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TESTO ... E il segreto della croce è il servizio nell'amore

padre Gian Franco Scarpitta  

XXV Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (20/09/2009)

Vangelo: Mc 9,30-37 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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30Partiti di là, attraversavano la Galilea, ma egli non voleva che alcuno lo sapesse. 31Insegnava infatti ai suoi discepoli e diceva loro: «Il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà». 32Essi però non capivano queste parole e avevano timore di interrogarlo.

33Giunsero a Cafàrnao. Quando fu in casa, chiese loro: «Di che cosa stavate discutendo per la strada?». 34Ed essi tacevano. Per la strada infatti avevano discusso tra loro chi fosse più grande. 35Sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: «Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti». 36E, preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse loro: 37«Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato».

La scorsa settimana venivamo edotti sul “segreto messianico” di Gesù, relativamente alla proibizione che egli faceva ai discepoli di comunicare a tutti che Egli è il Cristo. Anche oggi Marco (specialista di questo tema) ci ragguaglia sullo stesso “segreto”, questa volta a proposito del cammino che Gesù e i suoi discepoli stavano percorrendo attraverso la Galilea: “Gesù e i suoi discepoli attraversavano la Galilea, ma egli non voleva che alcuno lo sapesse.” La motivazione di questo silenzio è la stessa che avevamo riscontrato nella liturgia della scorsa domenica: il messianismo di Gesù non ha nulla di eclatante e di sconvolgente secondo quelle che erano le aspettative messianiche del suo tempo: Gesù non si presenta come il Messia grande e vittorioso capace di prodigi e di sconvolgimenti cosmici, non mostra la sua potenza mediante miracoli, segni e altri prodigi convincenti, ma come il Servo sofferente che si umilia fino alla morte, mostra la sua vera potenza in ciò che comunemente è definitop assurdo e impensabile, come il patire e il morire solo, abbandonanto dopo lo strazio della violenza morale oltre che fisica.

Gesù in effetti compie dei miracoli di guarigione, degli esorcismi, cura i lebbrosi e resuscita i morti ma lo fa semplicemente per manifestare l’amore del Padre e per ciò stesso la presenza attiva del Regno di Dio nelle sue parole e nelle sue opere; ma a qualificarlo come Messia non devono essere i miracoli considerati in se stessi, né alcuna opera di straordinaria portata, bensì la comprensione del suo essere Dio fatto uomo che si annichilisce mettendosi al nostro servizio e donando la sua stessa vita per noi nel più crudele di tutti i supplizi. Le opere stesse devono anzi denotare in Gesù il servo umile e obbediente che realizza il suo essere Messia nell’amore e nella donazione, il cui culmine espressivo si verificherà nella croce.

E infatti Marco precisa immediatamente il motivo di tanta segretezza: “Insegnava infatti ai suoi discepoli e diceva loro: «Il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà”. In Galilea Gesù avrebbe fatto cose straordinarie che avrebbero sconvolto una terra pagana e ostile come quella in cui si stava per recare, tuttavia egli la percorreva solo con la consapevolezza che dopo la Galilea, in ultimo, sarebbe sopraggiunta la Giudea e finalmente il famoso Golgota, nel luogo detto Cranio....

La croce è la massima espressione dell’amore, ma l’amore ha la concretezza immediata e irrefutabile nel servizio; appunto la prerogativa del servire è quella che Gesù predilige come monito di adempimento del Vangelo e che costituisce anche il segreto di ogni successo su tutti i fronti: ciò che infatti caratterizza la vera grandezza e il reale primato dell’uomo è la capacità di servire senza restrizioni e incondizionatamente, donando se stessi e quanto si possiede a beneficio e a edificazione degli altri e nessuna autorità politica, economica, sociale o ecclesiale potrà mai vantare il consenso e l’approvazione della sudditanza se non avrà esercitato il suo ruolo perseguendo l’interesse di tutti, procacciando il bene comune nel proprio ambito, ricercando realmente l’utile di ogni singola persona, insomma manifestando amore nel vero servizio alla collettività. L’autorità che riscuote consensi è insomma quella che serve. In tutte le attività anche economiche e commerciali l’utile proprio e il proprio fabbisogno si raggiunge in ultima analisi non senza aver prima procacciato il bene degli altri. In contesti sociali come il nostro in cui si fa la corsa i primi posti e ai ruoli di prestigio nel sociale, omettendo di considerare la responsabilità e il senso di dovere che comportano determinate posizioni, in cui il nome o il prestigio o la garanzia del profitto conta molto più della qualità della persona e a contare è solo chi più possiede, quella del servizio è una prerogativa da riscoprire e da proporre come irrinunciabile per il rinnovo di tutta la società perché in effetti il segreto di ogni progresso risiede proprio nell’umiltà e nella carità, così come l’arrivismo e la co petizione sono sempre causa di disordine e di sfacelo.

Questo è quanto compendia Gesù nella sua pedagogia indirizzata ai discepoli: “Voi mi chiamate maestro e dite bene perché lo sono... ma io sto in mezzo a voi come colui che serve.”

Nel servire si trova più realizzazione che nel pretendere, poiché garanzia di grande soddisfazione è il poter essere utili agli altri e il poter concedere se stessi anche in una piccolissima opera di bene, quanto invece si sarà sempre infelici e insoddisfatti nell’agognare e nell’aspirare spropositatamente.

Noi non saremo mai capaci di amore ad alti livelli fin quando non saremo capaci di servire e di donarci innanzitutto nelle situazioni immediate della vita e non si deve neppure opinare la consistenza delle opere di bene di grande levatura fintanto che non si è capaci di fare il bene nelle piccole cose, avendo per destinatari i “vicini” prima ancora che i “lontani”. Certo, le grandi organizzazioni caritative e di solidarietà, le imponenti missioni all’estero e i considerevoli impegni umanitari in aiuto delle masse di bisognosi hanno la loro importanza e restano oggetto di grande lode e di immancabile incoraggiamento, tuttavia rischiano di diventare mero esibizionismo e possono anche denotare vanagloria e vanità se chi le esercita non è capace del servizio più immediato delle comuni circostanze. Occorre servire sempre, in ogni situazione e anche un’informazione data a un passante con interessamento e sollecitudine può guadagnarci grossi meriti davanti a Dio; anche un consiglio, un’esortazione, l’ascolto che prestiamo a chi vuole parlare con noi esprime la capacità di servire il prossimo nelle aspettative evangeliche, a volte anche molto più che nel donare tutte le nostre risorse ai fini di mera ostentazione.

E’ risaputo tuttavia che l’accoglienza prediletta da parte di Gesù è quella rivolta agli ultimi e ai derelitti, a coloro che non hanno voce in capitolo e che costituiscono il ripudio della società. Questi vengono rappresentati dai bambini, che d’altro canto, per la loro indole e per la semplicità di vita, mostrano sensibilità e apertura nei confronti di tutti. In ogni bambino, che ricalca l’essere semplice, povero, meschino e umile di ogni uomo, Gesù ci invita a riscoprire il destinatario che ha la precedenza assoluta nel servizio da parte nostra, colui che deve avere l’esclusiva e il privilegio dell’ascolto, dell’attenzione e della carità. E ci rivolge un monito ineludibile.

Sulle orme di chi ha servito perché ha spasimato per amore nei confronti dell’umanità fino all’effusione del sangue, lungi dal pretendere qualsiasi primato o posizione altolocata, siamo chiamati pertanto tutti a metterci al servizio reale ed effettivo degli altri.

 

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