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TESTO Al di là dei pronunciamenti della Chiesa

padre Gian Franco Scarpitta  

XXVII Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (04/10/2009)

Vangelo: Mc 10,2-16 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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2Alcuni farisei si avvicinarono e, per metterlo alla prova, gli domandavano se è lecito a un marito ripudiare la propria moglie. 3Ma egli rispose loro: «Che cosa vi ha ordinato Mosè?». 4Dissero: «Mosè ha permesso di scrivere un atto di ripudio e di ripudiarla». 5Gesù disse loro: «Per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa norma. 6Ma dall’inizio della creazione li fece maschio e femmina; 7per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie 8e i due diventeranno una carne sola. Così non sono più due, ma una sola carne. 9Dunque l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto». 10A casa, i discepoli lo interrogavano di nuovo su questo argomento. 11E disse loro: «Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio verso di lei; 12e se lei, ripudiato il marito, ne sposa un altro, commette adulterio».

13Gli presentavano dei bambini perché li toccasse, ma i discepoli li rimproverarono. 14Gesù, al vedere questo, s’indignò e disse loro: «Lasciate che i bambini vengano a me, non glielo impedite: a chi è come loro infatti appartiene il regno di Dio. 15In verità io vi dico: chi non accoglie il regno di Dio come lo accoglie un bambino, non entrerà in esso». 16E, prendendoli tra le braccia, li benediceva, imponendo le mani su di loro.

“Quando un uomo ha preso una donna e ha vissuto con lei da marito, se poi avviene che essa non trovi grazia ai suoi occhi, perché egli ha trovato in lei qualche cosa di vergognoso, scriva per lei un libello di ripudio e glielo consegni in mano e la mandi via dalla casa. Se essa, uscita dalla casa di lui, va e diventa moglie di un altro marito e questi la prende in odio, scrive per lei un libello di ripudio, glielo consegna in mano e la manda via dalla casa” (Dt 24, 1-3)

Quanto è scritto nel passo appena menzionato era prescrizione della legge giudaica in vigore ai tempi di Gesù. Si trattava di un monito introdotto effettivamente da Mosè, che autorizzava l’espulsione di una donna da parte del marito quando non gli andasse più a genio, “non trovasse più grazia ai suoi occhi per qualche cosa di vergognoso”.

Che un uomo potesse ripudiare la propria consorte era quindi considerato legittimo e anche i farisei che interrogavano Gesù davano per scontato che egli avrebbe risposto in base a tale disposizione allora in atto: certamente è possibile per un marito ripudiare la propria donna.

Il problema che essi ponevano riguardava però quella frase “trovare in lei qualcosa di vergognoso”: che cosa aveva voluto dire Mosè con quell’espressione? In che cosa consiste la “vergogna” a cui fa riferimento il Deuteronomio, che legittima il divorzio o meglio il libello di ripudio?

Premesso che colpevole di adulterio poteva essere solo la donna e mai l’uomo (la donna nell’Atico Testamento era considerata un oggetto su cui l’uomo esercitava ogni potere), vi erano due scuole rabbiniche al tempo di Gesù, quella di Hillel e quella di Shammai, le quali contrastavano aspramente su questo argomento: per la prima “qualcosa di vergognoso” andava interpretato in senso lato, ossia come qualsiasi cosa che non piacesse al marito e riteneva pertanto fondato il ripudio praticamente per qualsiasi motivo; la seconda era del parere che la “vergogna” consistesse nell’adulterio commesso dalla donna: vergognoso e riprovevole era che una donna potesse essere adultera o potesse prostituirsi o fornicare con un altro uomo e solo in presenza di questi casi la severa tendenza di Shammai autorizzava il divorzio.

La risposta di Gesù allo spinosissimo quesito è sorprendente e sembra porre innanzitutto una differenziazione fra la persona di Mosè e la legiferazione del Deuteronomio, salvaguardando le reali intenzioni del patriarca liberatore dall’Egitto: se Mosè aveva concesso l’atto di ripudio, non importa per quale motivo, lo aveva fatto non già per sua volontà personale ma... “Per la durezza del vostro cuore” ovvero per adattare la volontà originaria del creatore a una situazione globale di insensibilità e di apatia morale. In secondo luogo, Gesù ripristina il vero senso della Scrittura restituendo ad essa quell’originalità e quella dignità oggettiva che gli uomini tendono sempre a sottrarle, chiamando in causa il famoso passo della Genesi che afferma categoricamente: “maschio e femmina li creò” (Gn 1, 27) per attestare l’unione intrinseca e indissolubile fra un uomo e una donna che avessero deciso di donare se stessi l’uno all’altro per tutta la vita: l’uomo e la donna nella loro unione sponsale costituiscono una comunione di amore indissolubile che può avere origine sono dall’amore di Dio e nella quale nessun intervento umano può mettere mano. Due sposi si amano vicendevolmente non di amore semplicemente convenzionale o filantropico ma dell’amore di cui sono stati resi essi stessi oggetto da Dio che li ha costituiti in unità e per il quale formano una sola persona, un solo essere e una sola prospettiva di vita, pur mantenendo ciascuno la propria individualità e le proprie connotazioni. Del resto il vincolo matrimoniale rispecchia e attua la realtà indiscussa dell’amore di Dio verso il suo popolo e la comunione che Cristo da sempre instaura con la Chiesa, sua Sposa e lo sposalizio nella ministerialità medesima degli stessi coniugi, riflette il legame profondo del Signore con l’umanità intera, non importa il grado di corrispondenza da parte di quest’ultima: sono frequentissime nella Bibbia le metafore del matrimonio, dell’amore fra coniugi, dello sposalizio che esprimono la volontà di unione e di predilezione di Dio per il popolo di Israele e Dio riafferma la fedeltà al patto di alleanza anche nei casi di “prostituzione” da parte del popolo; ma come potrebbe Dio associare il proprio amore per Israele con quello fra due sposi se questo potesse essere legittimamente infranto per qualsiasi motivo? L’amore dei coniugi esprime quanto Dio cerchi l’uomo con tutto se stesso e quanto Egli non si arrenda alle refrattarietà e ai dinieghi dell’umanità nei suoi confronti e per questo è necessario affermare è legittimo che l’uomo e la donna si accettino a vicenda per sempre e si usino fedeltà assoluta finché morte non li separi, usandosi mutuo sostegno reciproco nel bene e nel male.

