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don Daniele Muraro  

III Domenica di Pasqua (Anno C) (18/04/2010)

Vangelo: Gv 21,1-19(forma breve Gv 21,1-14) Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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1Dopo questi fatti, Gesù si manifestò di nuovo ai discepoli sul mare di Tiberìade. E si manifestò così: 2si trovavano insieme Simon Pietro, Tommaso detto Dìdimo, Natanaele di Cana di Galilea, i figli di Zebedeo e altri due discepoli. 3Disse loro Simon Pietro: «Io vado a pescare». Gli dissero: «Veniamo anche noi con te». Allora uscirono e salirono sulla barca; ma quella notte non presero nulla.

4Quando già era l’alba, Gesù stette sulla riva, ma i discepoli non si erano accorti che era Gesù. 5Gesù disse loro: «Figlioli, non avete nulla da mangiare?». Gli risposero: «No». 6Allora egli disse loro: «Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete». La gettarono e non riuscivano più a tirarla su per la grande quantità di pesci. 7Allora quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro: «È il Signore!». Simon Pietro, appena udì che era il Signore, si strinse la veste attorno ai fianchi, perché era svestito, e si gettò in mare. 8Gli altri discepoli invece vennero con la barca, trascinando la rete piena di pesci: non erano infatti lontani da terra se non un centinaio di metri.

9Appena scesi a terra, videro un fuoco di brace con del pesce sopra, e del pane. 10Disse loro Gesù: «Portate un po’ del pesce che avete preso ora». 11Allora Simon Pietro salì nella barca e trasse a terra la rete piena di centocinquantatré grossi pesci. E benché fossero tanti, la rete non si squarciò. 12Gesù disse loro: «Venite a mangiare». E nessuno dei discepoli osava domandargli: «Chi sei?», perché sapevano bene che era il Signore. 13Gesù si avvicinò, prese il pane e lo diede loro, e così pure il pesce. 14Era la terza volta che Gesù si manifestava ai discepoli, dopo essere risorto dai morti.

15Quand’ebbero mangiato, Gesù disse a Simon Pietro: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami più di costoro?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pasci i miei agnelli». 16Gli disse di nuovo, per la seconda volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pascola le mie pecore». 17Gli disse per la terza volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi vuoi bene?». Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli domandasse: «Mi vuoi bene?», e gli disse: «Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene». Gli rispose Gesù: «Pasci le mie pecore. 18In verità, in verità io ti dico: quando eri più giovane ti vestivi da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi». 19Questo disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. E, detto questo, aggiunse: «Seguimi».

Papa Benedetto ha scelto questo fine settimana per commemorare il millenovecentocinquantesimo anniversario del naufragio dell'Apostolo Paolo sulle coste di Malta. Come troviamo negli Atti degli Apostoli con Paolo prigioniero e diretto a Roma complessivamente erano imbarcati in duecentosettantacinque fra cui Luca stesso che narra i fatti, alcuni soldati con un centurione e alcuni altri prigionieri. Per sue settimane rimasero alla deriva a causa della violenza della tempesta, senza vedere per vari giorni né sole né stelle.

Alla fine l'imbarcazione si incagliò. "Una volta in salvo," continua san Luca che nell'occasione doveva aver preso una bella paura "venimmo a sapere che l'isola si chiamava Malta. Gli abitanti ci trattarono con rara umanità". Paolo e i suoi accompagnatori poterono ripartire solo dopo tre mesi.

Avendo noi dedicato l'anno scorso al duemillesimo anniversario della sua nascita, ciò significa che il fatto del naufragio avvenne nel cinquantunesimo o cinquantaduesimo anno di vita dell'Apostolo.

Cinquecento anni e più dopo, un altro Papa, Gregorio Magno svolgeva queste considerazioni: "Pietro ha camminato a piedi sull'acqua, mentre Paolo in mare ha fatto naufragio. Ecco che nel medesimo elemento Paolo non ha potuto andare per nave dove Pietro è andato a piedi."

