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TESTO La gioia dell'essere e del fare

padre Gian Franco Scarpitta  

III Domenica di Avvento (Anno C) - Gaudete (13/12/2009)

Vangelo: Lc 3,10-18 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, 10le folle interrogavano Giovanni, dicendo: «Che cosa dobbiamo fare?». 11Rispondeva loro: «Chi ha due tuniche ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare faccia altrettanto». 12Vennero anche dei pubblicani a farsi battezzare e gli chiesero: «Maestro, che cosa dobbiamo fare?». 13Ed egli disse loro: «Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato». 14Lo interrogavano anche alcuni soldati: «E noi, che cosa dobbiamo fare?». Rispose loro: «Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno; accontentatevi delle vostre paghe».

15Poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo, 16Giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. 17Tiene in mano la pala per pulire la sua aia e per raccogliere il frumento nel suo granaio; ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile».

18Con molte altre esortazioni Giovanni evangelizzava il popolo.

La descrizione del profeta Sofonia nella Prima Lettura di questa domenica è rassicurante perché ci informa dell'amore di Dio nei confronti del suo popolo e della gioia che Lui stesso ci dona intervenendo a nostro favore.

Gerusalemme aveva meritato la punizione del Signore per l'idolatria, le infedeltà e altre sue aberrazioni; tutti i suoi abitanti erano stati deportati a Babilonia. Si era verificato il "giorno del Signore", descritto da Sofonia cone espressioni catastrofiche quale "giorno d'ira, di angoscia, di afflizione e di rovina, sterminio, tenebre, caligine, nubi; di oscurità, di squilli di tromba e di allarmi" (Sof 1, 15 - 16) che aveva apportato la novità della deportazione, la schiavitù di Gerusalemme e con questo anche il risveglio delle coscienze e delle responsabilità personali di tutti e di ciascuno.

Dio però non è vendicativo e non si diverte a colpire i suoi prediletti per mezzo di flagelli. Se interviene ai danni dell'uomo, permettendo (non volendo) che si verifichino determinati eventi deprimenti e sconvolgenti, ciò non è mai per esercizio dispotico di un predominio personale o per una forma di rimostranza fine a se stessa, ma per la finalità della correzione e dell'emendazione dell'uomo poiché ha a cuore che l'uomo si ravveda per il proprio peccato e per la propria infedeltà.

"Quelli che amo, io li riprendo e li castigo" dice Dio nell'Apocalisse per mezzo del suo Spirito (Ap 3, 19)

Pertanto, superata la parentesi dell'esilio, Dio stesso si compiace e si rallegra di ricomporre la comunità della città di Gerusalemme nella sua terra di origine, riconducendo in patria tutti i dispersi e inaugurando una nuova era di gioia, di pace, di benessere e di giustizia, ragion per cui l'annuncio di cui alla Prima Lettura è un invito alla gioia e alla serenità, il cui riverbero si rende più concreto in Paolo (Filippesi II lettura): "Non angustiatevi per nulla... siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto: siate lieti. La vostra amabilità sia nota a tutti. Il Signore è vicino!" invitando alla fiducia e alla speranza da viversi nel Signore. E' il monito che, per estensione, la Chiesa ci invita a mettere in atto in tutti i tempi perché nella nostra vita noi avvertiamo sempre la vicinanza di Dio in tutte le sue dimensioni e in tutti i contesti, ma soprattutto è il monito che ci proviene in questi giorni intrisi di gioia e di benessere interiore per l'arrivo della celebrazione del Natale. In questi tempi infatti la coreografia delle strade illuminate e delle vetrine ammannite della nostra città seppure ci deve trovare impassibili di fronte alle proposte del Natale sfarzoso e consumistico, deve alimentare in noi la letizia, l'armonia, la serenità e la gioia di Dio che sarà il Benvenuto in mezzo a noi come Verbo fatto Bambino per essere sempre il Dio con noi: questo tempo insomma va vissuto nell'ottica della gioia e della speranza. Paolo insiste: "Ve lo ripeto ancora, rallegrativi perché il Signore è vicino."

Tuttavia non si può mai essere felici nella solitudine e nella chiusura egoistica al prossimo. Ecco perché la nostra liberazione dal peccato e dal male è sinonimo di condivisione con gli altri nella concretezza delle opere di amore e di generosità che non devono mancare in questi giorni che ci separano dal Natale. Il Vangelo di Luca, nella sezione che stiamo adesso meditando, risponde alla domanda: "Che cosa dobbiamo fare?" che dovrebbe essere in necessaria o retorica per chi abbia compreso il mistero di Dio che si incarna per la salvezza dell'uomo, poiché chi vive la gioia dell'Avvento traendone vantaggio comprende da se stesso che quello che deve fare è condividere, donare, comunicare... amare. L'amore è l'esteriorizzazione della letizia dell'incontro venturo con Cristo e indice della serenità che Egli stesso ci ha permesso di acquisire, è la dimostrazione di aver guadagnato la stessa gioia di Dio; amore riconoscente verso lo stesso Signore e verso i fratelli nei quali siamo invitati a riconoscerlo e che si esprime in opere concrete come quelle definite senza mezzi termini dal Battista: Chi ha due tuniche, ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare, faccia altrettanto"; cioè compartire quanto si possiede con chi è nel bisogno, senza per forza dover essere eroi o sminuire noi stessi: chi ha due tuniche rappresenta chi possiede più del necessario, chi ha i mezzi per vivere dignitosamente allo stesso tempo aiutando gli altri e pertanto può legittimamente darsi all'amore e alla condivisione con chi è nel bisogno. "Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato".; "Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno; accontentatevi delle vostre paghe." Sono invece concreti riferimenti a determinate categorie persone (soldati) abituate ad assumere un atteggiamento pretestuoso e arrogante facendosi forti della loro posizione, ma per implicito contiene un monito all'onestà e alla rettitudine morale nel gestire le risorse proprie e altrui che vale la pena applicare ai nostri giorni, nei quali si auspica di essere rappresentati dignitosamente da una politica e da un'amministrazione corretta e responsabile che sia attenta al fabbisogno del cittadino senza compromessi di sorta con la disonestà: che fiducia può mai nutrire il cittadino verso le istituzioni quando la cronaca lo informa di collisioni, anche presunte, fra politica e malavita? Ma si auspica anche di poter vivere un ambiente che rifugga ogni clima di tensione e di sospetto nel quale ciascuno faccia la propria parte per la giustizia e la serenità che dipendono dagli sforzi e dagli equilibri di ciascuno. Accontentarsi dell'essenziale per una vita semplice e decorosa nella quale non ci manchi il necessario è fra l'altro condizione per recare amore e generosità agli altri. Finché ciascuno ometterà di considerare le necessità del prossimo e si chiuderà alla prospettiva della condivizione e dell'amore omettendo che altri hanno i medesimi diritti alla pari di noi stessi, sarà difficile che si possa instaurare un regno di giustizia e di pace che tuttavia Gesù glorioso promette alla fine dei tempi e che intende ad apportare con il suo Natale.

Nell'amore verso il prossimo, nella carità, nella giustizia si sperimenta l'amore di Dio per noi stessi e per gli altri e ci si rallegra di gioia infinita in virtù delle stesse promesse divine di liberazione e di salvezza.

 

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