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TESTO Partorisci tuo figlio

Marco Pedron  

IV Domenica di Avvento (Anno C) (20/12/2009)

Vangelo: Lc 1,39-48 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 1,39-45

39In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda. 40Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. 41Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo 42ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! 43A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? 44Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. 45E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto».

Il vangelo di oggi ci propone l'incontro d'anima di due donne entrambe incinte. Maria ed Elisabetta sono parenti (1,36), cugine. Per la Bibbia essere parenti non indica tanto una consanguineità ma una similitudine di esperienze, e infatti la loro vicenda non solo si interseca ma è molto simile e vicina.

Entrambe hanno avuto un'illuminazione, un'intuizione profonda; ad entrambe, infatti, è apparso l'angelo Gabriele. A Maria direttamente (1,26-38), ad Elisabetta tramite il marito Zaccaria (1,5-25).

Entrambe si trovano in situazioni di chiusura, di non possibilità: Maria è giovane ed è soprattutto vergine, non conosce uomo e quindi non può nascere nessun figlio da lei; Elisabetta è vecchia e non può avere nessun figlio data la sua tarda età.

Ma l'angelo Gabriele è l'angelo che promette un figlio, un nuovo inizio quando nulla lo sembra presagire. In Lc l'angelo Gabriele ha proprio questo compito: annunciare la nascita di un figlio benedetto là dove sembra impossibile. Gabriele sembra quasi una levatrice, che annuncia e fa nascere "i figli".

Maria crede a questo annuncio in-credibile, im-possibile, as-surdo (ab-surdus) alle orecchie umane e dice "sì". Per questo canta il Magnificat: è il canto di chi si fida di Dio anche se sembra impossibile. Zaccaria, marito di Elisabetta al contrario, non ci crede, dice "no" e rimane muto e per questo non può cantare nulla.

Allora: anche quando sembra impossibile, qualcosa può succedere: "Nulla è impossibile a Dio" (1,37). Lo gnostico Silvano diceva: "Tieni il tuo spirito all'inferno e non disperare".

Sembrava che una donna non potesse avere figli, aveva provato in tutte le maniere di rimanere incinta, ma non c'era riuscita, e così si era rassegnata. Aveva indirizzato le sue energie altrove e viveva il suo essere materna in maniera diversa. Ebbene: un giorno, in maniera inaspettata, rimase incinta.

Un'altra donna non riusciva a vivere la sessualità. Quando doveva incontrare il suo uomo si chiudeva, si irrigidiva per cui era impossibile ogni rapporto sessuale e ogni intimità. Avrebbe così tanto voluto!, ma quando ci provava scattava in automatico una molla di chiusura. Si sentiva una donna di serie B. Nonostante tutti i suoi tentativi di farsi aiutare la situazione non cambiava. Un giorno, come all'improvviso, le venne in mente, cosa totalmente dimenticata da decenni, di aver subito "attenzioni" da uno zio. Pianse, ne parlò e si disperò, ma da quel giorno tutto cambiò.

Un uomo non provava nulla. Tenerezza, amore, affettività, carezze, nulla di tutto questo lo toccava. Sapeva che erano cose belle e che desiderava, ma lo sapeva con la testa perché l'anima non percepiva niente. L'anima rimaneva inviolata da tutto questo. Lui non si arrendeva e continuava a provarci ma non succedeva niente, con grande suo sconforto. Ma un giorno, quasi per meraviglia, scattò qualcosa e iniziò a percepire la vita. Quant'era meraviglioso sentire una mano che ti accarezzava il viso! Quant'era meraviglioso abbracciarsi! Quant'era vitale sentire lo stupore riempirti l'anima e lasciarti senza parole o l'amore riempirti il cuore così tanto da sentirti traboccante.

Quante persone sono preda dell'angoscia, della disperazione più totale, del buio più nero. Tu fa' la tua parte ma poi fidati; l'angelo a suo modo e a suo tempo verrà, non ti preoccupare.

Ad un uomo è morto il figlio ventenne di leucemia. È rimasto nell'angoscia, con un vuoto tremendo per quasi un anno. Lui ce la metteva tutta per non buttarsi giù, ma...; sapeva che la vita va avanti lo stesso ma non ne sentiva il motivo. Poi una mattina quel suo figlio lo sentì dentro di sé: da lì nessuno poteva ora più portarglielo via. La sua vita cambiò. Ora è un uomo vivo, con una grande profondità e spessore di vita.

