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TESTO Pensare secondo Dio

mons. Antonio Riboldi

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XXIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (13/09/2009)

Vangelo: Mc 8,27-35 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mc 8,27-35

27Poi Gesù partì con i suoi discepoli verso i villaggi intorno a Cesarèa di Filippo, e per la strada interrogava i suoi discepoli dicendo: «La gente, chi dice che io sia?». 28Ed essi gli risposero: «Giovanni il Battista; altri dicono Elia e altri uno dei profeti». 29Ed egli domandava loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Pietro gli rispose: «Tu sei il Cristo». 30E ordinò loro severamente di non parlare di lui ad alcuno.

31E cominciò a insegnare loro che il Figlio dell’uomo doveva soffrire molto ed essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere. 32Faceva questo discorso apertamente. Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo. 33Ma egli, voltatosi e guardando i suoi discepoli, rimproverò Pietro e disse: «Va’ dietro a me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini».

34Convocata la folla insieme ai suoi discepoli, disse loro: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. 35Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà.

Non era certamente facile per gli apostoli conoscere in profondità Chi li aveva chiamati e capire esattamente la stessa generosità con cui loro avevano accettato l'invito di seguirLo.

Forse erano semplicemente stati attratti dalla personalità del Maestro e suscita stupore come abbiano accolto il Suo invito, senza porsi tante domande. Non immaginavano neppure che cosa lontanamente li attendeva, ossia che sarebbero diventati le colonne della Chiesa, diffusa su tutta la terra. Capita anche a noi, forse, di avere accettato di essere cristiani, ma tante volte senza pienamente pensare che 'essere chiamati da Cristo a seguirLo' nel Battesimo, comporta poi un seguirlo nella vita, seriamente e con convinzione.

Il Vangelo di oggi pone a noi la stessa domanda che Gesù fece ai suoi discepoli.

"Gesù partì con i suoi discepoli verso i villaggi intorno a Cesarea di Filippo, e per via interrogava i suoi discepoli dicendo: Che dice la gente che io sia? Ed essi risposero: Giovanni il Battista, altri poi Elia e altri uno dei profeti. Ma egli replicò: E voi chi dite che io sia? Pietro gli rispose: Tu sei il Cristo. E impose loro di non parlarne con nessuno".

Difficile pensare chi fosse per i Dodici. Forse in quella risposta di Pietro vi era un sogno di grandezza umana, di un 'personaggio che avrebbe cambiato il mondo'.

Ma le parole di Gesù li risveglia subito alla comprensione di una realtà più profonda, che avrebbe motivato tutta la vicenda del Maestro tra noi e per noi, e che non era nei sogni umani dei Dodici. "E cominciò a insegnare loro che il Figlio dell'uomo doveva molto soffrire ed essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, per venire ucciso e dopo tre giorni risuscitare Gesù faceva questo discorso apertamente".

E subito vi è la reazione di Pietro, che svela i sogni umani dei Dodici – e forse di tanti di noi – che avevano accettato di seguirlo, perché speravano di aver trovato Uno che risolve i nostri problemi e realizza i nostri - spesso troppo piccoli - sogni.

È vero che il Padre ha cura di noi, ma sempre in ordine alla nostra santificazione, che è il grande dono di Gesù e che si raggiunge giorno per giorno con fede e amore.

"Allora Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo. Ma Gesù, voltatosi e guardando i discepoli, rimproverò Pietro e gli disse: 'Lontano da me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!".

Convocata la folla, insieme ai suoi discepoli, disse loro: 'Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuol salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà" (Mc 8, 27-35).

Possiamo immaginare lo sgomento degli Apostoli nel vedere forse andare a pezzi i loro sogni di raggiungere traguardi di benessere e successo terreno, che nulla hanno a che vedere con la presenza e l'amore di Dio.

Ma noi oggi – come loro – vorremmo confermare a Gesù il nostro amore senza limiti, con le parole di Paolo Vi, grande innamorato di Cristo:

"Vi è una categoria di credenti, la nostra categoria, di gente che non solo accetta il Cristo della tradizione cattolica con pacifica e docile adesione, ma lo scopre con gioia, lo confessa con entusiasmo, lo proclama con fede, lo segue con amore.

Sì, per misericordia sua e per fortuna nostra, ci siamo ancora noi, che non dubitiamo di credere in Lui, con tutta la Chiesa cattolica ed apostolica, invasa da gaudio immenso, a gridare: è Lui! È il Signore.

Siamo, sì, sbattuti dal vento delle tante difficoltà, a cui oggi lo spirito, per il suo stesso progresso, è esposto: anche noi siamo fratelli di Tommaso, l'apostolo del Vangelo, che vorremmo certezze palpabili, che vorremmo misurare la realtà religiosa, con il metro cortissimo delle nostre nozioni, più o meno razionali; vorremmo, come sempre siamo abituati oggi a fare, almeno vederLo, toccarLo, noi così restii ad ammettere poi il miracolo, come la grande e celebre preghiera di Papini che a Cristo domandava:

'E' giunto il tempo in cui devi apparire a tutti noi e dare un segno perentorio a questa generazione...Sia pure un breve ritorno, una venuta improvvisa...un segno solo, un avviso unico, un baleno nel cielo, un lume nella notte....'.

Vorremmo vederLo anche noi e divenire capaci di ripetere le parole della prima generazione cristiana: 'Vieni, torna Signore Gesù', (maggio 1962)

Ma, come a voler unire Gesù e la sua presenza negli uomini, a cominciare dai più deboli e poveri, l'apostolo Giacomo così ci avverte oggi:

"Cosa giova, fratelli miei, se uno dice di avere fede, ma non ha le opere?
Forse che quella fede può salvarlo?

