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TESTO Commento Luca 24,13-35 - Noi, discepoli di "seconda mano"

Il pane della domenica  

Domenica di Pasqua - Risurrezione del Signore (Anno C) (04/04/2010)

Vangelo: Gv 20,1-9 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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1Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro. 2Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!». 3Pietro allora uscì insieme all’altro discepolo e si recarono al sepolcro. 4Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. 5Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò. 6Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, 7e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte. 8Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. 9Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti.

Resta con noi perché si fa sera

"Son contento per lui! Ma per me: che cosa cambia?". Così sorprendentemente un giovane un po' in crisi reagì il giorno di Pasqua. Per quanto singolare, la reazione esprime un atteggiamento più diffuso di quel che si pensi. E riguarda ogni uomo che si domanda, pure affascinato dinanzi all'inaudito annuncio della resurrezione: "Ma in che modo questo evento mi raggiunge dopo duemila anni? Come la Pasqua di Gesù mi coglie nella mia concreta situazione?". Vi è infatti un'innegabile differenza tra i cristiani di prima generazione che hanno avuto la fortuna di incrociare lo sguardo del Maestro e quelli, come noi, "di seconda mano" (S. Kierkegaard). Noi, costretti a misurarci a distanza con un fatto che ci sorprende e ci lascia pure interdetti. Se ovviamente lo prendiamo sul serio e non ne facciamo una vaga allusione al risveglio della natura, in coincidenza con il ritmo della primavera (sic!). Ci aiuta a dare qualche risposta a questo interrogativo tutt'altro che scontato una pagina di Luca giustamente celebre, il cui fascino risiede tutto nella tensione che riesce a suscitare sempre di nuovo e che consiste nell'invito struggente che si fa invocazione: "Resta con noi perché si fa sera e il giorno già volge al declino" (v. 29).

1. L'episodio si apre con l'immagine del cammino, quasi una fuga, in verità, che prepara l'incontro che sta per accadere. I due viandanti partono da Gerusalemme. I loro passi, però, sono incerti e confusi e il loro cuore bloccato tanto che inizialmente non riconoscono affatto lo sconosciuto che si fa loro incontro. Annota infatti l'evangelista: "I loro occhi erano incapaci di riconoscerlo" (v. 16). E finiscono col fermarsi col volto triste. Comincia qui un possibile accostamento tra il discepolo di ieri e il credente di oggi. I due di Emmaus anche quando raccontano per filo e per segno quel che è accaduto, non colgono l'essenziale. È come se restassero all'esterno perché si coinvolgono solo a metà. A differenza delle donne (cfr. Lc 23,49-24,12) che si son messe in gioco, appaiono come depressi. Per certi aspetti anche l'uomo contemporaneo sperimenta la stessa sindrome: "vede, ma non sa". In effetti conosce tantissime cose, ma gli sfugge la realtà. Non è solo disincanto, ma pure la percezione di un limite che sovrasta la ricerca umana che sembra condannata a "vedere" tante cose, ma senza mai "sapere" la cosa essenziale. Questa ferita che si porta dentro ogni uomo veramente pensoso e non ingenuamente pago della sua autosufficienza è la nostalgia che può aprire all'Incontro. A pensarci, è quanto sta accadendo alla nostra generazione che avverte l'insufficienza di una ragione solo "calcolante" e vive di riflesso il bisogno di una sapienza più allargata che tenga conto di tutti gli aspetti della vita, ivi comprese anche le grandi domande intorno alle esperienze ineludibili: la vita e la morte, la gioia e il dolore, il bene e il male.

2. A questo punto accade qualcosa di nuovo. Dentro il groviglio del desiderio che cerca, ma non trova, si fa strada il misterioso Sconosciuto. Questo momento è tutto giocato nell'intreccio tra il discepolo di prima mano e quello di seconda mano. Quest'ultimo sa già chi è che sta per parlare. È dunque in vantaggio rispetto a chi cammina sulla strada polverosa verso Emmaus, il quale d'altra parte gode direttamente della Presenza che lo accompagna. Ciò che accomuna entrambi è tuttavia l'affondo del Maestro che si fa largo sotto apparente forma di rimprovero, puntando a squadernare la realtà al di là delle apparenze. "Sciocchi e tardi di cuore nel credere alla parola dei profeti. Non bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?" (v. 26). Afferma un esodo e puntualizza una condizione. Ogni passaggio implica un cambiamento necessario, imprevedibile, ineludibile. Fa intendere così che occorre accettare la finitezza dell'esistenza, ma non si tratta della fine di tutto. Si entra per uscirne in una dimensione nuova e definitiva. È questo, a pensarci bene, il senso ultimo del vangelo: mettere insieme la vita e la morte, non separarle né annullarle, ma legarle insieme. Come l'approdo e la prova, come la meta e la strada.

3. Quando sembra che finalmente Gesù stia per rivelarsi, dopo aver accettato di sedersi a tavola con loro, ripetendo parole e gesti familiari, ecco che d'improvviso "sparì dalla loro vista" (v. 31b). Quel che poteva apparire il relativo vantaggio del discepolo di prima mano ("allora si aprirono i loro occhi e lo riconobbero" v. 31a) viene azzerato di colpo e ancora una volta l'intreccio delle due situazioni è perfetto. Perché in fondo quello che ci viene detto di intendere è che non si può ormai riconoscere il Signore, se non nella forma della fede. Il lettore di oggi è nella stessa condizione del discepolo di ieri, anzi egli stesso può diventare discepolo.

Il Maestro si sottrae perché possiamo riconoscerlo nel segno della parola e del pane. La sua vicenda storica infatti, come dire la sua "carne", si prolungano nello spezzare il pane e la parola per ogni tempo. È questa d'ora innanzi la duplice mensa attraverso cui ogni uomo (cfr. 1ª lettura) può accedere all'unicità dell'evento pasquale. Il credente di oggi è assimilato ormai al discepolo; il suo punto di vista si sovrappone perfettamente a quello del discepolo, pur restando il fatto che sono "quella" parola e "quel" pane a generare l'Incontro.

Il brano si chiude esattamente in modo inverso al suo avvio: l'azione si scioglie e acquista velocità. All'inizio del viaggio era una fuga al rallentatore, alla fine il ritorno segna l'avvio incalzante della missione. E si connette con la testimonianza di una comunità: "fecero ritorno a Gerusalemme dove trovarono gli Undici e gli altri che erano con loro, i quali dicevano: «Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone» (v. 33). I discepoli di ieri e di oggi hanno incontrato il Signore e si fanno a loro volta interpreti e trasmettitori. È la perenne esperienza della ‘tradizioné che in senso proprio non è solo ‘cose trasmessé, è sempre l'azione congiunta di un ‘noi' che nel suo insieme si fa carico dell'annuncio decisivo.

"A partire dalla resurrezione di Cristo può spirare un vento nuovo e purificante per il mondo d'oggi", ammoniva coraggiosamente dal carcere di Tegel il 27 marzo 1944 il teologo Bonhoeffer. E aggiungeva: "Se due uomini credessero realmente a ciò e, nel loro agire sulla terra, si facessero muovere da questa fede, molte cose cambierebbero. Vivere a partire dalla risurrezione: questo significa Pasqua".

Commento di mons. Domenico Pompili

tratto da "Il pane della Domenica. Meditazioni sui vangeli festivi" Anno C
Ave, Roma 2009

 

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