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TESTO Con l'abito del figlio

don Roberto Seregni  

IV Domenica di Quaresima - Laetare (Anno C) (14/03/2010)

Vangelo: Lc 15,1-3.11-32 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 15,1-3.11-32

1Si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. 2I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». 3Ed egli disse loro questa parabola:

11Disse ancora: «Un uomo aveva due figli. 12Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. 13Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. 14Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. 15Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. 16Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. 17Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! 18Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; 19non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. 20Si alzò e tornò da suo padre.

Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. 21Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. 22Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. 23Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, 24perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa.

25Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; 26chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. 27Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. 28Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. 29Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. 30Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. 31Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; 32ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».

Dalle mie parti l'inverno è ancora il padrone di casa. La temperatura fatica a salire, la terra è ancora dura come granito, ma gli abili potatori alleggeriscono vigne e meleti, li preparano alla nuova desiderata primavera. Per portare frutto bisogna tagliare e alleggerire, bisogna farlo con arte e senza rimandare. Guardo la precisione del taglio, i rami potati a terra, la pianta preparata alla nuova stagione.

Per me, per la mia comunità, per voi amici lettori, chiedo questo dono allo Spirito. Una potatura feconda, un alleggerimento necessario per fare in noi l'esperienza strabordante della Pasqua, primavera dello Spirito.

Il deserto e il Tabor ci hanno preparato all'invito della conversione della scorsa settimana e ora la liturgia ci fa gustare il notissimo brano del padre e dei due figli.

Questa famosa parabola di Luca è la storia di un "ritorno". Ritorno del figlio minore che nel fango dei porci lascia annegare il suo delirio di onnipotenza. Ritorno accompagnato dallo sguardo premuroso del padre che sorveglia la strada deserta, che continua a sperare contro ogni speranza. Ritorno nell'abbraccio del padre, quasi un tuffo nella presa sicura di chi non rinfaccia, non accusa, non umilia, non chiede spiegazioni, ma spegne l'incendio delle giustificazioni preparate in anticipo con l'acqua fresca della dignità filiale ridonata.
Evvai con la festa!

Ma qualcuno ancora manca: l'altro figlio. Il fratello maggiore, spesso dimenticato nelle nostre omelie (sarà che ci assomiglia troppo?), è l'emblema di una religione da prestazione che rinsecchisce la gioia di abitare nella casa del Padre. Sì, si può stare con Lui ma senza gioirne, senza gustarne la bellezza e lo stupore.
Ma perché?

Guardatelo: è nei campi a lavorare, fa il suo dovere ed è talmente intontito dalla sua giustizia formale da diventare un giudice permaloso e impietoso del fratello e del padre. Suo fratello ritorna e lui non mostra nemmeno un po' di gioia.
Possibile?

Possibile, certo, perché lui non vive come un figlio, ma come un servo che rinfaccia la sua opera servizievole. Le conseguenze sono evidenti: per lui il fratello non è più fratello, il padre non è più un padre e non c'è spazio per condividere la gioia e la festa di un ritorno a casa. Il fratello maggiore vive nella solitudine e ragiona come un servo. Geloso e permaloso non si presenta alla festa.

E ora guardate il padre: che meraviglia! Non si stufa', non perde la pazienza con questi suoi figli che non capiscono, che si ostinano e si stizziscono. Esce ancora sulle tracce del figlio che ha preso le distanze dalla festa ingiusta. Con calma spiega, svuota il suo cuore di padre e lo invita alla festa.

Ma dobbiamo fermarci qui. Come la scorsa settimana - il fico è lasciato o tagliato? - niente finale per questa parabola. "Vissero felici e contenti" è solo per le favole. Il finale è tutto nostro. Tutto da scrivere.

Nel mio cuore ci sono entrambi questi figli. Le loro povertà e le loro distanze mi fotografano e mi mettono a nudo. Ma la certezza di un Padre che si è già messo sulle mie tracce, che scruta la strada, che spera di vedermi sui passi del ritorno mi riempie il cuore di speranza. Non conta se porto l'abito del porcaro o la veste del figlio presuntuoso. Non importa quante ferite mi porto sulla pelle, quante delusioni ho accumulato o quante lacrime si sono seccate tra gli occhi. Non importa. Non conta. Ora ritorno. Ora voglio quell'abbraccio. Da lì saprò ripartire. Nuovo. Rivestito con l'abito del figlio. Per grazia. Per amore.

PS. Tra i "Ritagli dello Spirito" (www.oratoriotirano.wordpress.com) potrai trovare nuovi testi per la tua meditazione personale.

PREGARE LA PAROLA - Quarta domenica di Quaresima

Ti preghiamo, Signore Gesù,
rivesti le nostre nudità
con la veste del Figlio,
la Tua,
quella di cui ti sei spogliato per salire sulla Croce.
Rivesti le nostre fragilità
con la forza del tuo amore,
le nostre delusioni
con la speranza che viene solo da Te,
i nostri scoraggiamenti

con il soffio potente dello Spirito.

Maria, madre Tua e madre nostra,
aggiunga ciò che manca alla nostra preghiera.

Amen.

don Roberto

 

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