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TESTO Il buon pastore

mons. Antonio Riboldi

IV Domenica di Pasqua (Anno B) (14/05/2000)

Vangelo: Gv 10,11-18 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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11Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. 12Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; 13perché è un mercenario e non gli importa delle pecore.

14Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, 15così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. 16E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore. 17Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. 18Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio».

I mass media hanno data grande risalto – e giustamente – a quanto avviene dentro le carceri. Sappiamo tutti che le carceri sono di per sé – per la loro stessa natura o per come le vediamo – il luogo dove oltre alla libertà negata, l'uomo perde la sua dignità e fama.

Molte volte (e questo proprio non è facile capirlo) per indizi di colpa e quindi in attesa di giudizio. Ricordiamo tutti cosa voglia dire ricevere l'avviso di garanzia comunicato a volte spettacolarmente. Ed è sempre uno scempio della persona umana quel vedere un indiziato arrestato, in manette. Uno spettacolo più volte condannato e proibito dalle stesse massime Autorità e speriamo sia cosi. E' difficile accettare alla fine, "scusa, ci siamo sbagliati". Ma intanto chi rimarginerà la ferita ricevuta proprio nella reputazione?

E i fatti di questi giorni ci riportano alla natura della misericordia che è il logo del Giubileo, Dio solo sa di quante colpe e debolezze tutti siamo macchiati. A volte 1a nostra debolezza si fa crimine: ed a volte crimine organizzato, ossia una vera guerra alla società. Ed è giusto che la società fermi questi criminali: così come è giusto che il danno fatto con il crimine, conosca la riparazione che è poi la pena del carcere.

Fra poco la Chiesa celebrerà il Giubileo delle carceri: ossia proclamerà l'anno di misericordia per i carcerati. Sarà la proclamazione a chi ha sbagliato che la misericordia del Padre non si ferma fuori le porte di un carcere, ma le oltrepassa e può fare conoscere la festa dell'abbraccio anche dentro le stesse carceri. Già da tempo la Chiesa ha ottenuto di essere presente con il segno della sua misericordia e la difesa della dignità dei detenuti con i cappellani. Questi sono già la Chiesa tra le sbarre.

Ma viene spontanea una domanda: "C'è ancora posto per la clemenza? anche dietro le sbarre? e fuori le sbarre tra di noi?

Noi siamo abituati a puntare il dito, a chiedere immediata riparazione, quasi una vendetta. E in tanti casi la vendetta si chiama 'onore'. Un sentimento che non trova nessuno spazio nel Vangelo, ossia nel cuore di Dio e quindi tantomeno nel cuore del cristiano. Diciamocelo francamente, amici carissimi di Internet, ma chi di noi non sbaglia, non offende Dio calpestando grossolanamente la sua legge, i suoi comandamenti e quindi recando danno all'intero corpo mistico che è la Chiesa e la società? Proviamo a pensare ai tanti bambini che ogni minuto muoiono di fame nel mondo: non sono in tanta parte anche colpa di chi potrebbe dare da mangiare perché ne ha troppo e non lo dà? Ebbene quando sbagliamo, ci sentiamo addosso il giudizio di tutti, la condanna, il disprezzo: ed invece, quando siamo per terra, avremmo bisogno di una mano compassionevole che ci aiuti a rialzarsi per avere la forza di continuare la strada della vita. E' in quel momento che si misura la pietà del cuore dell'uomo.

Come si comporta Dio con noi? con la misericordia. Basterebbe pensare alla parabola del figlio prodigo. Ci fu un tempo di rifiuto del Padre e di vita totalmente perversa. Poi, quando si accorse dell'inferno che viveva con una vita sbagliata, senza Padre, narra il Vangelo "rientrò in se stesso e disse tornerò da mio Padre" Ed il Padre lo attendeva sulla porta di casa: non volle sentire neppure le scuse: a Lui bastava che il figlio fosse tornata a casa, come se i torti subiti fossero stati semplicemente un'occasione per creare la gioia del risorto. Senza trascurare il momento meraviglioso irrepetibile di Gesù in croce. Lì avrebbe potuto dettare la solenne condanna di Dio per i crocifissori (e siamo tutti noi) che Lo deridevano sotto la croce. E invece dalle sue labbra esce la preghiera che è misericordia senza confine: "Padre perdona loro, non sanno quello che fanno".

Ed oggi la Chiesa ci ripresenta la pietà di Dio nella parabola del buon Pastore che ha cura continua delle sue pecore: le difende dai malvagi. Ma può capitare che qualcuna fugga. Lui lascia le 99 pecore al sicuro e va a mettere a rischio la sua vita per trovare quella smarrita. Finché la trova.

E non la sgrida per essersi allontanata dal gregge: non la prende a bastonate, come forse faremmo noi: la mette sulle spalle e tornando a casa invita tutti a fare festa, perché era stata ritrovata.

Incredibile, meraviglioso cuore di Dio, che stenta a trovare posto tra di noi. E senza questa clemenza divina, che Dio vuole anche tra di noi, è inevitabile avvengano i fatti di violenza dentro e fuori le carceri.

Quanto vorrei per me, per voi miei cari amici, di trovare ogni volta che sbaglio non due dita puntate ed un giudizio che uccide la persona nella sua dignità e voglia di camminare, ma due braccia aparte che mi sollevano da terra e mi ridiano gambe a costruire la vita. Che la clemenza torni a regnare tra di noi. Sarebbe segno che Dio e tra di noi.

 

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