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TESTO Con umiltà e mitezza

mons. Antonio Riboldi

XIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (04/07/1999)

Vangelo: Mt 11,25-30 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo Gesù disse: 25«Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. 26Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. 27Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo.

28Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. 29Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. 30Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero».

Ci sono brani del Vangelo che si staccano talmente dal nostro comune modo di pensare che sembrano uno spaccato di cielo che si apre sul capo degli uomini a mostrarci una dolcezza, una tenerezza di Dio che difficilmente sperimentiamo tra noi uomini. Siamo abituati troppo spesso ad avere l'esperienza di "spalle curve" per il dolore o la croce che ci accompagna tutti senza distinzione nella vita. Per alcuni forse può apparire una maledizione che non si riesce a levarsi di dosso anche se si provano tutte: magari pensando di liberarsene definitivamente con il suicidio o con la via degli stupefacenti, o con la via larga del divertimento a tutti i costi che col tempo si rivela come l'onda lunga della morte del cuore. Per altri invece la croce è il segno inconfondibile del prezzo che si versa per entrare nell'irrinunciabile clima dell'amore: quando l'amore non è egoismo – e non può mai esserlo per natura – ma è quello che deve essere, dono di se fino al sacrificio.

Gesù per tutto il tempo che stette tra noi, traversando le vie della storia, vedendo la passione dell'uomo suo contemporaneo simile in tutto alla nostra passione, anche se cambia molte volte nome (o carnefici o vittime), fissava le folle che Lo cercavano, Lo attorniavano. Essi vedevano in Lui l'ultima sponda della speranza e quindi della felicità. Davanti a questo popolo in ricerca Gesù tante volte esprime la sua profonda compassione. Una compassione che non è mai un superficiale sentimento che lascia tutto come prima: ma è condivisione totale con la passione dell'uomo. Anzi Gesù fa della passione dell'uomo la sua stessa passione e morte perché ogni uomo, pur portando la necessaria croce che è componente essenziale di ogni vita che si affaccia su questa terra, conoscesse per esperienza che sotto quella croce, a spalla a spalla come fosse sua, c'era lui.

E si rimane con lo stupore sul volto, con il fiato trattenuto dalla meraviglia, a pensare che le spalle di Dio sono vicino alle nostre mentre si piegano per il grande dolore; ciò dà al dolore stesso un valore di dolcezza che viene da quell'amore fattosi compassione. Così viene la voglia di dire "grazie". "Grazie" non per la croce in sé, ma grazie perché quella croce portata insieme ci fa conoscere dal vero quanto Dio si prenda cura di noi e ci voglia bene. La croce diventa un modo di dire "sì" a chi ama senza limiti, come Gesù.

Per questo assaporiamo le parole del Vangelo di oggi con la gioia delle grandi rivelazioni che sono lo spaccato del Cielo sopra gli uomini; sono la rugiada che si posa sull'arido deserto della nostra vita.

"Venite a me, dice Gesù, voi tutti che siete affaticati ed oppressi, e io vi ristorerò. Prendete il mio giogo sopra di voi ed imparate da me che sono mite ed umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime. Il mio giogo infatti è dolce, il mio carico leggero" (Mt 11, 28-30).

Quante perle dentro poche parole! Anzitutto un Dio che invita con amore accorato, proprio come sa fare una madre che nella vita conosce solo la dolcezza, che non tiene mai conto della fatica di essere sempre lì ad accogliere i figli che tornano affaticati ed oppressi. Una tenerezza che vorrebbe cancellare stanchezza ed oppressione, facendole proprie, in cambio donando la serenità del proprio cuore: quelle braccia aperte di Dio che invitano, dovrebbero commuovere ed attirare tutti. Sono tanto grandi la braccia e il cuore di Dio che l'immensità dei dolori di miliardi di uomini, là in quelle braccia e in quel cuore, diventano poca cosa. Troppo grande il cuore di Dio. Non ha più ragione allora piegarsi su se stessi come orfani senza speranza e senza conforto quando c'è Chi non solo apre le braccia, ma dice "venite tutti". Vicino a quella grandezza di accoglienza, Gesù svela un'altra perla: il Suo cuore. Ogni uomo si vanta di avere "un cuore". Quanti lo dicono e lo esaltano! Che tutti abbiano un cuore, è vero. Cosa ci può essere di più caro di un cuore buono? Eppure è proprio lì che l'uomo viene a mancare. Non conosce le vie "della bontà del cuore": quelle vie che, se tutti le conoscessimo, avrebbero il merito di cancellare tutte le violenze, le disuguaglianze, le tante disumanità che oggi non hanno più volto e non hanno nemmeno più aggettivo per definirne la qualità brutale. Gesù ci rivela il Suo cuore e ce lo dona come "scuola di amore".

"Imparate da me che sono mite ed umile di cuore". Eccolo il segreto della bontà del cuore di Gesù e quindi dell'uomo: l'umiltà; ossia il farsi "nulla", farsi disponibili al servizio di tutti, senza prosopopea, senza alcun interesse. Quasi dicendo come Maria: "Ecco la tua serva: si compia in me la tua volontà".

Di fronte a questo prodigio come spiegazione dell'infinito calvario che noi uomini ci disegniamo e costruiamo, c'è la superbia del cuore; una superbia che non sa cosa voglia dire "venite a me voi tutti". Andiamo da Gesù, affranti come siamo, e da Lui impariamo come si ama con umiltà e mitezza.

 

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