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TESTO Non nascondiamo i talenti sotto terra

mons. Antonio Riboldi

XXXIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (14/11/1999)

Vangelo: Mt 25,14-30 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: 14Avverrà infatti come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. 15A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì. Subito 16colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, e ne guadagnò altri cinque. 17Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. 18Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone. 19Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro. 20Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: “Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque”. 21“Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”. 22Si presentò poi colui che aveva ricevuto due talenti e disse: “Signore, mi hai consegnato due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due”. 23“Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”. 24Si presentò infine anche colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: “Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. 25Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo”. 26Il padrone gli rispose: “Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; 27avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse. 28Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. 29Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha. 30E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”.

Forma breve (Mt 25,14-15.19-21):

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: 14Avverrà infatti come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. 15A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì. 19Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro. 20Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: “Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque”. 21“Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”.

La Parola del Signore di oggi potrebbe benissimo essere una continuazione di quella della scorsa domenica. Un cammino di saggezza sul come viviamo per presentarci fedeli o saggi al cospetto del Signore che sicuramente verrà per tutti.

Vivere non è solo "passare del tempo": sarebbe un modo sconveniente per creature cui Dio ha donato capacità che rendono abili a fare tanto bene, se vogliamo, a realizzare un progetto di amore le cui dimensioni solo Dio conosce.

Vivere non è neppure un fare disordinatamente tante cose che non hanno un senso o un contenuto accettabile. Non è detto che "fare tanto" sia lo stesso che "fare bene". Ho paura che tante cose che facciamo non abbiano alcun peso e valore se "misurate" con il metro divino della verità e della giustizia che deve avere ogni vita. Possono essere svilite le tante o poche cose che facciamo dall'intenzione errata che poniamo in esse. Come per esempio impiegare tutte le nostre capacità per "realizzare un sogno di gloria personale" o un "sogno di ricchezza o di benessere", o un trono di prestigio che ci faccia sentire "qualcosa" di più degli altri.

E direi che oggi tanta parte degli uomini bruciano un'intera esistenza per procurarsi qualcosa che luccica e che poi si rivela per quello che è, un pugno di polvere. Non prendiamo nemmeno in considerazione la possibilità che tanti usino dei loro talenti per fare del male. E' stravolgere la giustizia nell'uso dei beni che Dio ci ha consegnato. Vivere è avere avuto in consegna una "missione" e dei talenti da sfruttare per il bene degli uomini e la gloria di Dio. Potremmo chiamare la vita "una vocazione ed una missione".

"Un uomo narra Gesù, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò i suoi beni. Ad uno diede cinque talenti, ad un altro due, a un altro uno, a ciascuno secondo la sua capacità e partì" (Mt 25, 14-30).

"Chiamò e consegnò a ciascuno secondo la sua capacità". Sono i pochi verbi che però fanno l'ossatura di ogni esistenza. Lì io e voi possiamo interrogarci sempre per verificare se meritiamo la sentenza: "Bene servo buono e fedele, sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto".

Anzitutto vivere è non una scelta personale, ma un essere chiamati dal Padre. Il Padre è amore e quindi un continuo bene che si attua negli uomini per allargare il Suo Regno di giustizia, di pace e di amore.

Avere la coscienza di essere chiamati dal Padre e chiedersi continuamente: "Cosa vuole da me? Perché mi ha chiamato alla vita? O se volete alla sua vigna? Nel suo Regno? Qual è il giusto indirizzo della mia vita? Cosa debbo fare?".

La domanda più difficile, per tutti, sulla vita, è "Dio a che cosa mi ha chiamato?". E' la domanda fondamentale che richiede tanto discernimento per una risposta.

Tante volte mi si chiede (e l'insistenza della domanda dice da sola quanto interessi la risposta), dove è l'origine della mia serenità. "In molta parte, rispondo, viene dal fatto che sono dove Dio mi vuole e faccio ciò che a Lui è più gradito. Non solo il prossimo da servire mi è stato affidato da Dio tramite l'obbedienza, ma anche il modo di servire, ossia il carisma di vescovo, mi è stato dato dalla Chiesa".

Non basta però avere la coscienza della propria chiamata, occorre anche conoscere quali sono i talenti che Dio ci ha consegnato. Questi talenti non ammettono di essere "gelosamente nascosti" perché non corrano rischi: tanto meno che vengano ignorati, come non ci fossero. Devono essere portati alla luce, messi in circolazione, impiegati, perché dal loro impiego non viene solo la nostra fedeltà e giustizia, ma anche il maggiore o minor bene per gli altri.

E tutti ne abbiamo di capacità. In fondo noi siamo strumenti che docilmente si mettono nelle mani di Dio perché Lui possa compiere tutto quel bene grande o piccolo che sia per la sua gloria e il bene delle anime. "Grandi cose ha fatto in me l'Onnipotente – canta la Madonna – perché ha guardato l'umiltà della sua serva".

Guardando attorno anche nella Chiesa si ha l'impressione che troppi di noi, sacerdoti o laici, assomigliamo a volte a casseforti che custodiscono tesori che non servono a nessuno. Come se contenessero tanta acqua, ma gli assetati potessero solo ammirare la cassaforte e non avere un goccio di quell'acqua preziosa. E' terribile la responsabilità che ci assumiamo davanti agli occhi di Dio e degli uomini. Quanto bene si potrebbe vedere attorno a noi e in noi, solo se le nostre "casseforti" si aprissero.

Se è terribile il cattivo uso dei talenti o addirittura il non uso, questo "silenzio del cuore dell'uomo" così viene condannato dal Maestro: "Servo malvagio e infingardo, sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso: avresti dovuto affidare il mio danaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l'interesse. Toglietegli dunque il danaro e datelo a chi ha dieci talenti. E il servo fannullone gettatelo fuori nelle tenebre".

Non diciamo mai che siamo buoni o buone a niente. E' offesa alla bontà di Dio che sicuramente ci ha donato "talenti". Scopriamoli e impieghiamoli.

 

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