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TESTO Un concreto programma di vita

padre Gian Franco Scarpitta  

VI Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (14/02/2010)

Vangelo: Lc 6,17.20-26 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 6,17.20-26

In quel tempo, Gesù, 17disceso con i Dodici, si fermò in un luogo pianeggiante. C’era gran folla di suoi discepoli e gran moltitudine di gente da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidone,

20Ed egli, alzàti gli occhi verso i suoi discepoli, diceva:

«Beati voi, poveri,

perché vostro è il regno di Dio.

21Beati voi, che ora avete fame,

perché sarete saziati.

Beati voi, che ora piangete,

perché riderete.

22Beati voi, quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e vi insulteranno e disprezzeranno il vostro nome come infame, a causa del Figlio dell’uomo. 23Rallegratevi in quel giorno ed esultate perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nel cielo. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i profeti.

24Ma guai a voi, ricchi,

perché avete già ricevuto la vostra consolazione.

25Guai a voi, che ora siete sazi,

perché avrete fame.

Guai a voi, che ora ridete,

perché sarete nel dolore e piangerete.

26Guai, quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i falsi profeti.

"Maledetto l'uomo che confida nell'uomo... Benedetto l'uomo che confida nel Signore" (Ger 17, 5. 7). Già il profeta Geremia pone anti teticamente una benedizione e una maledizione che hanno per comune denominatore la "confidenza", meglio espressa come "fede" o "affidamento".

Il linguaggio del profeta è molto plastico ed immediato; spontaneamente egli sottolinea la conseguenza a cui si va incontro quando si pone eccessiva fiducia nella parola umana, molte volte mendace e ingannevole e comunque mai all'altezza delle garanzie divine. Non che le amicizie o le interazioni umane non abbiano il loro valore, non che ci si debba isolare dal contesto delle mutue relazioni sociali, ma guai a riporre esclusiva fiducia sulle promesse di umana provenienza: sono sempre ingannevoli, in un modo o nell'altro apporteranno sempre una certa delusione. Non può mai tradire invece la fiducia in Dio, che contrariamente ai nostri atteggiamenti è sempre fedele e disposto, pronto all'accoglienza e all'amore nei nostri riguardi.

Con lo stesso linguaggio di beatitudini e di maledizioni si esprime Gesù in quello che comunemente viene definito "discorso della montagna", poiché Matteo lo ambienta su un punto geografico di altitudine, il monte, luogo dei messaggi divini per antonomasia biblica. In realtà, esso non è TUTTO il discorso pronunciato dalla montagna, poiché oltre alle beatitudini Gesù vi ha riferito altri argomenti come la preghiera, la concupiscienza, il sale della terra e altri ancora; questa delle Beatitudini è comunque la parte più interessante e convincente di tutto l'insegnamento dal monte, poiché da essa scaturisce il senso di tutti gli altri argomenti correlati. Luca però piuttosto che sulla montagna (che secondo la tradizione doveva essere nei pressi di Cafarnao) colloca l'episodio su un territorio pianeggiante alle pendici di un monte, per cui secondo la sua versione possiamo definirlo "discorso della pianura". A differenza di Matteo, che definiva il discorso gesuano attraverso nove beatitudini, Luca ne pone solamente quattro, correlate da altrettante maledizioni, secondo uno stile somigliante a quello del succitato profeta Geremia: Beatitudini per chi vive una determinata virtù con costanza e perseveranza assumendo fino in fondo anche i rischi e le persecuzioni che essa comporta; maledizione inesorabile per chi oppone ad essa una logica di vita del tutto opposta, smentendone di fatto il significato e rifiutando di essa le garanzie. Non praticare la legge di Dio e non radicarsi in essa equivale ad autodistruggersi e a smarrire se stessi, con la conseguenza di sole felicità passeggere inconcludenti che anziché colmare le lacune esistenziali creano nuove zone d'ombra nel vuoto delle illusioni e delle false certezze.

Ogni beatitudine racchiude in se stessa 1) Una virtù che viene proposta come programma di vita irrinunciabile al quale tutti si è comunque soggetti 2) Una serie di lotte e di difficoltà che il soggetto è chiamato a dover affrontare nel perseguire l'obiettivo che essa propone 3) una proclamazione di futura ricompensa e di gioia che deriverà da Dio (beati= makarioi= felici, fortunati) per chi con perseveranza si sarà attenuto a siffatto programma di vita. Ogni beatitudine è un obiettivo certo e definito, che si conquista tuttavia non senza sacrifici, pericoli, prove e rinunce, ma che tuttavia risulta pur sempre perseguibile. In sintesi, tutte queste promesse

costituiscono un programma di vita concreto e realistico che impegna il cristiano in questa terra in vista della ricompensa presente e futura e che scaturisce da una proposta altrettanto concreta, che scaturisce speculazioni dall'esperienza concreta dello stesso Signore che coltivava relazioni con tutti gli uomini non esclusi i peccatori e i derelitti.. In altre parole, Gesù annuncia un discorso non sul fondamento di un'idea sterile e meschina di contenuti, ma a partire dalla sua esperienza personale di relazione con Dio e con gli altri e di lotta contro il male e le inquietitudini terrene; vivendo ciascuna di queste prospettive con coraggio, disimpegno e fiducia si entra in immediata relazione con il Padre che in forza dello Spirito Santo sull'esempio di Cristo Figlio di Dio conduce a guadagnare i meriti su questa terra nonostante innumerevoli tribolazioni.

Ogni termine di questi pronunciamenti meriterebbe una considerazione esegetica più approfondita e varrebbe la pena riflettere sul concetto di ogni singola espressione. La prima Beatitudine, quella della povertà è quella fondamentale; le altre sono esplicitazioni di essa (R. Penna); il povero in spirito è colui che vive di indigenza abbandonandosi alla Provvidenza di Dio, ma soprattutto chi prende interiormente le distanze dalle ricchezze materiali; l'afflitto è lo sconsolato e lo sfiduciato che trova consolazione nell'intervento di Dio che farà giustizia; "giustizia" in questo caso è l'accettazione libera della volontà di Dio. "Fame e sete" indicano nella Bibbia la volontà ardente di conoscere il Signore; la sazietà è la soddisfazione che ottiene la prospettiva del Regno. Tutti questi elementi fondano anche l'"attualità" delle beatitudini, perché descrivono delle strategie di vita che pervengono sempre a conclusioni ottimali infondendo fiducia e speranza anche a proposito degli assillanti problemi odierni, sicché ogni Beatitudine è un chiaro annuncio anche per l'uomo di oggi, che può trovare nel discorso della montagna (o della pianura) un valido incoraggiamento alla perseveranza nel bene e alla fiducia, perché trova concretizzata in ogni ambito la presenza di Dio foriera di soddisfazioni e di gioie presenti e future. Come dirà poi Giacomo, chi pratica la legge di Dio proverà gioia già nel praticarla (Gc 1, 25).

Gesù si mostra sempre sollecito nel venirci incontro per indirizzarci a vivere la pienezza della vita ordinaria in modo che si pregusti la vita eterna e la pagina di questo discorso così espressivo e attualizzante rimarca tale sollecitudine nei nostri confronti, con un linguaggio che deriva da Dio ma che tiene conto anche delle debolezze e delle crisi dell'uomo. Che invita a vedere Dio in ogni situazione, felice e avversa, a riscontrare la sua presenza e a instaurare un rapporto di fiducia esclusivamente in lui.

 

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