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TESTO Camminare con fiducia nella storia

Il pane della domenica  

IV Domenica di Pasqua (Anno C) (25/04/2010)

Vangelo: Gv 10,27-30 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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27Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. 28Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. 29Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. 30Io e il Padre siamo una cosa sola».

Alle mie pecore io do la vita eterna

Nella festa della Dedicazione del Tempio, Gesù si proclama come il pastore buono promesso al popolo in nome di Dio. La festa della Dedicazione ricordava la ricostruzione del Tempio al tempo della vittoria di Giuda Maccabeo contro Epifanie IV. Era una festa dal carattere nazionalistico, la festa della liberazione di Gerusalemme dall'occupazione straniera, ma conservava anche un suo profondo valore religioso. Dio non lascia solo il suo popolo, non lo abbandona al suo destino, ma si fa presente come il Dio che ha scelto questo popolo per farne il suo popolo, come il Dio che aveva liberato Israele dall'Egitto e poi tornava a liberarlo ogni volta che perdeva la sua libertà. Si fa presente e si farà presente realizzando questa promessa: mandare i pastore buono a condurre il suo popolo. Nella festa della Dedicazione del tempio si leggevano le pagine del profeta Ezechiele che parlavano del pastore buono.

Questa contestualizzazione delle parole di Gesù ci rimanda a riflettere sul nostro cammino nella storia: quale sarà il nostro destino?

Quando pensiamo al cammino della storia, ondeggiamo tra prospettive ottimistiche che ci fanno sperare nella progressiva costruzione di un futuro migliore e visioni catastrofiche che fanno temere il peggio. Oggi sembrano prevalere le seconde. Dentro questi scenari si colloca la nostra vicenda personale: la possibilità di vedere realizzati i nostri desideri, le nostre aspirazioni, per noi e per i nostri figli o il timore di non riuscire a garantirci e a garantire serenità e prosperità. Oggi sembra prevalere, quando guardiamo al futuro, inquietudine e preoccupazione. Sono questi interrogativi che fanno da sfondo alla parola di Gesù: Io do loro la vita eterna e non andranno mai perdute e nessuno le rapirà dalla mia mano.

1. Gesù ci dà la sua vita accettando per sé la croce come segno supremo dell'amore che non si risparmia, ma si dà fino alla fine, fin quando tutto è compiuto. Ci dà la sua vita nel sacramento del pane e del vino dell'eucaristia che celebriamo ogni domenica come memoriale della Pasqua.

Gesù ci dà la vita perché, nella partecipazione alla sua Pasqua, anche noi diventiamo partecipi della vita che è dono di Dio, è eterna come eterno è Dio. Diventiamo partecipi della vita del Figlio perché anche noi siamo adottati come figli.

Questa è per noi una sorta di assicurazione: la nostra vita è stata salvata dalla perdizione. Ora non abbiamo più da temere di finire male, ora sappiamo che la cifra per leggere ed interpretare le nostre vicende personali e quelle collettive della famiglia umana è la Pasqua. Ce lo ricorda anche la pagina di Apocalisse che in questa domenica viene proclamata come 2ª lettura. Una moltitudine immensa, che nessun poteva contare, di ogni nazione, razza, popolo e lingua che sta sotto la tenda che Dio ha steso sul loro capo. Non avranno più sete, non avranno più fame, non li colpirà più il sole perché il pastore li condurrà alle fonti dell'acqua della vita (cfr. Ap 7,14-17).

Questi hanno attraversato la tribolazione, le tribolazioni della vita mantenendo salda la loro fiducia nella promessa che nessun può separarci dall'amore di Dio: non la spada, non il dolore, non la malattia, non la povertà, non le tribolazioni (cfr. Rm 8,35-39).

Il Padre è il più grande di tutti, e nessuno può opporsi al suo amore, nessuno può sottrargli i figli che ama.

2. Della Pasqua noi siamo chiamati ad essere testimoni nella storia come testimoni della speranza cristiana. Essa non è il semplice ottimismo di chi sa trovare dentro le pieghe della storia le ragioni per non lasciarsi imbrigliare dalle tinte fosche della cronaca quotidiana. Certo anche di questo c'è bisogno: della capacità di far risuonare le notizie belle, di mettere in luce il bene che pure è presente nella quotidianità dei nostri quartieri, dei nostri luoghi di lavoro, delle nostre comunità, del volontariato, del servizio al bene comune, delle nostre famiglie. C'è bisogno di non rimanere prigionieri di una visione della realtà condizionata dal catastrofismo, dalla paura, dalla insicurezza. Essere testimoni della speranza significa anche essere testimoni della crescita del seme del Regno che, piantato in mezzo a noi giorno per giorno, cresce per diventare la pianta su cui si può trovare riparo.

Ma essere testimoni della speranza cristiana significa anche essere testimoni della Pasqua, della fede che sa vedere oltre le croci dei tanti venerdì santi l'alba della domenica di risurrezione.

Di questo noi siamo chiamati ad essere testimoni con la perseveranza con cui sappiamo attraversare le nostre tribolazioni e sappiamo stare vicini ai fratelli e alle sorelle nelle loro. Non con facili parole di consolazione, che spesso lasciano il tempo che trovano, ma con la perseveranza di chi, anche nell'assenza di spiegazioni soddisfacenti, di ragioni plausibili, sa trovare un senso, una direzione: andare verso il Padre che ci attende nella casa che ha preparato per noi.

3. Questo non può significare, però, una fuga dalle responsabilità mondane. Noi siamo chiamati ad essere cittadini di questo mondo, cittadini partecipi, con il nostro impegno quotidiano, della costruzione di relazioni fraterne, di luoghi di solidarietà, di cura per le sofferenze e i disagi. Costruttori di un mondo che sia già ora la casa serena e pacifica dove tutti possono abitare, trovando il necessario per la propria vita, spazi per poter realizzare i propri progetti e le proprie aspirazioni. Se la speranza cristiana ci rassicura per il futuro nell'attesa della casa paterna che Dio ha preparato per tutti i sui figli, noi qui sulla terra siamo chiamati a impegnarci per la costruzione della casa fraterna dove ogni uomo e ogni donna può già comunicare a trovare dimora.

La destinazione universale della buona novella del vangelo di Gesù di cui parla la pagina di Atti proclamata in questa domenica (cfr. At 13,43-52) ci richiama al servizio alla famiglia umana promuovendo la giustizia, impegnandoci per la pace, rimuovendo le cause della povertà e della fame, difendendo la salute e la vita di tutte le genti.

Così diventiamo testimoni della speranza cristiana in mezzo alle gioie e alle speranze, alle tristezze e alle angosce della famiglia umana.

Commento a cura di don Ivano Valagussa

 

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