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TESTO Non bisogna rinunciare a vivere

mons. Antonio Riboldi

VI Domenica di Pasqua (Anno A) (09/05/1999)

Vangelo: Gv 14,15-21 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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15Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; 16e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre, 17lo Spirito della verità, che il mondo non può ricevere perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete perché egli rimane presso di voi e sarà in voi. 18Non vi lascerò orfani: verrò da voi. 19Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più; voi invece mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete. 20In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre mio e voi in me e io in voi. 21Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama. Chi ama me sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui».

Non è certamente una cosa da poco trovarsi, tutti noi poveri uomini, di fronte ai compiti che la vita inevitabilmente ci pone.

E' vero che tanti oggi cercano di evitare impegni e dolori, come se questi potessero essere evitati: o come se questa fosse la migliore soluzione.

Potremmo anzi dire che oggi l'impostazione della "moda del mondo" è quella di cancellare anche l'idea della sofferenza, facendo prevalere la filosofia dello stare bene a tutti i costi. Una corsa alla felicità che quando non si dà appuntamento con i desideri, può continuare impazzita verso paradisi artificiali, quali la droga o altro: e tutti sappiamo che non sono paradisi, ma tragiche anticamere della morte.

Ma viene per tutti, in qualunque situazione, l'impatto col dolore o con la necessità di scelte o con la durezza del proprio compito. Guardare in faccia la propria croce è da gente forte, da gente di autentica fede e di grande, indiscutibile amore: è già un sentirsi in cima alla vetta. Avere paura è come gettare le armi prima ancora di averle prese in mano: è rinunciare a vivere senza prima aver risolto alcuna cosa; lasciando sospeso un discorso che non può essere sospeso. Tutto ciò non toglie il bisogno che Qualcuno ci sostenga, ci conforti, "ci consoli", come dice oggi Gesù. "Se mi amate – dice il Maestro – osserverete i miei comandamenti. Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Consolatore perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito di verità che il mondo non può ricevere perché non lo vede e non lo conosce.

Voi lo conoscete perché egli dimora presso di voi e sarà con voi. Non vi lascerò orfani" (Gv 14, 15-21).

Gesù diceva queste parole che sono una certezza per chi lo segue, ieri ed oggi, nel momento più difficile della Sua esistenza, ossia alle porte della Sua passione e morte. Non era preoccupato per se stesso, eppure era il diretto interessato alla passione e alla morte. Era preoccupato per i suoi Apostoli che sapeva avrebbero conosciuto la profondità della debolezza umana ed il bisogno di un conforto. Lui sarebbe stato consolato da un angelo nell'orto del Getsemani. Ma ciò non toglie nulla alla durezza della prova per quei poveri uomini: la lascia tutta intera. Con la possibilità delle tante cadute che si sarebbero verificate, dello sbandamento che avrebbe scandalizzato. Della paura che li avrebbe come intossicati fino a perdere quasi la fede nelle sue parole. Lascia i suoi Apostoli in questa prova di desolazione umana fino ad un certo punto. Poi, d'improvviso, come a sottolineare la fedeltà di Dio all'uomo, ma anche alla Sua stessa parola, alla Sua volontà di salvezza, viene lo Spirito "Consolatore". E tutto si fa' chiaro. La storia degli Apostoli, la storia della Chiesa è un cammino tribolato sì, difficile sì, ma dal passo sicuro fino ai nostri tempi. Possiamo fidarci di Dio.

C'è però un aspetto, nelle parole del Signore, che ci invita a guardare al nostro compito una volta consolati dallo Spirito: noi dobbiamo confortare chi ci è vicino sentendoci a nostra volta strumenti dello Spirito per consolare i nostri fratelli.

E' la carità più grande che oggi noi possiamo esercitare. Impressiona infatti la solitudine in cui tanta gente si sente nel momento della prova. Basta dare un'occhiata a noi per incontrare volti che ti chiedono anche una sola parola di conforto; qualcuno che dica "non sei solo, siamo insieme con i nostri dolori e le nostre speranze; le condividiamo come se nulla ci appartenesse ma tutto fosse in comunione". Non temete. Basta un sorriso, un nulla. Quello che importa è dare la certezza che si è lì dove è facile lo sconforto e la rassegnazione.

Non è nemmeno necessario fare tanto: nella nostra società così dispersiva, così abituata a consumare le cose come le persone, ciò che la gente di tutti i giorni desidera ardentemente è un orecchio disponibile ad ascoltarla, una mano pronta a sorreggerla, soprattutto qualcuno che con pazienza, tatto, bontà, semplicità le narri quella "buona notizia" che Gesù è venuto a portare per tutti gli uomini e le donne da duemila anni. I nostri fratelli e le nostre sorelle hanno bisogno di sentirsi trattare proprio da "fratelli e sorelle" in una Chiesa che allora sarà come una vera famiglia. Lo Spirito di Dio che soffia su ciascuno con incommensurabile fantasia, se noi saremo disponibili alla sua voce, ci aiuterà a trovare il "modo giusto", le parole adatte a consolare. Nessuno creda di non essere in grado di fare qualcosa: proprio perché lo Spirito Santo è libero, si serve di qualsiasi strumento.

A volte scorro le tante lettere che sono sul mio tavolo di lavoro. Sono tante, tante, e poi ancora tante: da ogni parte d'Italia, da gente di ogni ceto, tutti in cerca di una parola, di un gesto che li faccia sentire meno soli, che li faccia sperimentare una vicinanza.

Il più delle volte sono sufficienti due righe scritte con la certezza della fede, "Dio darà il Consolatore! Non siete orfani", per fare tornare il sole dove non c'era più, per irrobustire le ginocchia che si ribellavano al camminare. E' proprio vero. Lo Spirito Consolatore continua la sua presenza. Dio mantiene la sua parola. Non siamo orfani. Occorre solo che tutti lo annunciamo e lo viviamo. Per noi e per gli altri.

 

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