Allora nella mia chiusura, nella mia disperazione, nella mia angoscia, io faccio la mia parte con tutte le mie forze. Ma so che certe cose non dipendono da me né dal mio impegno o dal mio sforzo.

Faccio la mia parte e poi mi fido; mi fido, attendo e so che qualcosa verrà; l'angelo verrà! Se tu non ti arrendi e continui ad attendere un angelo, prima o poi, arriverà. Cosa ti dirà non lo so, ma avrà qualche annuncio anche per te. Abbi fede e continua ad attendere. Se lo crederai con tutte le forze e rimarrai aperto al suo annuncio (cioè non vorrai stabilire tu cosa ti deve dire), Lui verrà e sarai fecondo e pieno.

Nell'A. T. Dio, nella prima creazione, aveva puntato sul maschile, su Adamo ma non aveva funzionato. Adesso nel N.t, nella seconda creazione, Dio punta sul femminile, su Maria.

Questo non è un'esaltazione della donna sul maschio, ma significa che solo l'amore, la tenerezza, la misericordia, l'ascolto, l'accoglienza, ci salveranno (valori riferiti tipicamente al femminile). Non sarà la forza, non sarà l'autorità, non sarà la potenza, non sarà la spada, non sarà la violenza, ma saranno l'amore e l'accoglienza che ci salveranno.

Nelle due nascite, i maschi non sono di sostegno: Zaccaria diventa muto durante la gravidanza della moglie Elisabetta (non ha creduto all'impossibile 1,20) e Giuseppe non partecipa alla generazione di Gesù.

Questo non vuol dire che fisicamente Zaccaria e Giuseppe non abbiano partecipato al concepimento dei loro figli, ma che in ogni uomo c'è una parte divina.

Era il modo con cui gli antichi tentavano di esprimere la realtà che noi siamo abitati da Dio, che l'Altissimo risiede realmente dentro di noi, che dobbiamo far nascere il divino che è un seme (messo da Dio stesso e non dal maschio) "seminato" dentro la nostra anima.

Se è un maschio a fecondare una donna allora si può pensare che rimaniamo nelle cose terrene. Ma se è Dio o un suo angelo o il suo Spirito a fecondare una donna, allora quel figlio viene da Dio.

Nella nascita del Battista e di Gesù, Zaccaria e Giuseppe hanno partecipato al concepimento; ma i vangeli riferiscono il concepimento dello Spirito proprio per significare che l'origine di quel figlio viene da Dio.

La grande verità è che io sono figlio di Dio. Provate a dirlo con me adesso, ciascuno per sé, a voce alta: "Io... (mettete il vostro nome) sono figlio di Dio". Vi sembra strano? Eppure è così.

Il grande compito, non solo di ogni donna ma di ogni uomo, è "far nascere il proprio figlio". La generazione materiale spesso è proprio contraria a questo: fare tanti figli a volte è solo un duplicare, un moltiplicare, un far nascere nella quantità.

Ma la vera generazione, la vera paternità a cui siamo destinati (cioè: è il nostro destino, la nostra chiamata) è quella di far nascere "il figlio" che c'è dentro di noi, che vuole nascere e che dobbiamo partorire.

In questo senso ognuno di noi ha solo un figlio. Per questo Gesù è il figlio unico di Maria e Giuseppe: non perché non avesse fratelli - e infatti ne aveva! - (livello materiale), ma perché per ogni rapporto e per ogni persona si deve far nascere "il figlio divino", cioè la parte spirituale.

In questo senso è chiaro che c'è solo un figlio. In questo senso è chiaro che ciascuno è "madre". In questo senso non c'è motivo di avere figli a tutti i costi, usando tutti i mezzi o manipolando la genetica.

Perché il compito essenziale, originario, per ogni uomo e per ogni donna è "mettere al mondo il proprio figlio Gesù (il figlio divino)", l'anima che ci abita.

