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TESTO Commento su Luca 13,1-9

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III Domenica di Quaresima (Anno C) (07/03/2010)

Vangelo: Lc 13,1-9 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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1In quello stesso tempo si presentarono alcuni a riferirgli il fatto di quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici. 2Prendendo la parola, Gesù disse loro: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subìto tale sorte? 3No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. 4O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Sìloe e le uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? 5No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo».

6Diceva anche questa parabola: «Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. 7Allora disse al vignaiolo: “Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest’albero, ma non ne trovo. Taglialo dunque! Perché deve sfruttare il terreno?”. 8Ma quello gli rispose: “Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. 9Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai”».

Questa parabola di Gesù - sulla quale oggi si soffermeremo per la nostra riflessione di coppia e di famiglia - è preceduta da un forte appello alla conversione. Ma non si tratta di una "conversione" sulle piccole cose. Nell'evangelo di Luca "conversione" significa cambiamento di rotta, modifica radicale dello stile di vita. Significa, per riprendere la riflessione della prima domenica di Quaresima, scegliere di entrare in quel luogo terribile che è il deserto. Una conversione che interessa singolarmente ognuno di noi, ma che implica anche scelte (non sempre facili) decise in coppia e in famiglia. La conversione non è un atto, è un progetto che dura ogni giorno della vita: un cammino. La Quaresima, tuttavia, è il tempo forte per fare una verifica, accurata e a tratti spietata, per accertare il punto in cui siamo arrivati nel nostro itinerario. È in Quaresima, infatti, che la parola di Dio ci interpella con tutta la sua forza rinnovatrice e che deve trovare più ampi spazi di ascolto nel nostro cuore: la verifica di questo cammino non è riduttivamente parametrabile sull'adesione più o meno convinta ad alcune norme morali, ma sulla progressiva scoperta del Dio biblico, che parla al nostro cuore come a Mosè, e che dolcemente dice ad ognuno di noi «Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sovrintendenti: conosco le sue sofferenze. 8Sono sceso per liberarlo (Es 3,7-8). «Sono sceso per liberarti...». Il Dio biblico è anche il Dio della storia, esigente e misericordioso ad un tempo, che Gesù ha rivelato ai piccoli e ai poveri. A noi. A noi che ci abbeveriamo a Lui che è la fonte, come dice Paolo: «4tutti bevvero la stessa bevanda spirituale: bevevano infatti da una roccia spirituale che li accompagnava, e quella roccia era il Cristo» (I Cor 10,4).

È qui che si inserisce, con mai sopita meraviglia, la parabola del fico che abbiamo riportato in epigrafe. La scure che già era alzata, pronta ad abbattersi sull'albero sterile, ricade impotente a terra. La furia distruttiva si placa, si stempera in un momento di rasserenazione e di speranza, di amore e di attesa.

Il nostro non è il Dio della vendetta e dell'intolleranza, dell'odio e dell'impazienza. Guai ad avere paura di Dio. Nella nostra vita possiamo avere paura addirittura del giudizio di nostra moglie o di nostro marito, dei figli, dei nostri genitori, dei colleghi di lavoro... Ma la misericordia del Signore supera ogni giudizio umano, non è a misura d'uomo, è indicibile; il "timor Dei", il timore di Dio, non è paura di Dio, è attenzione vigile alla sua voce che ascoltiamo nell'intimo più intimo della nostra coscienza, e ci parla dolcemente, come sempre vorremmo sentirci parlare da tutti.

Il nostro non è il Dio che giudica dall'esterno la storia, senza farsi mai lasciarsi coinvolgere in essa, che discrimina tra buoni e cattivi, tra fedeli ed infedeli, tra chi va a messa e chi non ci va, e che poi si isola con i "suoi" in una sorta di protezionismo spirituale. Non è che questo Dio non esista: esiste, ma lo abbiamo costruito noi con la nostra testa, a tavolino, proiettando su di lui la nostra limitata idea di giustizia, di bene e di male, imputandogli la nostra angoscia e la nostra impotenza, tutta la nostra fretta, i nostri giudizi perversi, le nostre paure bloccanti. Non è un Dio, è un idolo. È il Dio delle nostre teocrazie che incitano alla distruzione, all'odio, alla eliminazione fisica del "nemico". Non è il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe. Della Maddalena e della Samaritana. Di Zaccheo e di Paolo. Non è il Dio di Gesù.

Dobbiamo avere il coraggio di credere nel Dio di misericordia, lento all'ira e pronto al perdono. Sempre. Come recita il Salmo 120: «Buono e pietoso è il Signore, / lento all'ira e grande nell'amore. / Come il cielo è alto sulla terra, / così è grande la sua misericordia / su quanti lo temono». Rimane, certo, un Dio esigente. Quante volte vorremmo fare a meno della nostra coscienza, il luogo (il deserto...) in cui ci parla! E tuttavia resta un Dio umile ("misericordioso" significa appunto "dal cuore umile e povero"), un Dio che in qualche modo "si ritira" di fronte alle nostre scelte. Spesso non apprezziamo un Dio così. Vorremmo sempre un Dio glorioso e trionfatore, armato di spada e di bilancia, che ci renda giustizia, che "si" renda giustizia, e ci sentiamo quasi anche noi sconfitti nel vedere un Dio sconfitto nella storia, e allora vogliamo affermare la sua presenza, vogliamo dire agli "altri": il nostro Dio è qui con noi e soprattutto per noi. E facciamo marce, raduni oceanici, family day per dire guardate da che parte sta Dio... e dimentichiamo che Egli è, come dice Pascal, "in agonia fino alla fine del mondo".

Dobbiamo avere il coraggio di essere in agonia con Lui e con il suo Cristo. Perché l'incarnazione è una cosa seria. Richiede al cristiano la capacità di muoversi a proprio rischio, in un mondo che non è fatto a misura del credente e neppure per la sua consolazione e per i suoi stonati trionfalismi. Primo Mazzolari ci invitava - lui che per queste idee ha sofferto fino allo spasimo - ad una fede che "prende il passo di chi non crede". Non possiamo saltare dei passaggi: c'è un tempo per l'impegno ed un altro, che non conosciamo e che non ci interessa conoscere, per la divisione tra il grano ed il loglio.

Questo è il messaggio di questa domenica per le coppie e le famiglie: il cristiano è sempre in agonia con il suo Cristo e con l'uomo. Dove ci sono un uomo ed una donna ed un bambino che soffrono, lui c'è; dove ci sono un uomo, una donna ed un bambino che fanno fatica, lui c'è. E possiede un'unica certezza: il Dio biblico, il Dio della storia, paziente ed innamorato delle sue creature, cioè di ognuno di noi in qualunque condizione morale ci troviamo, ha sconfitto il Dio dei giuristi e dei tribunali. Allunga la sua mano perché ogni uomo l'afferri. Insieme si pongono in cammino, nel cuore di una comune sofferenza, scrutando, oltre gli orizzonti nebbiosi e lontani, il sorgere di un'alba nuova.

Traccia per la revisione di vita

- La conversione è solo una buona e pia intenzione per la nostra coppia e la nostra famiglia, oppure è un progetto che portiamo avanti, inciampando e rialzandoci, ma con lo sguardo rivolto ad un orizzonte di senso? Insomma, ci mettiamo "del nostro"?

- Qual è il Dio in cui crediamo? È il Dio dell'ira o della misericordia? E quale immagine di Lui proiettiamo nella nostra coppia e nella nostra famiglia?

 

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