente dentro il cammino della sua Pasqua, possiamo sempre meglio conoscere "come" ci ha amato. Cioè, la perenne novità, per nulla scontata, del dono della sua vita e del suo amore. Guidati dallo Spirito Santo, come Pietro, Paolo e altri nel lungo cammino della Chiesa, siamo "rigenerati per una speranza viva" (1Pt 1,3) e cresciamo nella capacità di corrispondervi testimoniandola.

In Gesù e mediante la sua Pasqua ci viene incontro la perenne novità dell'amore di Dio e, passo dopo passo, anche noi entriamo nella felice condizione pasquale di una vita spesa nell'amore. "Dio non ci ordina un sentimento che non possiamo suscitare in noi stessi. Egli ci ama, ci fa vedere e sperimentare il suo amore e, da questo «prima» di Dio, può come risposta spuntare l'amore anche in noi"... "Non si tratta più di un «comandamento» dall'esterno che ci impone l'impossibile, bensì di un'esperienza dell'amore donata dall'interno, un amore che per sua natura deve essere ulteriormente partecipato ad altri" (Deus caritas est, 17.18).

Commento di don Ivano Valagussa

tratto da "Il pane della Domenica. Meditazioni sui vangeli festivi" Anno C
Ave, Roma 2009

 

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