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TESTO Le mie parole non passeranno

mons. Gianfranco Poma

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XXXIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (15/11/2009)

Vangelo: Mc 13,24-32 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mc 13,24-32

24In quei giorni, dopo quella tribolazione,

il sole si oscurerà,

la luna non darà più la sua luce,

25le stelle cadranno dal cielo

e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte.

26Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria. 27Egli manderà gli angeli e radunerà i suoi eletti dai quattro venti, dall’estremità della terra fino all’estremità del cielo.

28Dalla pianta di fico imparate la parabola: quando ormai il suo ramo diventa tenero e spuntano le foglie, sapete che l’estate è vicina. 29Così anche voi: quando vedrete accadere queste cose, sappiate che egli è vicino, è alle porte.

30In verità io vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto questo avvenga. 31Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno.

32Quanto però a quel giorno o a quell’ora, nessuno lo sa, né gli angeli nel cielo né il Figlio, eccetto il Padre.

Con questa domenica, XXXIII del tempo ordinario, concludiamo la lettura del Vangelo di Marco che ci ha accompagnato per tutto questo anno liturgico. Questo Vangelo è tutto concentrato sulla formazione dei discepoli di Gesù. In una mirabile sintesi, il progetto formativo di Gesù, è descritto in questi termini: "Formò i Dodici perché stessero con Lui e per mandarli ad annunciare con l'autorità di scacciare i demoni" (Mc.3,14-15). Il centro di tutto è lo "stare con Lui", vivere un'esperienza di condivisione totale che genera l'identificazione con Lui. San Paolo esprimerà lo stesso concetto affermando: "Non vivo più io, ma Cristo vive in me. E questa vita che io vivo nel corpo, la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me" (Gal.2,20). San Paolo parla di fede: anche per il Vangelo di Marco la preoccupazione fondamentale è l'educazione alla fede, che significa lasciarsi incontrare da Gesù, lasciarsi afferrare da Lui, affidare a Lui tutta la propria vita, lasciarsi trasformare in Lui. E la conseguenza della fede in Lui è la missione: chi si è lasciato afferrare da Lui non può non andare ad annunciarlo e a mostrare che da Lui viene una forza capace di vincere il male. Tutto il Vangelo di Marco ci mostra la raffinatezza dell'azione educatrice di Gesù senza nascondere la difficoltà sperimentata dai discepoli nel seguirlo: l'identità di Gesù si rivela gradualmente sino a raggiungere il momento culminante nella Croce; ai discepoli chiamati ad affidarsi a Lui, chiede di seguirlo fidandosi di Lui, mentre appare sempre più evidente la sua estraneità ad ogni progetto di potere ogni tipo. L'esperienza che egli propone è di una adesione a Lui, assolutamente libera da ogni strumentalizzazione: Marco sottolinea continuamente che "essi non capivano". Solo l'incontro con Gesù risorto illuminerà la loro mente e riscalderà il loro cuore per poter comprendere che cosa significhi "stare con Lui ed essere mandati ad annunciare".

Il brano che oggi leggiamo, Mc.13,24-32, è solo una piccola parte di un capitolo di estrema importanza nell'itinerario formativo dei discepoli: contiene il discorso "escatologico" che riguarda "le cose ultime", certamente non facile da comprendere per il genere "apocalittico" con cui si esprime, fatto di simboli che richiedono di essere interpretati con grande attenzione. La "apocalisse" è la "rivelazione" da parte di Gesù del senso della storia, è il "togliere il velo" da ciò che è nascosto. Alla vigilia della sua Passione, Gesù vuole portare a compimento l'opera di formazione dei suoi discepoli: lungo tutto il Vangelo, gradualmente, egli ha tolto a loro ogni illusione, non vuole che seguano Lui perché compie i miracoli, non vuole che lo vedano come il Messia potente, ha ripetuto per tre volte l'annuncio di ciò che lo attende a Gerusalemme, la folla lo abbandona, i potenti religiosi e politici lo condannano, eppure continua a chiedere che "stiano con Lui": come è possibile? Pietro aveva proclamato: "Ecco noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito (Mc.10,28): che cosa ne verrà a noi?(Matt.19,27)".

