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mons. Antonio Riboldi

II Domenica di Quaresima (Anno C) (11/03/2001)

Vangelo: Lc 9,28-36 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 9,28-36

28Circa otto giorni dopo questi discorsi, Gesù prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare. 29Mentre pregava, il suo volto cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante. 30Ed ecco, due uomini conversavano con lui: erano Mosè ed Elia, 31apparsi nella gloria, e parlavano del suo esodo, che stava per compiersi a Gerusalemme. 32Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno; ma, quando si svegliarono, videro la sua gloria e i due uomini che stavano con lui. 33Mentre questi si separavano da lui, Pietro disse a Gesù: «Maestro, è bello per noi essere qui. Facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Egli non sapeva quello che diceva. 34Mentre parlava così, venne una nube e li coprì con la sua ombra. All’entrare nella nube, ebbero paura. 35E dalla nube uscì una voce, che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo!». 36Appena la voce cessò, restò Gesù solo. Essi tacquero e in quei giorni non riferirono a nessuno ciò che avevano visto.

Il Vangelo di oggi ci racconta come Gesù, forse nel mezzo della sua missione su questa terra, in vista anche di quanto lo attendeva a Gerusalemme e quindi sul Calvario, prese con sé tre Apostoli, evidentemente a lui molto cari e chiamati domani a confortare gli altri nella fede, e con essi salì su "un alto monte a pregare". E questo alto monte, oggi, comunemente, lo individuiamo nel "Monte Tabor". Chi di noi è stato nella Terra Santa sa molto bene come questo colle si eleva nel mezzo della Galilea, con una vista sulla regione veramente incantevole. Non solo ma si ha davvero la sensazione di trovarsi a due palmi dal cielo, tante è grande il senso di distacco da questo nostro povero mondo e ti coglie una grande voglia di "guardare con gli occhi rivolti verso il cielo", dove tutto prende un'a1tra dimensione. Davvero lì ti viene la voglia di "pregare" e di affidarti, nel silenzio della contemplazione, al Padre.

E, mentre pregava - afferma l'evangelista Luca - il suo volto cambiò l'aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante. Ed ecco due uomini parlavano con lui: erano Mosè ed Elia, apparsi nella loro gloria e parlavano della sua dipartita che avrebbe portato a compimento a Gerusalemme...E mentre questi si separavano da Lui, Pietro disse a Gesù: Maestro, è bello stare qui. Facciamo tre tende, una per te, una per Mosè, una per Elia. Ma egli non sapeva quello che diceva. E mentre parlava così, venne una nube e li avvolse: all'entrare nella nube, ebbero paura. E dalla nube uscì una voce che diceva: "Questi è il Figlio mio, diletto: ascoltatelo". Appena la voce cessò Gesù restò solo. Ed essi tacquero ed in quei giorni non riferirono ad alcuno nulla di ciò che avevano visto". ( Lc/ 9,28-36)

E ci voleva questo momento di solitudine, lassù, di Gesù con i suoi tre apostoli, Era grande infatti la prova di fedeltà nella fede in Lui, nella speranza che tutto non sarebbe finito, come una bolla di sapone, nella terribile crocifissione – la più orrenda devastazione dell'uomo nella sua dignità, nella sua carne nella sua stessa missione –. Un terribile atto che assomiglia allo spegnersi del sole, in gente semplice che aveva lasciato tutto per seguire chi si era definito "Io sono la Via, la Verità e la Vita". Seguire chi aveva promesso addirittura la bellezza del Regno dei Cieli, il massimo che uomo possa desiderare. Ma occorreva passare per la croce, per quella demolizione dell'uomo con tutte le sue effimere speranze di questo mondo – che non è certamente il Regno di Dio – e quindi farlo entrare nella luce del Regno dei cieli.

Nella solitudine della preghiera in questo dolce "stare con il Padre"; che è solo Amore, il suo volto si illumina, addirittura da perdere la fragilità della natura umana ed assumerne una tutta luminosità tanto da farlo apparire "uomo celeste" con "nulla di terrestre".

Tutto questo nella stupenda solitudine della preghiera, o contemplazione, troppo sconosciuta nella nostra vita quotidiana. E questo rifiuto o non avere tempo per "stare con gli occhi rivolti al cielo", occhi che cercano il volto e lo sguardo del Padre per cogliere il senso della vita, della sua volontà; soprattutto per cogliere la certezza della resurrezione, nei momenti difficili e tragici della vita; inevitabilmente ci fa smarrire la strada della speranza e quindi della gioia.

In questi ultimi tempi sembra proprio che la cronaca voglia chiudere il cielo, che è sopra di noi. Posti di fronte a fatti tragici in casa nostra e fuori di casa nostra, ci sentiamo come smarriti e siamo colti dalla paura. Paura di amare, che è davvero perdere il senso e la bellezza della vita. Paura tra genitori e figli: paura nella società; paura del domani. La stessa paura che ebbero gli apostoli vedendo Gesù in croce.

Ma è giusta questa paura? Questo impossibile chiuderci in noi stessi, chiudendo le porte alla speranza?

Quanta gente ha scritto articoli, opinioni, cronaca su questo momento, senza però offrirci la visione del monte Tabor. Come se avessero paura a "farsi condurre da Dio sul monte Tabor" e là nella solitudine dello "stare con Lui; farsi illuminare dalla speranza, dall'amore: riacquistare la gioia di essere anche qui, dove siamo, "dove collochiamo le nostre tende", perché sappiamo che il rumore del mondo si è sempre accompagnato all'uomo come la notte.

Ma poi viene "il giorno", per tutti. E lo vogliamo o no, fratelli carissimi, il giorno lo troviamo solo in Dio, di cui siamo divenuti, nel Battesimo, "figli diletti". Può mai un padre fare finta che noi non esistiamo? Nascondere il suo volto? 0 non siamo noi che ci nascondiamo al suo volto? E tempo di guardare verso il cielo: farsi prendere da quella voglia di restare lì, come capitò ai tre apostoli e come accade a chi di noi si reca sul Monte Tabor. Troppo comodo sottrarsi così alle responsabilità della vita, che è aspirazione alla gioia, sì, ma deve salire sul Calvario, sapendo che vicino a noi c'è un Cireneo, Gesù, che conosce molto bene cosa significhi vivere l'esperienza umana e le sofferenze del Calvario, ma conosce anche il "giorno della felicità senza fine, la sua e nostra resurrezione".

Come vorrei che questo invito alla fiducia in Dio giungesse a tante famiglie che soffrono la paura e lo smarrimento! Quanto vorrei che i giovani, liberi, da giochi falsi di questo mondo, aprissero le ali verso un futuro che sia il sogno che hanno nel cuore, ossia il sogno di conoscere il segreto della vita che è solo in Dio, nell'amore, nella fede, nell'impegno e poi comunicarlo al mondo.

Come vorrei essere capace di dare una mano a tutti per uscire dal pantano di questa valle di lacrime e salire insieme la vetta del Tabor, dove ritroviamo il senso del nostro essere qui sulla terra, ossia quello di essere tanto amati dal Padre. Prego sia così.

Con il Vescovo Tonino Bello anch'io dico a voi: "Amate il mondo. Fategli compagnia. E adoperatevi perché la sua cronaca di perdizione, diventi storia di salvezza".

 

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