E continua: tuttavia Paolo è pari all'apostolo Pietro nell'essere primo tra gli Apostoli. Mentre fu diversa la loro capacità nel fare miracoli, tuttavia non è diverso il loro me­rito in cielo. Infatti anche se Paolo è stato chiamato per ultimo, tuttavia ha faticato più di tutti loro. La vera valutazione del modo di vivere si basa sulla virtù delle opere, non sulla manifestazione di fatti prodigiosi.

Il Vangelo di oggi ci presenta Pietro di nuovo in barca tornato a esercitare il suo vecchio mestiere di pescatore a motivo della fame sua e degli altri che erano con lui.

Ai giorni intensi della prima settimana di Pasqua per i discepoli seguì un tempo di pausa e di meditazione. Tornati in Galilea si guardavano attorno senza sapere che fare: non era chiaro quello di cui avrebbero dovuto occuparsi in seguito e avevano perso le abitudini precedenti.

Senza saperlo Pietro mette in pratica la massima codificata secoli dopo da sant'Ignazio di Loyola: pregare come se tutto dipendesse da Dio, ma, nell'attesa di un segno dall'alto, darsi da fare come se tutto dipendesse da noi.

Pietro manifesta un senso pratico che è proprio di tutti i Missionari. Scriveva nell'Ottocento mons. Guglielmo Massaja: "Qui (in Abissinia) il Vescovo si chiama Guglielmo, Guglielmo il segretario, Guglielmo si chiamano tutti i curialisti, Guglielmo il medico, il maestro di scuola; non basta: Guglielmo è il muratore, il sarto, il falegname, il fabbro ferraio con tutto il resto". Ovviamente era da solo non perché avesse cacciati tutti, ma perché non era riuscito ad associare alla sua opera ancora nessuno. Una volta trovati collaboratori efficienti anche lui si mise a fare solo il Vescovo.

L'intervento di Gesù nel Vangelo risolvendo una situazione penosa mira precisamente a far riprendere ai suoi discepoli la via della missione.

Egli infatti ripete in loro presenza il segno della pesca miracolosa che tre anni prima aveva convinto Pietro ad abbandonare casa, barca e familiari e a seguirlo per le strade della Palestina.

Può esercitare il ministero sacerdotale solo chi è chiamato dal Signore ed è preparato a questo scopo. Come abbiamo visto l'idoneità non si misura dalla capacità di fare miracoli o cose straordinarie, quanto dalla rettitudine della dottrina unita alla testimonianza della vita.

Chi è chiamato non può rifiutare a cuor leggero la missione che il Signore gli affida. Scrive ancora san Gregorio Magno: "Vi sono alcuni che ricevono grandi doni di virtù e spiccano per eccelse qualità: costoro se rifiutano le grandi responsabilità nel ministero anche quando vi sono chiamati, finiscono spesso con trovarsi privi dei doni che hanno ricevuto non solo per sé ma anche per altri."

E ancora: "Con quale animo chi potrebbe brillare nel bene al prossimo può preferire la propria quiete al vantaggio altrui, se l'Unigenito stesso del Sommo Padre venne in mezzo all'umanità per la salvezza universale?"

Questi due ultimi richiami valgono non solo per i chiamati ad una vocazione di speciale consacrazione, ma anche per ciascun cristiano. Chi si disinteressa ai doveri del bene comune rischia di perdere anche i meriti di una vita onesta nel caso che la rettitudine non sia sostenuta dalla solidarietà e coloro che dicono di sottrarsi agli impegni per umiltà hanno davvero questa virtù quando non oppongono resistenza alle esigenze della carità fraterna e alla volontà di Dio che li sprona.

Per tutti esiste un posto di responsabilità nella Chiesa o almeno nessuno deve sentirsi escluso da portare il suo contributo alla vita comune.

La rete piena di centociquantatré grossi pesci del Vangelo di oggi possiamo intenderla come immagine alla Chiesa. Essa non si lacera al suo interno nonostante l'apporto di tanti caratteri diversi, anzi è fatta apposta per raccoglierli nell'unità, chiaramente finché si rimane dentro i confini dettati dal Vangelo e nello spirito di servizio che esso insegna.

 

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