È per questo che i nostri figli muoiono di solitudine in discoteca o nei pub; è per questo che muoiono di vuoto e di insignificanza nelle piazze e nelle strade; è per questo che vegetano nei rapporti, ubbidiscono alla società e si conformano a ciò che fan tutti; è per questo che inghiottiscono ecstasy per una vita che non ha nulla di eccitante o di vitale.

Ciò che non riusciamo a trasmettere ai nostri figli e alle nuove generazioni è ciò che noi non abbiamo cercato e trovato: l'anima di ogni cosa.

La natura senza la sua anima, privata dello stupore e della meraviglia, diventa inquinamento e aria di morte.
Una creatura vivente, senz'anima, è come una pianta.

Un uomo senz'anima diventa un golem, zeppo di lustrini di Dolce e Gabbana, della Gas, della Benetton, di Armani, di trucchi e ritocchi, ma senza una linfa o un'energia che scorre dietro.

Una vita senz'anima diventa venduta al lavoro, alla produzione e all'efficienza.

Una carezza senz'anima diventa uno schiaffo e uno sguardo senz'anima diventa un giudizio.

Una coppia senz'anima diventa un compromesso e una religione senz'anima diventa pura formalità.

Un discorso senz'anima diventa "ciaccole" e pettegolezzi da bar, da osteria, da salotto di Maria De Filippi.

Il sesso senza la sua anima diventa sesso bestiale, da strada, da mercificare, da vendere e da comprare.

Il Natale senz'anima diventa un abbuffata di dolci, panettoni, auguri, regali e tristi mediocrità.

Diamo di tutto ai nostri figli, basta vedere cos'hanno negli zaini o nelle loro stanze. Gliele diamo perché tutte queste cose (appunto cose!) si vendono e si comprano. Ma è solo esteriorità.

Ciò che non riusciamo a trasmettergli è la nostra l'anima: questa non si compra e non si vende. Questa si passa solo per vibrazione, per passione, per intensità, per amore. E senza un'anima non si può vivere; senz'anima si finisce nell'inferno (di questa vita).

Come adulti mettiamo al mondo creature, facciamo nascere imprese e case; costruiamo giardini, creiamo posti di lavoro e produzione, generiamo giochi e divertimenti, hobbies e svaghi di ogni tipo. Diamo alla luce iniziative sempre nuove e partoriamo idee assai brillanti. Ma è tutto vano.

I nostri figli ci toccano ma non ci incontrano dentro: non ci conoscono in profondità (neppure noi!).

I nostri figli non conoscono l'invisibile che c'è in ogni essere e in ogni creatura.

I nostri figli non riescono ad entrare dentro di sé, dentro di noi, dentro gli altri, dentro al mistero della Vita. Rimangono in superficie e crescono superficiali, destinati a morire di noia e di banalità

I nostri figli muoiono per colpa nostra, perché noi adulti non sappiamo dare loro l'unica cosa che dovremmo dare loro: l'anima che ci anima, lo spirito che soffia in noi e il Dio che vuole essere partorito in noi.

Gabriele significa "forza di Dio, eroe di Dio": e in effetti i due figli (Giovanni Battista e Gesù) saranno veramente dei portenti, degli eroi, delle forze di Dio.
C'è qualcosa di grande che devi partorire!

I nostri figli neppure sanno la forza di Dio (Gabriele) che hanno dentro: non lo sanno perché nessuno glielo dice. I nostri figli neppure sanno quanti grandi, immensi, divini siano: figli della Luce, dell'Amore e del Vento.

La parola Adamo םדא "uomo, umanità" è formata dalla parola "madre" םא (em) in cui al centro c'è una porta (ד). Questo è il compito di ogni uomo: ognuno di noi è Maria, è Elisabetta; ognuno di noi è madre.

Ognuno di noi deve partorire (la porta) il "figlio", il divino che lo abita, il Dio-con-e-dentro-di-noi.

In certi momenti della vita a tutti noi è capitato, dopo un lungo discorso con qualcuno, di sentirsi vivo, di sentirsi nel cuore della vita, di sentirsi al centro dell'universo, di percepire di aver toccato l'anima dell'altro, di aver raggiunto e vissuto qualcosa di sacro. Perché?

