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TESTO Ciò che per il Padre conta di più

don Maurizio Prandi

IV Domenica di Pasqua (Anno C) (25/04/2010)

Vangelo: Gv 10,27-30 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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27Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. 28Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. 29Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. 30Io e il Padre siamo una cosa sola».

La quarta domenica di Pasqua tradizionalmente è dedicata al tema della vocazione. La liturgia della parola di quest'anno C lega la vocazione all'elezione. Chiamati, si potrebbe dire, perché eletti. E' attenta però, la Parola di Dio a dirci che non è matematica questa, che vocazione ed elezione non sono una la conseguenza logica dell'altra; non c'è nulla di automatico: Dio chiama, elegge, eleggendo premia e quindi da importanza, pone in primo piano... no, non è così. Questo è un cammino che avviene ad una condizione: vivere la relazione. Per chiarirci un po' questa idea possiamo affidarci con frutto alla prima lettura e al vangelo di questa domenica.

Nella prima lettura c'è un chiaro riferimento alla elezione del popolo d'Israele che non vivendo la responsabilità dell'ascolto non è capace di relazione con il Dio che l'ha scelto: era necessario che fosse annunziata a voi per primi la parola di Dio, ma poiché la respingete. E' vero che quando Dio sceglie, elegge, ed è altrettanto vero che a questa elezione è legata una responsabilità, quella della relazione, dove Dio si impegna e anche l'uomo è chiamato ad impegnarsi. In questo senso il brano di Vangelo che abbiamo ascoltato è davvero bellissimo: parla di ascolto, conoscenza, sequela... le mie pecore ascoltano la mia voce, io le conosco ed esse mi seguono. Mi colpisce come l'evangelista qui dica che proprio dell'uomo è l'ascolto e poi la sequela, di Dio invece è la conoscenza. Tante volte ce lo siamo detto, però lo ripetiamo: quando nella Bibbia incontriamo il verbo conoscere, sappiamo che viene usato in riferimento ad una relazione sponsale. Le mie pecore ascoltano la mia voce, io le amo (conosco) ed esse mi seguono. Questi tre verbi ci aiutano a ricordare che la relazione non è mai a senso unico, questi tre verbi ci dicono che c'è un 100% di Dio e un 100% dell'uomo. E il fatto che in questa relazione Dio ci metta tutto mi fa pensare che una delle chiamate che riceviamo è proprio quella a scoprire che ci sono cose per le quali vale veramente la pena spendersi, impegnarsi, donarsi. Dio ci mette tutto perché niente per lui conta quanto le sue pecore. Leggevo, in un bel commento al versetto 20 (il Padre mio che me le ha date è più grande di tutti) di questo brano di vangelo che la traduzione può anche essere letta così: il Padre mio, ciò che mi ha dato, è più grande di tutto, mettendo così in rilievo la grandezza, agli occhi di Dio, di ogni uomo. E' molto forte quello che dice Gesù parlando prima del suo rapporto particolare con le pecore e poi del valore enorme che ognuna di queste ha agli occhi di Dio. E' come se mi dicesse che devo rispettare, che non posso giudicare, che non posso nemmeno sognarmi di dire perché la relazione di un fratello con Dio è uno spazio sacro nel quale non posso entrare.

Rispetto al tema della elezione tutto questo diventa di fondamentale importanza, perché rende possibile vivere la chiamata e quindi l'elezione da parte di Dio non sentendosi rivestiti di un ruolo ma aprendosi all'incontro. Dico questo perché mi pare di notare che l'uomo, non appena si rende conto di essere stato "eletto" immediatamente confonde e comincia a tirare le sue conseguenze: sono stato eletto, quindi sono il capo, comando, mi devono ascoltare, mi devono obbedire... credo che l'elezione, scritturisticamente intesa, vada in una direzione diversa, opposta direi: mi hanno eletto, quindi sono a servizio, mi metto in ascolto. Mi permetto di citare un lungo passaggio di E. Bianchi a questo proposito: leggendo con attenzione il capitolo decimo di Giovanni si può vedere come il carattere di pastore di Gesù consista nella relazione con il Padre e con le sue pecore, dunque con Dio e con i credenti. E' un titolo relazionale, non funzionale. Io e il Padre siamo uno; io conosco le mie pecore. Quella che noi chiamiamo "pastorale" dovrebbe porre sempre al proprio centro la dimensione relazionale piuttosto che quella funzionale o organizzativa. Al cuore dell'essere pastore nella chiesa vi è la relazione personale con il Signore, dunque la dimensione spirituale nutrita dalla fede e dalla preghiera, e la relazione con le persone fatta di conoscenza, amore, ascolto, dedizione, dono della vita. Il pastore è attento al cuore di Dio e al cuore dell'uomo.

E poi, legata alla elezione c'è anche la gratuità dell'amore. Gli eletti dei quali ci parla la seconda lettura sono un numero incalcolabile, non si possono contare. Non possiamo fare separazioni perché in Gesù ogni confine è abbattuto: Io, Giovanni, vidi una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, razza, popolo e lingua, come a dire che nessuna persona è esterna all'orizzonte cristiano. Perdonate la semplicità, ma alle volte ho la grazia di fare esperienza di questa gratuità da parte di Dio che in un modo davvero misterioso raggiunge i cuori delle persone, come il cuore di Liliana e Doraysi, due sorelle che "abitano" (lo metto tra virgolette il verbo abitare... perché l'abitare suppone una casa e una casa come la intendiamo noi è distante anni luce da quella dove vivono queste due sorelle) a Cascajal. Sono tutte e due malate, hanno un tumore. Mi hanno detto che sanno che per loro non c'è via di uscita, che per la loro malattia non c'è cura e che ogni giorno che vivono è un giorno regalato da Dio e fino a quando Dio vorrà loro lotteranno. Io in chiesa non le ho mai viste e non hanno detto questo per farmi contento perché non sapevano di parlare con il parroco (molto educatamente non mi ero nemmeno presentato), eppure una piccola breccia, nella loro vita, è rimasta aperta perché Dio possa entrare.

Infine le mani, le mani di Gesù e le mani del Padre, cioè il luogo che ci viene offerto per fare casa, nel quale sentirci al sicuro. Che in questa domenica possa nascere in noi proprio questo desiderio: abitare le mani di Gesù per poter sperimentare la dolcezza delle carezze agli ammalati, la gioia del servizio, la generosità dello spezzare il pane, il coraggio del dono.

Buona domenica! Don mauri

maurizioprandi@obistclara.co.cu

 

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