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TESTO Per conoscere i disagi della pianura

mons. Antonio Riboldi

XXIX Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (17/10/1999)

Vangelo: Mt 22,15-21 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, 15i farisei se ne andarono e tennero consiglio per vedere come coglierlo in fallo nei suoi discorsi. 16Mandarono dunque da lui i propri discepoli, con gli erodiani, a dirgli: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità. Tu non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno. 17Dunque, di’ a noi il tuo parere: è lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?». 18Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: «Ipocriti, perché volete mettermi alla prova? 19Mostratemi la moneta del tributo». Ed essi gli presentarono un denaro. 20Egli domandò loro: «Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono?». 21Gli risposero: «Di Cesare». Allora disse loro: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio».

Ogni anno, nella mia piccola Diocesi, siamo abituati a trovarci insieme, vescovo, sacerdoti, religiosi e laici, per quello che chiamiamo "Convegno Diocesano". Un momento "magico" di Chiesa che mostra tutta la sua bellezza, la sua capacità di essere "strumento di salvezza" e "segno di unità", se sa aprirsi allo Spirito che la convoca, la ispira, le dà forza. Ci sono tanti, tantissimi giovani: quasi il settanta per cento. Si sta insieme per tre intere giornate dal mattino alle 8 fino a sera, in un ordinatissimo programma che alterna momenti esaltanti di preghiera all'impegnativo ascolto delle relazioni: momenti di festa e di autentica gioia, animati dibattiti nei vari ambiti di studio. Chiunque è "dentro il convegno" viene come aggredito dalla gioia di essere Chiesa. "Che bello stare qui!". Chi vede "da fuori" esclama: "Come si vogliono bene!" proprio come nelle comunità descritte dagli Atti degli Apostoli. Ne parlo con tanto entusiasmo come vescovo di questa Chiesa non per un eccesso di amore che può fare stravedere, ma perché non mi spiego neppure io come dopo 18 anni, il convegno non solo non conosce "cadute", ma ogni anno supera i limiti di ciò che potevamo attendere.

Ricordo il convegno di qualche anno fa', fortemente impegnativo: un convegno che di proposito volle correre grandi rischi. Fino ad allora ci si era preoccupati di crescere nella maturità di cristiani, nella maturità di Chiesa. Un cammino tutto in verticale, ossia, tutto verso Dio. Era necessario "scendere dal Tabor" e conoscere i disagi della "pianura", là dove gli uomini, noi compresi, quotidianamente costruiscono o demoliscono il loro progetto di felicità e di vita. E' Dio, che ha posto in ogni uomo il Suo Cuore. Lo stesso titolo del convegno era un programma da sfida evangelica: "Una Chiesa che dà la vita per la propria gente". Come nel Vangelo: "Non ci può essere migliore, più grande amico di colui che è disposto a dare la vita, se è necessario, per amore".

Ma chi è la gente che vive accanto a noi, sulle strade di tutti i giorni? L'uomo di tutti i momenti della nostra vita quotidiana, a cui i nostri occhi hanno talmente fatta l'abitudine da non vederlo neppure più? Potrebbe sembrare la cosa più naturale sapere chi è: ma quando ci facciamo vicino a lui per amarlo, ci accorgiamo che di lui non sappiamo niente e così ci smarriamo nell'amarlo.

Così incaricammo un gruppo di esperti molto seri dell'Università di Salerno di fare una radiografia del nostro territorio, scoprendo, come fa un medico, la realtà di ciò che siamo e non siamo. Volevamo "inquadrare" il volto del fratello fino a conoscerne i più piccoli tratti, senza alcuna paura. Per tre giorni fummo attenti alla voce di quanti ci conducevano per mano nell'illustrarci "la natura della carità", "la nostra Chiesa nel territorio", ossia la nostra gente. Vedevamo guardare impietosamente, se vogliamo, ma con verità e carità, ciò che è attorno a noi, evangelicamente "vicino" a noi. A volte abbiamo sentito la tentazione di "passare oltre", di trovare una qualunque ragione per scansare l'uomo che chiedeva troppo impegno, chiedeva veramente che noi dessimo la vita; a volte venivamo presi da un disagio, come quello che certamente avrà avuto il buon Samaritano nel piegarsi di fronte ad un uomo che portava impressi tutti i segni della violenza, che sono sempre ripugnanti.

Non è certamente, quella del territorio in cui è la Chiesa di Acerra, una situazione delle più allegre. E' infatti impressionante la varietà "delle forti piaghe" che l'affliggono. Si vive veramente gomito a gomito con tante povertà che chiamano a voce forte la carità. E qui è iniziato il grosso interrogativo sul cosa fare. Un relatore, Padre Macchi, tratteggiò l'aspetto "politico" della carità.

E' chiaro che la Chiesa non era chiamata a risolvere ciò che non è suo fine e compito risolvere. Così come non può né ricevere deleghe in questo campo "politico", né fare supplenze. Ma farsi "voce" di tanti problemi, questo sì. Proclamare e promuovere con la forza del Vangelo la dignità e la giustizia del povero, è suo diritto e dovere.

In fondo ci era sempre presente il Vangelo di oggi: "Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità e non hai soggezione di nessuno perché non guardi in faccia a nessuno. Dicci dunque il tuo parere: E' lecito o no pagare il tributo a Cesare?".

Uscimmo dal convegno tutti con la consapevolezza di una Chiesa che ora sta senza paura in mezzo alla gente, chiunque essa sia, pronta a predicare l'amore di Dio, pagando di persona, ossia pronta a piegarsi sulle sofferenze della nostra gente, come buoni samaritani. Sappiamo di essere una Chiesa povera, ossia che ha mani piccole e molte volte vuote. Ma vogliamo porgere queste mani a tutte quelle mani che cercano disperatamente "una mano".

Non importa se queste mani si sporcheranno delle miserie dei fratelli: è uno "sporco" che è la gloria del buono. La Madonna nel momento in cui il Figlio più soffriva e più aveva forse bisogno d'amore, non poteva che fare una cosa sola, quella di "stare ai piedi della croce" partecipando totalmente alle sofferenze. Ed era il più grande modo di esprimere amore.

 

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