In certi momenti a tutti noi è successo di aver toccato o accarezzato o di essersi unito al proprio amore e di aver raggiunto il sacro fuoco della vita, l'energia dello scoppio primordiale, di essersi sentito fuso con la vita e con ogni essere, di essere una preghiera vivente all'Altissimo. Perché?

In certi momenti a tutti noi è successo di aver vissuto qualcosa di così grande, che ha colmato e saziato il nostro cuore così in profondità, che ci ha riempito così tanto, da poter anche morire in quel momento, tanto ci si sentiva vivi e felici. Perché?

In certi momenti i nostri occhi brillavano così tanto che la nostra anima emergeva così viva e così chiara da potersi vedere e toccare, da poterla contemplare e ammirare. Perché?

In certi momenti il nostro volto era così radioso che si leggeva a chiare lettere che Dio era dentro di noi, che la pace dimorava nella nostra pelle e che l'amore si diffondeva e viaggiava in tutto il nostro essere. Perché?

In quei momenti "il figlio" veniva alla luce, l'anima si faceva spazio e l'invisibile visibile.

Se non sono "madre di Dio" allora mi rifugio nella materialità e nell'esteriorità. Continuerò a produrre (soldi, figli, ricchezza, successi, nuovi traguardi e nuove imprese) e a moltiplicare (iniziative, hobbies, incontri, amicizie, trofei) ma rimarrò senza vita e senz'anima.

Se non sono "madre della vita" allora sono sterile di vita. Natale non può che essere che partorire "il Dio che ci abita", che, come diceva Etty Hillesum, "è sepolto e dorme dentro di noi; è seppellito nella nostra vita e ci attende".

Quando Maria ed Elisabetta si sono incontrate forse si saranno abbracciate, accarezzate e toccate fisicamente. Ciascuna, infatti, aveva motivi validi per consolare e rassicurare l'altra. In ogni caso si sono toccate nell'anima, incontrate nel profondo e le loro anime hanno esultato (1,47).

Elisabetta, dice il vangelo, urla di gioia (1,42) e Maria canta il Magnificat (1,46).

Quando si incontrano non si dicono: "Sapessi che stanca che sono! Nessuno mi aiuta! La fatica maggiore la facciamo sempre noi donne! Che rottura! Adesso dobbiamo cambiare casa! Mio marito non c'è mai!".

Non si sono vomitate addosso tutte le difficoltà e le loro paure - e ne avevano ben motivo!-. Quando si sono incontrate, visto che era un bel po' che non si vedevano (forse qualche anno), non si sono raccontate di che fine aveva fatto il vicino di casa, di cos'era successo a quel parente, a quella coppia che non andava d'accordo, ecc: "Sapessi cos'è successo a... ho una novità da dirti: ti ricordi di... si dice in giro che...".

Quando si sono incontrate Maria ed Elisabetta hanno parlato di sé, di cos'avevano dentro, di cosa provavano.

Elisabetta ha urlato a Maria la gioia di averla qui con lei e quanto fosse felice di ciò che le stava capitando. Elisabetta ha detto a Maria di come il suo cuore, il suo animo (il bambino), fosse toccato da Maria.

Maria parlava ad Elisabetta ed era così felice che cantava. Maria si sentiva così accolta da Elisabetta perché finalmente poteva dirle tutto ciò che percepiva dentro di sé.

Questa è amicizia. Questa è relazione di coppia. Questo è amore. Questo è ciò che ci riempie: quando nelle nostre relazioni le nostre anime si sfiorano e si toccano.

Ci sono tre cose che ci riempiono nella vita. Entrare nell'animo di qualcuno: allora ci sente parte della sua vita. Far entrare qualcuno nel nostro animo: allora si sente qualcuno parte della nostra vita. Entrare nel mistero della Vita: allora ci sente in comunione, in unità con il Tutto.

Il vangelo lascia delle piccole annotazioni che ci aiutano a capire che neppure il rapporto tra Maria ed Elisabetta deve essere stato facile.

Elisabetta era avanti nell'età e il tempo per essere donna e madre per lei era passato. Maria invece era giovane e all'inizio. Elisabetta avrebbe potuto essere molto gelosa di Maria.

Maria si mette in viaggio: forse fra le due s'era creata distanza.

