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TESTO Essere ultimo e servo di tutti

mons. Antonio Riboldi

XXV Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (20/09/2009)

Vangelo: Mc 9,30-37 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mc 9,30-37

30Partiti di là, attraversavano la Galilea, ma egli non voleva che alcuno lo sapesse. 31Insegnava infatti ai suoi discepoli e diceva loro: «Il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà». 32Essi però non capivano queste parole e avevano timore di interrogarlo.

33Giunsero a Cafàrnao. Quando fu in casa, chiese loro: «Di che cosa stavate discutendo per la strada?». 34Ed essi tacevano. Per la strada infatti avevano discusso tra loro chi fosse più grande. 35Sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: «Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti». 36E, preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse loro: 37«Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato».

Ci sono piaghe dolorose, che ci portiamo addosso tutti e che ereditiamo dal peccato originale.

Nel paradiso terrestre, che ci era stato donato, dove regnava l'amore pieno, mise piede un giorno il serpente. Dio permise che i nostri progenitori fossero messi alla prova, perché così è giusto che sia, nella natura dell'amore, che è libero: una prova che consisteva nella scelta tra Dio e se stessi. Obbedienza e umiltà o orgoglio e superbia.

Sappiamo tutti come finì. Davanti alla tentazione di poter 'essere come Dio', solo attraverso la disobbedienza, non seppero resistere al fascino maledetto che è 'sentirsi grandi e potenti, come dei'. Non si accetta la realtà del nostro essere creature: l'uomo in sé è davvero piccolo e misero, insufficiente, ed acquista bellezza e dignità solo se sa riconoscere la sua miseria e fa posto a Chi è grande e da Cui sgorga la vera grandezza.

È terribile il male della superbia. È tragica la corsa che si fa in ogni capo per affermare una grandezza che è solo esteriore, se non addirittura dannosa. Così abbiamo le 'grandi potenze', i 'grandi' della terra, i 'famosi', ma tutti constatiamo come spesso questa 'corsa' produce solo tanta povertà e tanta, ma tanta, gente che è umiliata, al punto da sentirsi ed essere considerata nulla: l'esercito dei miseri e dei poveri della terra, sgabello dei cosiddetti 'grandi'.

Dobbiamo essere sinceri con noi stessi: chi di noi non sente il 'veleno' del serpente, che è l'orgoglio?

Nessuno vuole vestire l'abito 'dell'ultimo', ma solo quello 'del primo'... anche se poi la vera grandezza si scopre proprio negli ultimi: 'Grandi cose ha fatto in me l'Onnipotente... perché ha guardato all'umiltà della Sua serva', proclama Maria SS.ma.

Fa sempre tanta pena incontrarsi con chi non fa proprio nulla per nascondere la sua superbia, così come è quasi un toccare con mano la bellezza del Cielo, vivere ed incontrare chi ha il divino candore dell'umiltà, sa riconoscere il proprio nulla - pur essendo magari ricco di qualità e pregi umani - e fa posto a Chi davvero è tutto, diventando 'gloria del Dio vivente'.

È il Vangelo di oggi, come la lettera di Giacomo, ad aiutarci ad entrare nel mondo degli 'ultimi', che agli occhi di Dio sono 'i primi'.
Narra l'evangelista Marco:

"Gesù e i suoi discepoli attraversavano la Galilea, ma egli non voleva che alcuno lo sapesse. Istruiva i suoi discepoli e diceva loro: 'Il Figlio dell'uomo sta per essere consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno: ma una volta ucciso, dopo tre giorni, risorgerà'.

Ma essi non comprendevano queste parole e avevano timore di chiedergli spiegazione.

Giunsero intanto a Cafarnao. E quando fu in casa chiese loro: 'Di che cosa stavate discutendo lungo la via?: Ed essi tacevano.

Per la via infatti avevano discusso tra di loro chi fosse il più grande.

Allora, sedutosi, chiamò i dodici e disse loro: 'Se uno di voi vuol essere il primo, sia l'ultimo di tutti e il servo di tutti. E preso un bambino lo pose in mezzo e abbracciandolo disse loro: 'Chi accoglie uno di questi bambini, accoglie me, ma chi accoglie me, non accoglie me, ma Colui che mi ha mandato" (Mc 9, 29-36).

Queste ultime parole mi fanno passare davanti agli occhi tanti bambini del nostro tempo, non nati, rifiutati, affamati, percossi, rimandati, dopo giorni sui barconi degli immigrati, senza capire, a morire 'a casa lorò!

Di fronte a questi bambini, per noi a nulla valgono le parole di Gesù: 'accogliendoli, non accogliete Me, ma Colui che mi ha mandato'.

Mi incontrai un giorno con alunni di una scuola media, per un 'botta e rispostà spontaneo, che svelasse ciò che gli adolescenti pensano della vita, della fede, di tutto insomma.

Erano ragazzi e ragazze, che nulla facevano per nascondere il loro 'culto del benessere'. Forse papà e mamma erano persone 'importanti'. Il dialogo si avviò con difficoltà, anche perché i ragazzi non sapevano cosa chiedere ad un vescovo, tanto più che ero stato presentato come uno 'che sta dalla parte degli ultimi' e, amando i poveri, passavo per 'un povero Cristo'.

Tentai allora di avviare un dialogo con la descrizione dei valori della vita e, soprattutto, del grandissimo valore della presenza di Gesù nella nostra esistenza.

Gli occhi di quegli adolescenti erano puntati su quello che dicevo e per loro era davvero un discorso duro e sconosciuto. A bruciapelo feci questa domanda: 'Chi vorrete essere nella vita da grandi?'. In coro fecero nomi di persone ricche e famose, che per lo più non conoscevo.

