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TESTO Faccia a faccia

don Marco Pratesi  

XXVII Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (04/10/2009)

Brano biblico: Gen 2,18-24 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mc 10,2-16

2Alcuni farisei si avvicinarono e, per metterlo alla prova, gli domandavano se è lecito a un marito ripudiare la propria moglie. 3Ma egli rispose loro: «Che cosa vi ha ordinato Mosè?». 4Dissero: «Mosè ha permesso di scrivere un atto di ripudio e di ripudiarla». 5Gesù disse loro: «Per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa norma. 6Ma dall’inizio della creazione li fece maschio e femmina; 7per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie 8e i due diventeranno una carne sola. Così non sono più due, ma una sola carne. 9Dunque l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto». 10A casa, i discepoli lo interrogavano di nuovo su questo argomento. 11E disse loro: «Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio verso di lei; 12e se lei, ripudiato il marito, ne sposa un altro, commette adulterio».

13Gli presentavano dei bambini perché li toccasse, ma i discepoli li rimproverarono. 14Gesù, al vedere questo, s’indignò e disse loro: «Lasciate che i bambini vengano a me, non glielo impedite: a chi è come loro infatti appartiene il regno di Dio. 15In verità io vi dico: chi non accoglie il regno di Dio come lo accoglie un bambino, non entrerà in esso». 16E, prendendoli tra le braccia, li benediceva, imponendo le mani su di loro.

Possiamo leggere il celeberrimo passo a tre livelli di rapporto: interpersonale in genere, tra uomo e donna, tra coniugi. "Non è bene che l'uomo sia solo: farò per lui un aiuto che gli stia come di fronte" (v. 18, CEI: "che gli corrisponda"). Si tocca qui, espresso in una sintesi potente, un elemento essenziale della realtà umana: la creatura umana ha bisogno di un tu, di un volto che stia davanti al proprio volto, ha bisogno del rapporto con l'altro. In questo "di fronte" è al tempo stesso indicata l'uguaglianza e la diversità. Che l'altro mi sta di fronte significa che è uguale a me, che mi "corrisponde" (ciò che Adamo non aveva potuto trovare negli animali, v. 20); ma anche che egli è diverso da me, irriducibilmente altro. Con ciò è esclusa sia la ricerca di ogni solitaria autosufficienza, sia ogni tipo di fagocitazione dell'uno da parte dell'altro. La persona umana è creata da Dio non autosufficiente, a ogni livello - materiale, psicologico, spirituale -, ha bisogno di un "aiuto". Questa è la volontà di Dio: che nessuno basti a se stesso. Se teniamo presente che questo termine è impiegato nel Salmi per Dio (cf. p. es. Sal 70,6; 121,1-2), comprendiamo subito che qui non si parla di un semplice aiutante più o meno accessorio, ma di qualcosa di fondamentale: si tratta di un aiuto che ha decisivi risvolti esistenziali, che cambia la vita. Senza tale aiuto l'uomo non sperimenta la vita come realtà positiva, buona: non c'è bontà nella solitudine. D'altra parte, se l'altro deve rimanere di fronte a me come altro, allora sono chiamato al rispetto, che è appunto la volontà di tener presente che l'altro è quello che è, non posso strumentalizzarlo, manipolarlo, usargli violenza o appropriarmene. Rientra in questo ambito anche l'accettazione del fatto che l'altro è sempre anche uno che mi contesta. Se davvero il rapporto vuole essere crescita e apertura alla realtà, si deve accettare il faccia a faccia, il con-fronto, anche quando questo significa opposizione.

Ulteriore livello di lettura è il rapporto tra uomo e donna. Il testo afferma una affinità totale, espressa nel lirico "osso dalle mie ossa, carne dalla mia carne", e nell'attribuzione alla donna di un nome che - nell'ebraico - è strettamente affine a quello dell'uomo. Si tratta di una medesima creatura in due modalità distinte, non esiste alcuna differenza di dignità, valore, importanza. La differenza sessuale non implica alcuna separazione, al contrario: i due sono "della stessa pasta". Sarà il peccato a cambiare questa originaria prossimità in distanza: "la donna che tu hai messo accanto a me" (3,12). Non si trova il bene dissociandosi dall'altro sesso.

Riguardo al rapporto specificamente coniugale, l'affermazione "i due saranno un'unica carne" (v. 24) esprime la realizzazione di una unità nuova: i due sono uno, formano una sola persona. E' noto come Gesù abbia citato questo testo per affermare l'indissolubilità dell'unità coniugale (Mt 19,5; Mc 10,7-8), come anche S. Paolo per illustrare il mistero sacramentale del matrimonio (Ef 5,31). Una tale fusione richiede la capacità di "lasciare il padre e la madre", ovvero staccarsi dai rapporti più forti per stabilirne uno ancora più intimo. Occorre il coraggio di lasciare le vecchie sicurezze senza cercare nel coniuge un surrogato del genitore.

Per quanto questa "carne unica" non dica soltanto riferimento alla sessualità, vale tuttavia la pena di notare come questa affermazione giudichi il comportamento sessuale. L'unione sessuale esprime l'unità della nuova carne, e perciò presuppone che l'altro sia assunto in modo totale, in una condivisione piena. Ciò che avviene sessualmente deve specularmente avvenire nella realtà extrasessuale. Ogni comportamento che esca da tale prospettiva è sbagliato perché ingannatore: al segno non corrisponde la realtà, e il segno inganna come moneta falsa, segnale fuorviante, parola ingannatrice (cf. 1Cor 6,16). Perciò non può creare che alienazione, che dal punto di vista interpersonale è morte della comunicazione, e quindi separazione e distanza; dal punto di vista personale è disintegrazione della persona e disarmonia al suo interno.

I commenti di don Marco sono pubblicati dal Centro Editoriale Dehoniano - EDB nel libro Stabile come il cielo.

 

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