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TESTO L'umilità di Davide

don Romeo Maggioni  

IX domenica dopo Pentecoste (Anno B) (02/08/2009)

Vangelo: Mc 8,34-38 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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34Convocata la folla insieme ai suoi discepoli, disse loro: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. 35Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà. 36Infatti quale vantaggio c’è che un uomo guadagni il mondo intero e perda la propria vita? 37Che cosa potrebbe dare un uomo in cambio della propria vita? 38Chi si vergognerà di me e delle mie parole davanti a questa generazione adultera e peccatrice, anche il Figlio dell’uomo si vergognerà di lui, quando verrà nella gloria del Padre suo con gli angeli santi».

Anche oggi, un episodio della vicenda di Israele come icona e preannuncio di un insegnamento ben più articolato che Gesù e Paolo esplicitano. Si tratta del re Davide che, pur nella sua grandezza, è felice di umiliarsi nella danza e nella festa in onore all’Arca di Jahvé insediata con solennità a Gerusalemme.

L’insegnamento di Gesù esprime la logica di fondo dell’atteggiamento di Dio nei nostri confronti, lui “che svuotò se stesso, assumendo la condizione di servo” (Fil 2,7); e, di conseguenza, la logica del primato di Dio da riconoscere nell’agire cristiano, perché nella debolezza appaia sempre la potenza di Dio: “Noi abbiamo questo tesoro in vasi di creta, affinché appaia che questa straordinaria potenza appartiene a Dio, e non viene da noi” (2Cor 4,7).

Ce n’è per non spaventarsi di una Chiesa che è minoranza, “piccolo gregge” (Lc 12,32), nel numero e nei mezzi; anzi di sentire quanto essa sia autentica quando si esprime nella logica della croce.

1) L’ATTEGGIAMENTO DI DAVIDE

Di Davide conosciamo anzitutto la sua giovanile impresa di vincere, lui inesperto ragazzo, la tracotanza di Golia: “Ti vieni a me con la spada, con la lancia e con l’asta. Io vengo a te nel nome del Signore degli eserciti, Dio delle schiere di Israele, che tu hai sfidato (1Sam 17,45). La sua forza sta nel nome di Dio. Tutta la Bibbia, dall’impresa dell’Esodo alle conquiste di Israele, sottolinea l’agire prevalente di Dio; come, a partire da Mosè a tutti i profeti, la loro azione è sotto l’influsso di Dio. Il gesto ricordato oggi di un Davide tutto gioioso per aver dato una casa al suo Dio, esprime la sua umiltà e la sua grande stima per Colui che dal gregge l’aveva chiamato a divenire re di Israele. Riconosce che tutta la sua grandezza sta nella iniziativa di Dio.

Dal nulla Dio ha chiamato Davide. Addirittura dall’essere persecutore della Chiesa, il Signore ha chiamato Paolo a divenire apostolo. “Io infatti sono il più piccolo tra gli apostoli e non sono degno di essere chiamato apostolo perché ho perseguitato la Chiesa di Dio. Per grazia di Dio, però, sono quello che sono” (1Cor 15,9-10). Paolo ha ben coscienza, e diviene il suo messaggio centrale, che Dio ha scelto lui per pura misericordia perché la sua stessa vicende parlasse della gratuità e magnanimità di Dio: “Cristo è venuto nel mondo per salvare i peccatori, il primo dei quali sono io. Ma appunto per questo ho ottenuto misericordia, perché Cristo Gesù ha voluto in me, per primo, dimostrare tutta quanta la sua magnanimità, e io fossi di esempio a quelli che avrebbero creduto in lui per avere la vita eterna” (1Tm 1,15-16).

Nel suo ministero Paolo ha sperimentato contrasti, persecuzioni, debolezze e prove. E così li legge: “E’ stata data alla mia carne una spina, un inviato di Satana per percuotermi, perché io non monti in superbia; il Signore mi ha detto: Ti basta la mia grazia; la forza infatti si manifesta pienamente nella debolezza. Quando sono debole, è allora che sono forte” (2Cor 12,7-10). E’ la logica di ogni apostolato, che mette in luce il prevalere dell’azione di Dio, e proprio là dove le risorse umane sembrano inadeguate. Per questo è scritto oggi: “Quello che è stolto per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i sapienti; quello che è debole per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i forti; quello che è ignobile e disprezzato per il mondo, quello che è nulla, Dio lo ha scelto per ridurre al nulla le cose che sono, perché nessuno possa vantarsi di fronte a lui” (Epist.).

2) L’INSEGNAMENTO DI GESU’

Il paradosso del cristianesimo è la croce. Un Dio che salva con un fallimento umano. Ma quel fallimento umano di Gesù esprime in un modo radicale l’assoluta fiducia che la vita la dà Iddio, non le nostre capacità o conquiste umane. “Umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte. Per questo Dio lo esaltò” (Fil 2,5-10). L’ultima sua parola fu: “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito” (Lc 23,46). Quella resa a Dio gli ha fruttato la risurrezione e la vita. Gesù oggi è esplicito: “Chi vuol salvare la propria vita, la perderà. Quale vantaggio c’è che un uomo guadagni il mondo intero e perda la propria vita?”. Di fronte alla morte non c’è sbocco se non quello di legarsi al Signore della vita: “Chi si vergognerà di me.., anche il Figlio dell’uomo si vergognerà di lui, quando verrà nella gloria”.

Il primato di Dio nella questione della.. pelle da salvare, si traduce poi nel suo primato anche nell’ambito della salvezza individuale. La Grazia precede e prevale su ogni nostra iniziativa di bene; è l’azione dello Spirito ciò che veramente trasfigura la nostra esistenza cristiana conformandola a Cristo. Non che sia negata la nostra parte di responsabilità, ma il risultato e il frutto della santità è ben oltre il nostro merito, ..e la nostra afficienza. In questo senso dice oggi Gesù: “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua”. E’ la croce della obbedienza a Dio e della docilità allo Spirito, il scegliere cioè più il volere di Dio e le sue ispirazioni che non le nostre inventive e i nostri criteri di autorealizzazione.

Il che suggerisce anche lo stile del Regno di Dio da costruire, che è lo spirito delle Beatitudini. “Poveri in spirito.., miti, misericordiosi, perseguitati per la giustizia..” (cf. Mt 5,3-12). Il vangelo si trasmette non con il prestigio o il potere, né appoggiandosi sui mezzi umani della imposizione o dell’imbonimento mediatico, ma coi mezzi della persuasione, della testimonianza, della discrezione...: del contagio - diceva Martini! E più profondamente col credere e collaborare all’agire stesso di Dio, come strumenti congiunti nella santità, nella preghiera, e.. nel mezzo più povero ai nostri occhi: la preghiera di intercessione! Infine, entro “una generazione adultera e peccatrice” è da mettere in conto anche la persecuzione, la derisione, l’emarginazione. Ma “chi perderà la propria vita per causa mia e del vangelo, la salverà”.

Immagine esemplare di affidamento pieno e di umiltà è sempre Maria, la madre di Gesù: “Ha guardato l’umiltà (la pochezza) della sua serva.., grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente” (Lc 1,48-49). La più grande attività è la docilità. Anche contro la nostra logica. Pietro dice: Non ho preso nulla.., ma “sulla tua parola getterò le reti” (Lc 5,5). Anzi, anche contro le nostre mancanze e peccati, perché proprio Pietro - pentitosi - fu scelto per essere il capo. Alla fine si è salvati.. non dalle opere nostre, ma dal perdono! E’ tutta una logica diversa.., che aveva già sconcertato la stessa moglie di Davide tremila anni fa.

 

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