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TESTO La fiducia e il rischio del mondo

mons. Antonio Riboldi

XII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (20/06/1999)

Vangelo: Mt 10,26-33 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mt 10,26-33

In quel tempo, Gesù disse ai suoi apostoli: 26Non abbiate paura degli uomini, poiché nulla vi è di nascosto che non sarà svelato né di segreto che non sarà conosciuto. 27Quello che io vi dico nelle tenebre voi ditelo nella luce, e quello che ascoltate all’orecchio voi annunciatelo dalle terrazze. 28E non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima; abbiate paura piuttosto di colui che ha il potere di far perire nella Geènna e l’anima e il corpo. 29Due passeri non si vendono forse per un soldo? Eppure nemmeno uno di essi cadrà a terra senza il volere del Padre vostro. 30Perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati. 31Non abbiate dunque paura: voi valete più di molti passeri!

32Perciò chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli; 33chi invece mi rinnegherà davanti agli uomini, anch’io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli.

All'oscurità si sovrappone la luce, alla prova la speranza, alla sofferenza la liberazione: è su questi due registri antitetici che si costruisce il messaggio di fiducia offerto dalla prima e dalla terza lettura biblica di questa domenica.

E' innanzitutto il caso del primo testo, tratto da una delle più celebri "confessioni" del profeta Geremia, vissuto nel VI sec. a.C. Questa personalità sensibilissima ci ha, infatti, lasciato un diario del suo dramma interiore composto sotto forma di lamentazione orante: sono appunto le cosiddette Confessioni, disperse tra il cap. 10 e il 20 del suo volume. E' il dramma di un romantico affezionato alla sua patria, alla sua religione, al suo villaggio, agli affetti e all'amore, che è costretto ad essere la Cassandra della sua nazione, ad essere scomunicato, ad essere perseguitato dai suoi stessi compaesani di Anatot, ad essere denunciato da parenti e amici, a non potersi costruire una famiglia con la donna amata. Un sentimentale proteso verso i rapporti umani che è condannato ad essere un solitario, un eccentrico, circondato solo da odio, maledetto, perseguitato, processato, torturato e randagio. Un idealista che ha orrore per la corruzione del suo popolo, che solo con dolore annuncia la rovina imminente e che, invece, è ritenuto collaborazionista col nemico e disfattista per interesse privato.

La fedeltà alla vocazione è per Geremia una conquista quotidiana che conosce dubbi e crisi e che talora pesa come una maledizione, soprattutto quando si sperimenta il silenzio di Dio, come dichiara l'inizio della "confessione" da cui è tratto il brano odierno. Dopo la flagellazione (Geremia 20,1-6), Geremia si sente abbandonato quasi come il Cristo al Getsemani o in croce. Ma all'improvviso il cielo si spalanca, il Signore appare accanto al suo profeta umiliato ed emarginato e gli offre la sua protezione quasi militare, lui che è il "prode" difensore dei deboli e dei poveri. Infatti il Signore è giudice implacabile e inesorabile nei confronti di chi ha violato i diritti dei suoi assistiti. Egli difende e vendica senza tregua chi è stato trovato giusto "nel cuore e nella mente" (v. 12), chi "ha affidato a lui la sua causa" (v. 12), chi è "povero e ha la vita tra le mani dei malfattori" (v. 13). Ancora una volta la Bibbia lancia un appello di impegno e di lotta contro sopraffazioni, emarginazioni e ingiustizie.

Questo contrasto è riproposto anche per l'apostolo nel brano tratto dal discorso missionario di Matteo l0 (la seconda delle grandi dichiarazioni programmatiche di Gesù che sostengono la struttura dell'intero primo vangelo). Matteo, partendo probabilmente dall'esperienza della sua comunità ecclesiale sottoposta a forti contestazioni dalla sinagoga giudaica, delinea la figura dell'apostolo come quella d'un "confessore della fede", d'un vero "martire".

Liberato dalla tentazione della "catacomba" o della segretezza, superata la fase della formazione nella comunità che non può essere il grembo sicuro in cui ci si ritira per sempre, il cristiano è affidato al rischio del mondo e della vita. E come per il bimbo appena uscito dal grembo materno, l'impatto col mondo può essere traumatico: persecuzioni, incubi, pericoli. Ma in questa tempesta, che fa intravedere persino il rischio della stessa eliminazione fisica (10,28), si sente una voce: è il comando di Cristo ribadito come un ritornello insistente, garanzia e pegno di vittoria e di liberazione: "Non temeteli" (vv.26.28.31).

 

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