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TESTO Praticare la carità del Figlio

don Daniele Muraro  

V Domenica di Quaresima (Anno C) (21/03/2010)

Vangelo: Gv 8,1-11 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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1Gesù si avviò verso il monte degli Ulivi. 2Ma al mattino si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui. Ed egli sedette e si mise a insegnare loro. 3Allora gli scribi e i farisei gli condussero una donna sorpresa in adulterio, la posero in mezzo e 4gli dissero: «Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. 5Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?». 6Dicevano questo per metterlo alla prova e per avere motivo di accusarlo. Ma Gesù si chinò e si mise a scrivere col dito per terra. 7Tuttavia, poiché insistevano nell’interrogarlo, si alzò e disse loro: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei». 8E, chinatosi di nuovo, scriveva per terra. 9Quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani. Lo lasciarono solo, e la donna era là in mezzo. 10Allora Gesù si alzò e le disse: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?». 11Ed ella rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù disse: «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più».

Gli antichi pagani erano infelici, ma la tristezza che balugina sul volto delle loro statue si schiude ad una aspettativa indeterminata. Ben diversa è la condizione moderna; la coscienza si è sviluppata tantissimo eppure il senso di infelicità permane e senza attese di riscatto. Il cristiano invece, quello vero, è cosciente e insieme felice, cosciente della propria colpa, felice del perdono ricevuto.

La donna di cui si parla oggi nel Vangelo, prima di essere scoperta, forse non era del tutto consapevole di quanto rischiava con il suo comportamento. Di certo non era contenta del suo stato, altrimenti non avrebbe tradito il marito e messo una così seria ipoteca sul suo buon nome. A tanto la spingeva la sua infelicità.

I nemici di Gesù possono esasperare il caso sorprendendo l'adulterio in flagrante e subito dopo portando la donna alla presenza del Maestro. Conoscendone le debolezze forse essi tenevano controllata la donna, attendendo il momento opportuno per intevenire. Il loro intento infatti era di mettere in imbarazzo il Maestro non meno della sventurata infedele.

Sono rare le volte in cui il peccato per quanto privato resta riservato, talvolta la stessa segretezza diventa appiglio di ricatto. Nel fatto presente non c'è bisogno di minacce perché il bersaglio non è il trasgressore ma il giudice, non la colpa ma la misericordia.

Se la donna è infelice e incosciente, i suoi accusatori sono infelici rosi dall'invidia e dall'odio per Gesù, ma ben consapevoli dei loro atti.

Sperano che il Maestro si smentisca, rinunciando all'aura di benevolo Salvatore di cui si era rivestito fino ad allora o che si denunci da solo come trasgressore della legge.

C'è della premeditazione nel loro comportamento e anche della malizia ben ponderata; da una medesima condanna sarebbero stati travolti i tradimenti della donna e la rettitudine del Signore.

La legge non può esaudire le aspettative dei pietosi, ma a chi la sa maneggiare lascia spazio per affermare il proprio vantaggio; questo rimuginavano in cuor loro scribi e farisei, pieni di livore contro il Maestro prima che contro il peccato di adulterio.

Sono i falsi moralisti di cui al presente non si è persa la semenza; le loro prese di posizione non sono dettate da ristrettezza mentale, ma da calcolo dissimulato. Il loro rigorismo è sintomo di ipocrisia piuttosto che di pretesa integrità.

In questo contesto Gesù distrugge la menzogna per lasciare posto ad una serena considerazione dei fatti: "Chi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei".

Gesù non intende annullare l'amministrazione corrente della giustizia, vuole solo renderla più umana, cioè più consapevole e quindi più completa ed equilibrata.

La rivelazione del Vangelo ci mette davanti una pervasività del male superiore a qualsiasi precedente immaginazione: è colpevole la donna, ma anche i suoi accusatori. Nemmeno i curiosi sempre attiratati da vicende morbose possono resistere alla sfida del Signore e alla fine non resta nessuno sulla scena a dichiararsi innocente.

Ed ecco il punto: sembra che tanti nostri contemporanei non sappiano resistere a questo aumento di consapevolezza promosso dal Signore.

Non si spiegherebbero altrimenti tanti tentativi di ottundere la propria coscienza, di tornare ad uno stato di incoscienza beata previo alla consapevolezza del male.

Si vuole dimenticare, perciò si eccede. Ci si inebetisce per non pensare e non affrontare le proprie responsabilità. Si chiamano trasgressioni quelle che a tutti gli effetti invece sarebbero da qualificare come regressioni.

Il vero cristiano è cosciente di essere stato perdonato di molte colpe e conserva la percezione della sua debolezza di fronte al male, ma è felice perché sa di poter contare sull'aiuto del Signore nel momento della prova e sulla sua misericordia in caso di caduta.

Di fronte al male compiuto la soluzione non sta nel non pensare, ma nell'affidarsi alla bontà del Signore, nel rivolgersi a Lui per sentirsi ripetere la frase: "neanch'io ti condanno" in attesa di poter ascoltare la formula: "Io ti assolvo!".

Il cristiano consapevole e felice infatti è un cristiano confessato.

Riprendo ancora il discorso del Vescovo della settimana scorsa: in certi casi non è possibile impartire l'assoluzione sacramentale, lo stesso il confessore deve trattare bene l'interlocutore, spiegando e magari invitandolo ad un atto di affidamento di sé alla misericordia di Dio. Anche in questi casi l'unica scelta sbagliata senza ritorno sarebbe disperare della bontà del Signore.

Quello che in questo Vangelo ci fa capire è che esiste una via di uscita per ogni situazione per quanto complicata, purché lo si voglia e purché la si richieda a chi solo può risolverla, ossia il Signore.

E per finire: esiste per il cristiano una forma di incoscienza praticabile ed è quella descritta da san Paolo nella seconda lettura: "dimenticando ciò che mi sta alle spalle e proteso verso ciò che mi sta di fronte, corro verso la mèta, al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in Cristo Gesù".

Tenendo gli occhi fissi sul Signore, diventa sopportabile anche il male degli altri, diciamo il male della società, e rimediabile il male nostro, quello personale che morde la coscienza.

 

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