Se un fratello o una sorella sono senza vestiti, sprovvisti del cibo quotidiano e uno di voi dice loro: 'Andatevene in pace, riscaldatevi e saziatevi', ma non dà loro il necessario per il corpo, che giova? Così anche la fede, se non ha le opere, è morta in se stessa. Al contrario uno potrebbe dire: Tu hai la fede ed io ho le opere. Mostrami la tua fede senza le opere ed io con le mie opere ti mostrerò la mia fede". (Lettera Gc. 2, 14-18)
Com'è facile parlare, carissimi, di amore per i poveri!

E per povertà intendo ogni forma di bisogno: mancanza di casa, di pane, di affetto, di lavoro, di comprensione. La povertà è sempre un 'vuoto' creato da mille circostanze, alle volte colpevole, alle volte no. Un vuoto che chiede di essere colmato dalla ricchezza dell'amore.

Di fronte alla povertà davvero l'amore a Cristo si esprime nella sua totalità, al punto che i poveri diventano la nostra ricchezza... sempre che consideriamo felicità il dare più che l'avere, il voler vedere vivi gli altri, anche se questo richiede il dono di noi stessi, della nostra vita.

Può essere duro parlare di amore in questi termini, ma è il solo modo, quando si dà all'amore il vero significato evangelico, che è quello della condivisione.

Come ha fatto del resto Dio che, per esprimere l'Amore a noi uomini - poveri, ma veramente miseri senza il Suo amore - ha condiviso totalmente in Gesù la nostra povertà, fino a dare la vita perché noi avessimo la pienezza di vita.

Il Vangelo di oggi ci mostra come reagì Pietro, quando Gesù parlò di questa Sua condivisione, annunciando la Sua passione e morte, ma anche la presa di posizione del Maestro: 'Gesù, voltatosi e

guardando i discepoli, rimproverò Pietro e gli disse: 'Lontano da me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!".

Secondo il pensiero di Dio, la parola condivisione espelle, una volta per tutte, il diffuso concetto di amore come elemosina, che è come uno sguardo distratto sulla povertà e non un chinarsi seriamente su chi è nella necessità, il povero, fino a preferire l'eliminazione della sua sofferenza rispetto ad ogni nostro interesse.

Vivendo nel Belice, nelle baracche, dopo il terremoto, mi sentivo come schiacciato dalle tante necessità della mia gente. L'amore mi portava a fare tutto il possibile - sempre per quel poco che un sacerdote può fare. Quante volte chiedevo almeno la solidarietà. Tentavo con un'energia e un coraggio, che ancora oggi non mi so spiegare, di fare capire che non chiedevamo compassione o altro, ma volevamo solidarietà, condivisione. Ma era un discorso che, il più delle volte, cadeva nel vuoto, se non nel disprezzo.

Ricordo una domenica, venni invitato in una città, che voleva conoscere il dramma irrisolto del Belice. Con dignità e forza proponevo la storia di tanti baraccati, che attendevano giustizia.

Coglievo nell'aria una curiosità, che però non si spingeva oltre. Qualcuno poi si attendeva forse qualche filippica contro questo o quello e, di fronte ad un discorso che interpellava la coscienza, non nascondeva la delusione e il dissenso. Alla fine ci fu chi pensò bene di raccogliere le offerte. Tante monetine, che suscitarono in me sdegno, nel vedere come l'appello alla solidarietà era stato inteso come una richiesta di elemosina.

Non nascosi la mia amarezza, uscendo dalla chiesa, come se avessero offeso la mia dignità e quella della mia gente baraccata. Non avevo chiesto soldi, ma solidarietà.

Mi vennero in mente le parole che l'apostolo Giacomo offre nella liturgia di oggi: 'Che giova, fratelli, se uno dice di avere fede, ma non ha le opere? Forse che quella fede può salvarlo?'.

C'è davvero una profonda conversione da compiere in questo senso nelle nostre comunità parrocchiali. A volte appaiono chiuse in se stesse, disinteressate della povertà del vicino, al punto di non accorgersi delle lacrime che, molte volte, gli scavano il volto durante la Messa; al punto di non accorgersi che c'è chi sfiora l'abisso della disperazione, per tanti motivi, che a volte potrebbero essere rimossi con un briciolo di quel benedetto amore, che è la condivisione.

Bisognerebbe avere la capacità di abbattere le robuste mura che ci siamo costruiti per difendere la nostra tranquillità, in modo da diventare 'case aperte', 'mense imbandite' per chi passa e ha fame, sete, è ignudo, o, semplicemente non sa a chi affidare le proprie lacrime.

Non resta che chiedere a Dio il dono della carità a tutto tondo, che sappia capire, accogliere tutti, con un cuore simile ad una mensa a cui tutti possono sedersi.
Così pregava don Tonino Bello:

"Santa Maria, donna di parte, noi ti preghiamo per la Chiesa di Dio,

che, a differenza di Te, fa ancora fatica ad allinearsi coraggiosamente con i poveri. In teoria essa dichiara l'opzione preferenziale in loro favore.

Ma in pratica, spesso rimane sedotta dalle manovre accaparratrici dei potenti. Aiutala a uscire dalla sua pavida neutralità.
Mettile sulle labbra le cadenze eversive del Magnificat,
di cui talvolta sembra abbia smarrito gli accordi.
Te lo chiediamo per Cristo, nostro Signore".

 

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