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TESTO L'insidia della popolarità

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VI Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (14/02/2010)

Vangelo: Lc 6,17.20-26 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 6,17.20-26

In quel tempo, Gesù, 17disceso con i Dodici, si fermò in un luogo pianeggiante. C’era gran folla di suoi discepoli e gran moltitudine di gente da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidone,

20Ed egli, alzàti gli occhi verso i suoi discepoli, diceva:

«Beati voi, poveri,

perché vostro è il regno di Dio.

21Beati voi, che ora avete fame,

perché sarete saziati.

Beati voi, che ora piangete,

perché riderete.

22Beati voi, quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e vi insulteranno e disprezzeranno il vostro nome come infame, a causa del Figlio dell’uomo. 23Rallegratevi in quel giorno ed esultate perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nel cielo. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i profeti.

24Ma guai a voi, ricchi,

perché avete già ricevuto la vostra consolazione.

25Guai a voi, che ora siete sazi,

perché avrete fame.

Guai a voi, che ora ridete,

perché sarete nel dolore e piangerete.

26Guai, quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i falsi profeti.

Questa pagina evangelica andrebbe letta in parallelo con il brano del vangelo di Matteo per sottolineare le somiglianze e le divergenze che caratterizzano questo episodio riportato dai due evangelisti. Ma ciò non è possibile perché diventerebbe un lavoro esegetico e non un testo da meditare. Inoltre, non è questo il momento di fare un'analisi dettagliata di tutte le beatitudini e i guai per evitare di perdersi in percorsi esegetici riservati ad altre occasioni. Per cui mi piace soffermarmi sull'ultima beatitudine e sull'ultimo guaio in quanto possono essere la chiave di lettura di una situazione che non è per niente risolta all'interno delle comunità ecclesiali: l'esca della popolarità. La voglia di affermazione e di celebrità è una malattia che colpisce una buona parte di cristiani (si dice cristiani per non dire ecclesiastici) e li porta lontano dallo spirito evangelico e dai suoi valori.

Il desiderio di successo ci può rendere poveri o ricchi indipendentemente dalla nostra condizione sociale... dall'ambiente di provenienza. La cosa più antipatica, quando si è chiamati ad avere un ruolo di servizio, è dimenticarsi delle proprie origini umili e modeste. Bisogna sottolineare con insistenza che Gesù sta parlando ai suoi discepoli, a coloro che avrebbero avuto un ruolo-guida nella comunità, trascurando tutta la folla che gli stava attorno. È significativo come Gesù più di una volta sente il desiderio proporre delle catechesi sull'umiltà e in modo particolare a coloro che avevano "lasciato tutto per seguirlo"; se il Signore e Maestro avverte questa esigenza, ciò è il segno di come, nella maggior parte dei casi, l'uomo è portato a collocarsi su un piedistallo per far emergere il proprio egoismo e il proprio individualismo.

È questo un atteggiamento cristiano?

L'evangelista sembra dire proprio di no. Il motivo lo scopriamo nel testo stesso: dietro una qualsiasi ambizione potrebbe esserci qualche forma di compromesso che distoglie dalla retta via tracciata da Gesù nelle sue catechesi. Inoltre, non saremmo configurati a Gesù che è stato, è e sarà segno di contraddizione per svelare la verità che risiede nel cuore degli uomini. È deleterio quando appaiono pubblicazioni nelle quali risulta e dalle quali si evince l'iscrizione di persone "eminenti" all'interno della chiesa a gruppi di ispirazione "massonica" o cose del genere, organizzazioni tollerate dallo stato e condannate dalla chiesa stessa, per ottenere una carica che mai nessuno avrebbe avuto il coraggio di conferire a quel soggetto. La cosa più strana è che nessuno smentisce. Viene da chiedersi: per quale motivo Gesù rifiuta questo sistema?

Allora la popolarità è un atteggiamento da allontanare perché il popolo o i fedeli diventano il metro di misura della nostra vita di cristiani e della nostra opera pastorale. Ci si sente soddisfatti quando il popolo ha avuto ciò che desidera e non quando ho cercato di proporre la volontà di Dio. Ma bisogna anche considerare che il desiderio del popolo non sempre corrisponde alla volontà di Dio. Allora Dio non è più la Persona con cui mi misuro ma è stato elegantemente sostituto, in nome di una pastorale ecclesiale, dal popolo. In tutto questo discorso bisogna considerare che il popolo molto spesso, e soprattutto quando le cose non vanno secondo i suoi progetti, risulta essere infedele... abbandona e distrugge colui che è stato utile e di cui si è servito. A questo punto Gesù fa trapelare un'altra verità: la fedeltà di Dio. Il discepolo-cristiano deve guardare costantemente a Dio perché Dio è Fedele e non viene meno alla promessa fatta. Se Gesù mette gli occhi sui discepoli, i discepoli sono chiamati a fissare lo sguardo su di Lui e nessun altro. La bramosia di celebrità si vince solo nel momento in cui la nostra vita è orientata a Gesù... Unico Maestro di umiltà. È sotteso a tutto ciò un invito a cercare e perseverare nella fedeltà alla chiamata... e a dire no a tutte quelle prospettive allettanti ma pur sempre umane in quanto la nostra vita è fondata sulla fedeltà a Dio e non sul giudizio del popolo. Si può essere "beati" o si cade nel "guaio" dal posto che riserviamo a Dio nella nostra quotidiana esistenza.

Buona Domenica!!!

Commento a cura di don Alessio De Stefano

 

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