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don Daniele Muraro  

II Domenica di Pasqua (Anno C) (11/04/2010)

Vangelo: Gv 20,19-31 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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19La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». 20Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. 21Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». 22Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. 23A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».

24Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. 25Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».

26Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». 27Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». 28Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». 29Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».

30Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. 31Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.

"Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!" dice Gesù in conclusione del secondo incontro domenicale con i suoi Apostoli, otto giorni dopo la Pasqua.

Si riferisce a Tommaso di cui ha appena raccolto la solenne professione di fede: "Mio Signore e mio Dio!". Tommaso ha parlato dopo avere veduto con i suoi occhi, ma di lì a poco tempo questo non sarebbe più stato possibile. Presto Gesù sarebbe salito al cielo concludendo in questo modo il tempo della sua permanenza fisica tra i credenti.

Il periodo che va dalla Resurrezione all'Ascensione è la rifinitura mediante la quale Gesù leviga la preparazione dei suoi Apostoli. Dopo la Pentecoste avrebbero cominciato a predicare nel suo nome e Gesù per così dire li mette alla prova per l'ultima volta.

Essi avrebbero dovuto essere migliori dei semplici fedeli per la condotta, ma anche per la dottrina. Avrebbero dovuto parlare di quello di cui avevano fatto esperienza, altrimenti la loro parola sarebbe stata rimasta evanescente e le loro esortazioni generiche.

Li aveva scelti Lui, ma non li aveva trovati perfetti. Li aveva educati, istruiti, formati durante tre lunghi anni di ministero pubblico, ma la grande trasformazione l'aveva riservata per l'ultima Pasqua. Aveva lavato loro i piedi a significare che restava ancora qualcosa da purificare nella loro mentalità e nelle loro aspettative.

Aveva preannunciato il tradimento di Giuda e il rinnegamento di Pietro, ma aveva dimostrato di saper distinguere bene tra la l'inganno ribelle e disperato del primo e la debolezza irriflessiva del secondo. Pietro era un generoso che sopravvalutava le sue forze, Giuda un astuto calcolatore che voleva passare inosservato.

i sopravvissuti tra gli Apostoli si ritrovano assieme nel Cenacolo senza più il loro Maestro e non sanno che cosa fare. Devono riprendersi dal trauma degli avvenimenti recenti.

In un attimo l'apparizione del Signore li fa passare da uno stato di avvilimento tenebroso ad una gioia solare. Al Risorto non fanno tante domande, basta la sua presenza a metterli nella pace e a dissipare i dubbi. Gesù parla di perdono. Essi sanno di averne bisogno, ma Gesù li incarica anche di donarlo agli altri e in nome suo di assolvere dai peccati.

Da allora in poi essi avrebbero dovuto cercare non di affermare se stessi, ma di adempiere un incarico ricevuto. Sarebbero stati medici delle anime, consiglieri delle coscienze, guide verso il cielo.

Se è difficoltoso parlare a nome proprio ed esprimere in modo chiaro e garbato la propria opinione, molto più difficile è parlare a nome di Dio e farsi suoi portavoce e interpreti.

Non a tutti gli interlocutori si adattano i medesimi toni e i medesimi ragionamenti, come non a tutti i commensali risulta confacente uno stesso alimento, ugualmente digeribile e corroborante. Ci possono essere delle intolleranze di cui tenere conto, o semplicemente dei gusti da assecondare, per un più veloce gradimento del messaggio e una sua più perfetta assimilazione.

L'esempio lo dà Gesù stesso davanti al caso dell'Apostolo distratto e contestatore Tommaso. L'atteggiamento protervo di costui rischiava di rovinare la festa e la ritrovata concordia del raduno apostolico.

Non conosciamo i motivi dell'assenza la prima volta. Dalla sua reazione alle parole degli amici risalta una certa insofferenza dell'Apostolo per l'entusiasmo altrui e la rivendicazione di autonomia nel giudizio.

Tommaso, detto Didimo ossia il Gemello, non voleva essere condizionato nelle sue convinzioni e nelle scelte: "Se non vedo... io non credo!", o anche "Se non vedo io... non credo!".

Per lui vuole non solo una prova materiale, ma anche personale. Il Risorto doveva essere almeno per un momento a sua completa disposizione.

Gesù lo accontenta ripetendogli l'invito a fare ciò che aveva richiesto per credere: "Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco". E non tralascia di ammonirlo: "e non essere incredulo, ma credente!"

Gesù dà il suo amore, ma in cambio chiede la fede; non è un processo automatico. Gesù ci mette mani, piedi e costato, Tommaso deve metterci la sua adesione diretta, fatta di occhi, cuore e intelletto.

Il Signore ha un messaggio per tutti, diverso per ciascuno, nel senso di adatto a lui, ma dopo il fatto di Tommaso, che rimane l'ultimo trattato a questo modo, questo messaggio passa nelle mani della Chiesa. Ambasciatori ne sono gli Apostoli, ce l'ha detto il Vangelo e lo conferma la seconda lettura tratta dal libro dell'Apocalisse.

Una voce potente dice sempre a san Giovanni: "Quello che vedi, scrivilo in un libro e mandalo alle sette Chiese!" Mi voltai per vedere la voce che parlava con me, e appena lo vidi, caddi ai suoi piedi come morto!". Non si è mai pronti abbastanza per ascoltare la voce del Signore e trasmetterla; però l'Apostolo deve farlo e il destinatario deve accogliere con fede il messaggio.

"Beati quelli che credono senza aver visto" recita la beatitudine di oggi. Dopo questi ragionamenti noi la possiamo intendere in un senso ulteriore. Oggi il Signore invita non solo ad una fede pura, che non si appoggi a prove esteriori, ma anche a dare fiducia a quelli che egli ha scelto e mandato che non sono Lui stesso, ma lo personificano senza poterlo rappresentare al vivo in maniera completa.

La descrizione nella prima lettura delle folle di Gerusalemme strette attorno al gruppo degli Apostoli è significativa e conferma la considerazione finale nel Vangelo di Marco: " Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano."

 

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