In Gn 2, 18 l’autore sacro fa parlare il Signore: “Non è bene che l’uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto che gli sia simile.” Nella lingua ebraica originale questo “aiuto che gli sia simile” viene tradotto con “aiuto per lui”, ossia un ausilio che sia sorgivo della stessa carne e fautore della stessa vita, insomma qualcosa che appartenga all’uomo e che sia proprio dell’uomo, carne della sua carne. Un “aiuto per lui” che possa completarlo nella sua esistenza. Questo non può trovarsi in alcuno degli animali che vengono posti in essere, ma non può che sussistere nella la donna, intesa come un supporto che comporti però la parità e l’uguaglianza con l’uomo e che fondi l’assoluta unità.

Per la qual cosa qualsiasi legalizzazione umana che consenta lo scioglimento del vincolo coniugale contravviene all’originario progetto d’amore di Dio e rovina la dignità stessa dell’uomo e della donna. E per questo Gesù è categorico nel prescindere sia dalla scuola di Hillel, sia da quella di Shammai delegittimando qualsiasi concezione di ripudio sia da parte dell’uomo sia da parte della donna: “Non osi separare l’uomo ciò che Dio unisce”. Unica eccezione: il concubinato (porneia) da intendersi come l'unione incestuosa fra parenti e consanguinei.

Gesù insiste anche sulla parità di diritto e di dignità fra l’uomo e la donna e anche se la Bibbia affermerà che “l’uomo è padrone della donna” non ometterà mai di invocare da parte degli uomini il rispetto e l’onore verso la loro consorte e di delineare l’uguaglianza e la parità di diritti fra marito e moglie e l'indissolubitlià del matrimonio esige la'more permanente e rinnovato di giornoin giorno nonostante il mutare degli eventi e delle condizione e anzi proprio gli imprevisti e le sfide del quotifdiano devono fondare e motivare l'amore reciproco.

Se si concepisse il matrimonio nell’ottica dell’amore di Dio nei nostri confronti e il valore dell’indissolubilità come un’espressione della libertà nella scelta dei giovani di appartenersi a vicenda per tutta la vita nell’amore, scelta dettata dalla serietà, dalla ragione e dall’entusiasmo non di verificherebbero attuali problemi di devianza coniugale e spiacevoli situazioni matrimoniali. Se si concepisse il dono di Dio nel matrimonio e il privilegio di questo sacramento (unico che celebrano gli sposi stessi in Chiesa con il loro consenso!) che comporta il vero bene dei coniugi nella comunione di vita ci si guarderebbe infatti dalla scelta troppo avventata di sposarsi a volte senza ponderazione e senza criterio ma solo per banali motivazioni esteriori. Se si concepisse l’amore di Dio in Cristo sarebbe anche automatica l’accettazione dei moniti ecclesiastici perché è Crsito stesso che nel disporre così il matrimonio cerca il vero bene di due sposi.

Il fenomeno sempre più crescente ai nostri giorni della separazione e del divorzio, delle unioni di fatto e delle coppie “risposate”, come pure la frequenza spesso inerte e passiva ai nostri cammini parrocchiali in preparazione al sacramento del matrimonio rievoca il pensiero del teologo Bokle sull’atteggiamento comune dei cattolici di fronte alle disposizioni ecclesiastiche: “Non è la trasgressione delle norme bensì la loro contestazione a porre in crisi il modo di intendere il matrimonio e la comunione coniugale.” Ci si separa e si ricorre alle nuove nozze per una certa indifferenza verso i pronunciamenti della Chiesa che deriva da una sorta di contrasto e di rifiuto profondo che si riverbera soprattutto nelle nuove leve. In realtà non si trasgrediscono le norme della Chiesa, ma non le si accetta in partenza con le conseguenze che tutti conosciamo.

Sarebbe opportuno che la nostra pastorale si incentrasse maggiormente sul valore del matrimonio sacramento come atto dell’amore di Dio nel suo Figlio che anche in questo sacramento si mostra vicino all’uomo e tende a realizzarlo; occorre insistere più che sulla normativa ecclesiastica sul primato e sull’efficacia dell’amore di Dio nei confronti dell’uomo e soprattutto del giovane che tende a realizzare se stesso nella vita di coppia per presentare, al di là della burocrazia della Chiesa, la figura di un Signore che è nostro sposo già al di fuori del sacramento medesimo e che vuole esserlo in tutti i modi nelle aspettative della vita di due giovani che tendono a contrarre matrimonio. La positività insomma del sacramento va valutata e proposta insomma a partire dalla positività dell’amore di Dio per noi e della vita piena che Cristo vuole donarci sempre e in tutte le condizioni.

 

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