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TESTO Il tempo dei profeti

mons. Antonio Riboldi

XX Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (19/08/2001)

Vangelo: Lc 12,49-57 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 12,49-53

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 49Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso! 50Ho un battesimo nel quale sarò battezzato, e come sono angosciato finché non sia compiuto!

51Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, io vi dico, ma divisione. 52D’ora innanzi, se in una famiglia vi sono cinque persone, saranno divisi tre contro due e due contro tre; 53si divideranno padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia e figlia contro madre, suocera contro nuora e nuora contro suocera».

Che viviamo tempi carichi di incertezze, a volte drammatiche, ne abbiamo tutti piena coscienza. Basta possedere un minimo di amore alla giustizia, alla pace, alla serenità, alla felicità per provare la grande sofferenza che dà questo clima.

Non si fa in tempo a superare uno spavento o una forte emozione che ne spuntano altri, capaci di cancellare i precedenti. E pare che la storia assomigli ad un libro carico di tensioni drammatiche si sfoglia pagina dopo pagina con lo sguardo e il cuore tutto concentrato su quello che è sotto gli occhi, completamente dimentichi del passato e senza voglia di spingere lo sguardo al futuro.

Ogni evento cerca sempre la prima pagina dei giornali o le ore «buone» nella televisione, fino ad occupare ogni spazio del nostro piccolo mondo interiore. E ogni evento è sempre accompagnato da un fuoco di batteria su tutto e su tutti, rendendo tutto più complicato e difficile, fino a non farci capire più nulla; o fino a sprofondarci nella più nera rassegnazione. «Non c'è più niente da fare», dicono in troppi. E questa frase è davvero la sentenza dei profeti di sventura, direbbe Giovanni XXIII, che chiudono i cieli della speranza di cui l'uomo ha bisogno come dell'aria che respira per poter costruire il futuro.

Ma non tutti per fortuna si lasciano scuotere dalle emozioni che creano tenebre. E non tutti si lasciano prendere la mano dalla rassegnazione dandosi per vinti, senza neppure esplorare le vie della speranza. Momenti di forti tensioni che la debolezza o il disimpegno dei deboli consegna alla rassegnazione diventano i tempi dei profeti, di quanti cioè - nel nome dell'amore che Dio ha per il mondo, più forte di ogni cattiveria umana - sanno tracciare quelle che Isaia chiama «le vie nel deserto» fino a farlo fiorire. Gente che va oltre la semplice e facile denunzia del «tutto va male» e «tutti sono corrotti e cattivi». Gente che affronta i tempi duri con la «povertà di Davide che si fa potenza di Dio» senza paura dei vari Golia che spuntano ovunque a spaventare gli uomini. Basta pensare a Gandhi che con la forza della sua fede in Dio e nella dignità e libertà dell'uomo seppe mettere in ginocchio l'impero inglese che non concedeva spazi. Basta pensare a Martin Luther King che, percorrendo le strade della superpotente America negatrice della dignità e dei diritti dei negri, predicò il «suo sogno» di libertà, fino a che l'ottenne.

E potremmo continuare all'infinito. Anche ai nostri giorni la gente comune chiama «profeta» quanti sanno uscire dal branco dei paurosi o dei ciechi, per tracciare vie nel deserto, facendosi voce e testimonianza di «tempi nuovi» in possesso «del giudizio di Dio che mostra ciò che è giusto», secondo il Vangelo di oggi. La Chiesa stessa in questi ultimi tempi, con il Concilio e dopo, è diventata davvero profetica e si presenta come «cometa» che guida i passi sicuri degli uomini fuori dal guado in cui egoismo, ignoranza, rifiuto di amore li ha gettati.

Ma è Gesù stesso il vero Profeta che, «compiuti i tempi dell'attesa», apre decisamente la strada nel deserto: una strada che nessuno potrà più cancellare perché è Lui stesso ad essere strada. Lui scompiglia pensieri, disegni, false tranquillità smascherando i cadaveri putrefatti che si nascondono dentro ben levigate tombe.

Ai Suoi tempi i principi dei sacerdoti e gli anziani del popolo sapevano ben fare il loro mestiere di inscenare un clima di serenità che non poteva esistere. E Gesù non esita un istante a scaraventare a terra con la frusta il mercato che si faceva attorno e dentro il tempio, ridotto a spelonca di ladri. Deve aver bruciato a lungo quella frusta su1 volto degli ipocriti, dei superbi: era una bruciatura che chiamava vendetta, il Calvario. Ma è proprio lì che ha inizio la speranza che corre per il mondo e correrà fino alla fine per ogni uomo.

E come Gesù tutti «i profeti» hanno subito la stessa sorte fino ai nostri giorni. L'impero del male non si fa demolire senza travolgere chi lo demolisce. Quanto è più comodo tacere. Fare finta di niente. Sopportare il giogo pesante che viene imposto. Mettersi nel numero degli schiavi che hanno il solo diritto di gridare il dolore e l'indignazione, senza però muovere un dito per levare le cause dell'indignazione. Per paura di pagare di persona.

Ed ecco perché Gesù oggi si presenta con il linguaggio duro del profeta che sente bruciare dentro di sé il fuoco di Dio, che vorrebbe incendiare tutto il mondo, spazzando via il male che si è fatto dittatura insopportabile. Parole che scrostano ogni voglia di non impicciarsi, di non bruciarsi, di non farsi del male. Demolisce quel vecchio proverbio che dice: «Se vuoi vivere fa' il morto». E urla ai suoi Discepoli che forse si attendevano da Lui certezze, pace: «Sono venuto a portare il fuoco sulla terra e come vorrei che fosse già acceso!... Pensate che io sia venuto a portare la pace sulla terra? No, ma la divisione» (Lc 12, 49-51).

Un discorso duro che si adatta benissimo ai nostri tempi, e come! Basta guardare i segni dei tempi per accorgersi che non si può stare con le mani in mano.

Chi veramente ha dentro di sé «il fuoco di Cristo» non resiste alla sublime tentazione di appiccarlo a questa nostra umanità, perché divampi ovunque, nelle famiglie, nella società, sul lavoro, nella stessa Chiesa. Anche se questo fuoco inevitabilmente lo brucerà. Come avviene per i profeti.

 

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