Credendo di non essere stato capito, formulai in altro modo la domanda: 'Ammettiamo che voi desideriate veramente la vostra felicità, che è nella grandezza di essere figli di Dio. Vorreste essere come S. Francesco d'Assisi, che da ricco divenne povero per sua scelta, o come uno sceicco d'Arabia che da povero divenne ricchissimo e famoso?'. Questa volta la risposta fu fulminea e quasi corale: 'Lo sceicco!'.

Quello che ho raccontato potrebbe sembrare un fatto isolato, che riguarda solo alcuni, che vanno compassionati. Ma nella storia dell'umanità si è sempre giocato al tragico 'essere primo', ossia il più importante, riducendo il senso della vita al potere, al successo, al prestigio.

Lo stesso Gesù, nel deserto, fu tentato da satana a fare la parte del 'grande'. E furono tentati gli stessi discepoli, che non capivano il discorso di Gesù, che parlava di crocifissione, ossia consumarsi tutto, essere umiliato fino alla morte, per farci dono poi della resurrezione.

Cosi parlava dell'umiltà Paolo VI: “L'uomo, nella concezione e nella realtà del cattolicesimo, è grande, e tale deve sentirsi nella coscienza, nel valore della sua opera, nella speranza del suo finale destino. Ma i suoi pensieri, il suo stile di vita, il so rapporto con i suoi simili, gli impone nello stesso tempo di essere umile. Che l'umiltà sia una esigenza, potremmo dire costituzionale, della psicologia e della moralità del cristiano, nessuno potrà negarlo.

Un cristiano superbo è una contraddizione nei suoi stessi termini. Se vogliamo rinnovare la vita cristiana, non possiamo tacere la lezione e la pratica dell'umiltà...

L'apparente contraddizione fra umiltà e dignità del cristiano, ha nel Magnificat, l'inno di Maria SS.ma, l'umile tra tutte le creature, la più alta soluzione.

E la prima soluzione è data dalla considerazione dell'uomo davanti a Dio.

L'uomo veramente religioso non può non essere umile. L'umiltà è verità.

S. Agostino che dell'umiltà ha un concetto sempre presente nelle sue opere, ci insegna che l'umiltà è da collocarsi nel quadro della verità. ‘Siamo piccoli e per di più siamo peccatori. - scrive S. Pietro - sotto la mano potente di Dio, affinché vi esalti nel tempo della sua visita; ogni nostra ansietà deponetela in Lui, perché Lui ha cura di voi'.

Sono due i malanni della psicologia umana, colpevoli delle rovine più estese e più grandi dell'umanità: l'egoismo e l'orgoglio.

È allora che l'uomo fa centro su se stesso nella estimazione dei valori della vita: egli si fa primo, egli si fa unico. La sua arte di vivere consiste nel pensare a se stesso e nel sottomettere gli altri. Tutti i grandi disordini sociali e politici hanno nell'egoismo tante capacità d'azione, ma l'amore non c'è più” (febbraio 1975).

Saremo capaci di accogliere l'invito di Gesù a svestire gli abiti effimeri e bugiardi dell'orgoglio, per indossare l'abito semplice dei bambini?

È qui davvero il segreto della nostra gioia, della speranza che questa umanità torni a ritrovare quella pace, che solo un cuore da bambino sa creare.

E davvero fa bene, tanto bene, incontrare nella vita fratelli e sorelle di una tale semplicità di animo, che ti ridonano la bellezza di vivere con amore e per amore, e ti famio vedere il Cielo che è ancora sopra di noi, tra di noi.
Accogliamo l'invito dell'apostolo Giacomo:

"Carissimi, dove c'è gelosia e spirito di contesa, c'è disordine e ogni sorta di cattive azioni. La sapienza che viene dall'alto, è anzitutto pura, poi pacifica, mite, arrendevole, piena di misericordia e di buoni frutti, senza parzialità, senza ipocrisia. Un frutto di giustizia viene seminato nella pace per coloro che fanno opera di pace.

Da che cosa derivano le guerre e le liti che sono in mezzo a voi?

Non vengono forse dalle vostre passioni che combattono nelle vostre membra?

Bramate e non riuscite a possedere e uccidete; invidiate e non riuscite ad ottenere, combattete e fate guerra! Non avete perché non chiedete, chiedete e non otterrete perché chiedete male, per spendere per i vostri piaceri!" (Gc. 3, 16)

Una dura lezione, ma necessaria esortazione a diventare tutti quei 'piccolì, o 'ultimi' del Vangelo, per assaporare la gioia del cuore dei bimbi, che sanno vedere ancora la bellezza del Cielo. Così pregava il caro don Tonino Bello:

"Santa Maria, donna di parte, come siamo distanti dalla tua logica!

Tu ti sei fidata di Dio e come Lui hai tutto scommesso sui poveri,
affiancandoti ai poveri e facendo della povertà
l'indicatore più chiaro del tuo abbandono in Lui,

'che ha scelto ciò che nel inondo è nulla, per ridurre a nulla tutte le cose che sono'. Noi invece andiamo sul sicuro.
Non ce la sentiamo di rischiare.
Ci vogliamo garantire dagli imprevisti.

Sarà pure giusto lo stile del Signore, ma intanto preferiamo la praticità della terra, terra dei nostri programmi.

Continuiamo a fare assegnamento sulla forza, sul prestigio, sul denaro e sul successo. Quando ci decideremo, sul tuo esempio, a fare scelte umanamente perdenti,
nella convinzione che solo passando sulla tua sponda
potremo redimerci e redimere?”

 

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