Un viaggio attraverso le montagne: forse fra loro c'erano degli ostacoli, delle incomprensioni.

Maria raggiunge in fretta Elisabetta: forse fra di loro c'era qualcosa di urgente da risolvere.

Maria entra nella casa di Zaccaria (e non si dice di Elisabetta, visto che era anche casa sua!): forse Elisabetta non si sente accettata dal marito, non si sente "a casa sua", forse ha bisogno urgente di accoglienza, di affetto, di qualcuno.

Che sia stato storicamente così o che sia solo un simbolo mitico non importa. Ciò che conta è il senso dell'incontro per queste due donne e per ogni uomo.

Maria ed Elisabetta si sono incontrate nel profondo, nella loro parte più vera.

È questo che dobbiamo fare nelle nostre relazioni: incontrarci nel nostro essere profondo e non nel nostro apparire, nel nostro voler dimostrare o nelle nostre maschere. Noi non siamo quello.

Non importa quanta distanza ci sia tra me e te. Non importa cosa ci sia di irrisolto o di sospeso tra di noi. Non importa se tu o io siamo in difficoltà, in crisi, in preda all'angoscia o al panico. Non importa se si è creata della distanza fra di noi. Perché se ci possiamo incontrare nell'anima, allora tutto questo viene spazzato via in un attimo.

Dobbiamo tornare ad incontrarci nella nudità del nostro essere: aprirci per dire le nostre paure, ciò che ci fa male, ciò che ci ferisce, le nostre gelosie e invidie, le nostre meschinità, le cause dei nostri pianti, le nostre sofferenze; aprirci e raccontarci i nostri sogni, i nostri amori, le nostre intuizioni, ciò che desideriamo, i nostri segreti, il mistero che è in noi dove vogliamo andare, chi siamo agli occhi di Dio.

Dobbiamo, cioè, darci l'anima e non delle parole quando parliamo; l'anima e non un corpo quando facciamo l'amore; l'anima e non dei riti quando preghiamo. Allora sì che ci incontreremo e che sperimenteremo la sacralità della vita. E se tutto questo qualche volta fa male o è difficile o ci fa soffrire, pazienza, perché la Vita è qui.

Abele לבה vuol dire "vanità, colui che non è", ciò che è illusorio, che non ha realtà (fondamento ontologico).

I nostri figli, noi stessi e tutta la società faranno la fine di Abele (moriranno) senza anima.

Se il Figlio non nasce, il mondo non si può salvare. Se il "nostro figlio" non viene partorito non ci salveremo.

Faremo come Caino ןיק (Caino vuol dire "acquisire") che invece di acquisire ciò che lui considera niente (Abele), lo uccide. Ma ciò che uccide non è nient'altro che suo fratello, ciò che gli manca.

Ogni volta che io uccido la mia anima, il mio figlio divino che deve nascere, non sto che uccidendo ciò che mi manca e ciò di cui più ho bisogno.

Siamo fuori dal Toys e vengono avanti un padre, la madre e la figlia di sei-sette anni pieni di pacchi di ogni tipo. La figlia "frignotta", si continua a lamentare e a fare i capricci. Il padre le dice: "Ma cosa vuoi di più, ti abbiamo preso di tutto!". La figlia: "Dai papà, per favore, mi prendi la mano?".

È dell'anima, dell'amore, del cuore, del profondo che abbiamo bisogno. Questo ci salverà.

Pensiero della Settimana

Mi avete dato un nome
Mi avete dato un viso
Ma quello di cui più avevo bisogno
Non me lo avete dato.

Mi avete insegnato a camminare
Mi avete vestito
Ma che esiste qualcosa come l'anima
Non me lo avete detto.

Mi avete dato da mangiare
Non mi sono mai trovato nel bisogno
Ma di quelli che si chiamano sentimenti
Non me ne avete mai parlato.

Se ero ammalato mi curavate
E poi guarivo anche
Ma la gentilezza fuggiva
Da questa necessità.

Ora devo continuare a lottare
Le ombre sono così potenti
Ma prima o poi verranno vinte
La sensazione è meravigliosa.

E' come se la mia vita
Fosse qui solo
Per donarmi questo ancora una volta

Solo allora arriva il sì. (Senza radici non si vola, 194)

 

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