Sono le grandi domande che non possono mancare nel cammino dell'uomo credente: perché seguire Gesù se tutta la sua opera lo conduce alla croce? Perché fidarsi di Lui se la sua avventura storica finisce in una tenebra fitta che avvolge il mondo intero (Mc.15,33) e le sue ultime parole sono un grido di angoscia: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?" (Mc.15,34) Perché credere in Dio, il Padre che ci ama, nella drammatica fragilità della storia?

Ma si innesta proprio in questo la sua "rivelazione": "In quei giorni, dopo quella tribolazione...". Con il linguaggio tipico del genere apocalittico, con espressioni prese da testi dell'Antico Testamento, in una descrizione solo apparentemente narrativa degli avvenimenti finali, Gesù parla in realtà del fine della storia e del senso della creazione: "...dopo quella tribolazione, il sole si oscurerà..." Nei versetti precedenti, il Vangelo ha parlato di avvenimenti accaduti in Giudea talmente drammatici da assumere una rilevanza per il mondo intero: essi sono percepiti come eventi che simbolicamente rappresentano la fine di tutto il creato e della storia: "..il sole si oscurerà...": in modo simbolico viene descritta la distruzione dell'ordine della creazione (Gen.1-3), come se i fondamenti stessi dell'universo fossero minati.

Eppure, annuncia Gesù, proprio quando il mondo creato sembra prossimo alla sua disfatta, interviene una forza dall'alto: "allora vedranno il Figlio dell'uomo venire sulle nubi del cielo con potenza..." E' questa la grande "rivelazione", il "lieto annuncio" finale, che toglie il velo a ciò che è nascosto: proprio nella fragilità del mondo creato da Dio, nella drammaticità della storia che può raggiungere livelli tali da minarne i fondamenti stessi, appare una presenza capace di mantenere in vita e di rinnovare ciò che sembrerebbe finire. Gesù rivela ai suoi discepoli che la sua fragilità, il suo fallimento, il suo dramma è la partecipazione al dramma della storia: ma proprio in questo si manifesta l'Amore di Dio per il mondo. Questo mondo drammatico, questo uomo fragile è comunque amato da Dio: Gesù ne è la manifestazione. Ecco perché Gesù chiede ai suoi discepoli di "stare con Lui" nonostante tutto: egli non è segno di potenza in un mondo fragile, è segno di Amore che tiene in vita ciò che sembrerebbe essere vicino alla morte. La fede che Gesù chiede ai suoi discepoli è la capacità nuova di "vedere" l'Amore, vedere Lui che dona la vita, proprio là dove gli occhi umani vedrebbero solo fallimento e distruzione. E la missione che egli affida a loro è di essere annunciatori efficaci del suo Amore nella drammaticità della storia: anche dove tutto sembra distrutto il "lieto annuncio" è certezza di risurrezione. La fede nasce quando guardando la croce "vedranno il Figlio dell'uomo venire sulle nubi del cielo con potenza e gloria grande": dentro la croce sta la forza del Padre che fa risorgere il Figlio". E la missione consiste nel vedere la gloria del Figlio dell'uomo nella croce continua della storia: "egli manderà gli angeli e radunerà i suoi eletti dai quattro venti, dall'estremità della terra fino all'estremità del cielo". Mentre la fragilità del creato e la drammaticità della storia sembra condurre alla distruzione, è operante una forza di Amore che aggrega, costruisce, vivifica. Certo è fede vedere la gloria dentro la fragilità della carne: ma è questo l'insondabile mistero di Dio, mistero di infinito Amore che si annienta e si incarna. Gesù ci invita a credere, a educare la nostra fede, ad essere attenti per vedere con occhi di fede gli eventi della storia: "...imparate la parabola...quando vedrete accadere queste cose, sappiate che egli è vicino, alle porte". Gesù ci avverte: ogni generazione è messa alla prova. Ma ci assicura: "il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno".

 

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