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TESTO Cercatori di un cibo che ha valore di eternità

padre Antonio Rungi

XVIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (02/08/2009)

Vangelo: Gv 6,24-35 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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24Quando dunque la folla vide che Gesù non era più là e nemmeno i suoi discepoli, salì sulle barche e si diresse alla volta di Cafàrnao alla ricerca di Gesù. 25Lo trovarono di là dal mare e gli dissero: «Rabbì, quando sei venuto qua?».

26Gesù rispose loro: «In verità, in verità io vi dico: voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. 27Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell’uomo vi darà. Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo». 28Gli dissero allora: «Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?». 29Gesù rispose loro: «Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato».

30Allora gli dissero: «Quale segno tu compi perché vediamo e ti crediamo? Quale opera fai? 31I nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto, come sta scritto: Diede loro da mangiare un pane dal cielo». 32Rispose loro Gesù: «In verità, in verità io vi dico: non è Mosè che vi ha dato il pane dal cielo, ma è il Padre mio che vi dà il pane dal cielo, quello vero. 33Infatti il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo». 34Allora gli dissero: «Signore, dacci sempre questo pane». 35Gesù rispose loro: «Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!

Celebriamo oggi la XVIII domenica del tempo ordinario e il vangelo di oggi ci presenta Gesù che invita la gente, dopo il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci, a non cercare in Lui solo la persona che sfama i bisogni materiali, ma soprattutto quelli spirituali. Gesù è il cibo di eternità di cui dobbiamo andare alla ricerca continuamente e senza il quale la vita non ha senso o comunque perde di valore e consistenza.

Il testo del Vangelo di questa domenica è molto puntuale nel sottolineare anche l’urgenza di questo fondamentale compito che spetta a ciascuno di noi e che non possiamo delegare agli altri. La chiamata alla salvezza è individuale e comunitaria, ma se il soggetto non risponde a questa chiamata rischia di essere al di fuori di questo progetto di redenzione, in quanto è nella fede che l’uomo dà la sua risposta a Dio che lo chiama al suo amore infinito. Non è nella massa e nella confusione che Dio può essere accolto, ma è nel silenzio interiore, nell’umiltà, nella preghiera, nella sofferenza che egli maggiormente si trova. E quando lo abbiamo trovato egli è la nostra gioia per sempre. Se nella nostra vita ci sono tanti momenti difficili, ci sono sofferenze, abbattimenti, delusioni, perdite di stima e di fiducia in noi stessi e negli altri, evidentemente nella nostra vita non ancora abbiamo incontrato davvero il Signore. Mangiamo pure del suo corpo e beviamo del suo sangue nella celebrazione dell’eucaristia quotidiana o domenicale, ma evidentemente questa esperienza di comunione non ci trasforma veramente in Lui. Non ci porta gioia, amore speranza, non ci riempie di vera felicità.

Il testo del Vangelo è uno dei più incisivi per farci capire quale possibile strada possiamo prendere: se vivere della soddisfazione di questo mondo, che è spesso occasionale e deludente, oppure vivere di Cristo stesso che è felicità perpetua. Chi si dona al Signore è la persona più felice al mondo. I santi lo hanno compreso perfettamente. Noi non l’abbiamo capito ancora, ecco perché il vangelo di oggi è un ulteriore motivo a riconsiderare adeguatamente il nostro stile di vita alla luce di questa parola di verità. La fede in Cristo è la base di partenza per qualsiasi discorso religioso cattolico, in cui il tema del pane della vita è centrale in quanto riporta al cuore stesso del messaggio cristiano. Alla gente che chiede i segni, Gesù replica con un’affermazione che è l'essenza stessa della religione: «Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!». Non è semplice accettare Cristo nella interezza del suo messaggio di amore e di coinvolgimento personale. C’è chi accetta Cristo solo nel momento di bisogno, quando il dolore, la malattia e la prova chiedono un supplemento di fiducia nell’Essere Superiore. C’è chi lo cerca per sfamare solo i bisogni materiali (lavoro, casa, famiglia, amori, successi, carriera); c’è chi non lo cerca affatto o si è allontanato da Lui pensando di vivere meglio e bene. Tutte ipotesi errate di una vita che potrà anche essere soddisfacente umanamente, ma non certamente ricca interiormente, di quel cibo che dà la felicità non solo oggi, ma sempre. Ecco perché la gente, una volta capito il discorso, si rivolge a Gesù e gli dice: «Signore, dacci sempre questo pane». E’ quello che chiediamo oggi con grande umiltà, pur non meritandolo, al Signore, perché ci dia il pane della vera gioia e dell’eterna salvezza. L’eucaristia è questo anticipo di eternità che gustiamo ogni volta che riceviamo il corpo del Signore.

La gratitudine al Signore deve perciò essere immensa e costante, non può assolutamente essere in sintonia con quanto fecero gli Israeliti nel loro itinerario esodale verso la terra promessa, quando si lamentarono della manna che cadeva dal cielo e li sfamava nei loro bisognosi materiali. Nauseati da questo cibo rimpiansero la stessa libertà acquista con il passaggio del mar Rosso. Questo testo dell’Esodo ci descrive esattamente lo stato d’animo di un popolo che non è mai contento di nulla e neppure dello stesso Dio. Fotogrammi o film di una realtà già vista e sperimentata nella nostra quotidianità quando ci lamentiamo del più e per di più di quello che non è neppure il frutto del nostro lavoro e ci viene dato per beneficenza, per amore, per solidarietà. Quante persone insoddisfatte per le cose che hanno, molte volte al di sopra delle loro reali esigenze, rispetto a chi non ha nulla! Quanto dobbiamo essere grati al Signore almeno quanti mangiano e hanno la possibilità di soddisfare i loro bisogni essenziali per la provvidenza quotidiana che non ci manca, nonostante la crisi e tante altre vere o presunte difficoltà del mondo dell’economia e del benessere.

Ad indirizzare il nostro pensiero sul giusto binario delle cose da dire e da fare per il nostro bene ci viene in aiuto la seconda lettura della parola di Dio di questa domenica, tratta dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesìni. In questo breve passo è detto con grande chiarezza di pensiero che bisogna cambiare comportamento, per il fatto che il paganesimo stride nettamente con la fede nel Cristo e con la morale consequenziale all’adesione a Gesù. E quando parliamo di paganesimo, al tempo di Paolo come ai nostri giorni, intendiamo riferirci ad uno stile di vita immerso totalmente nella materia, nel piacere, nell’edonismo, nel relativismo, nell’assenza di Dio. Il neo paganesimo di oggi per molti versi è peggiore e più distruttivo dei tempi di Paolo. Allora la fede la si doveva far conoscere e diffondere, oggi la fede già conosciuta è rifiutata e rigettata perché l’uomo vuole vivere senza Dio, pensando che questa sia la sua strada della felicità. Se seguiamo le passioni ingannevoli, ci corrompiamo e non riusciamo ad emergere più dal fango e dalla miseria umana; se invece ci lasciamo prendere dalla passione di Cristo e per Cristo, la nostra vita si riscatta e diventa luce per se stessi e per gli altri. Giustizia e santità devono essere i punti cardine e di riferimento della nostra personale adesione a Cristo Salvatore.

La nostra preghiera che sgorga da cuore e dal reale bisogno di Dio nella nostra vita sia oggi questa, anche in considerazione dei dati statistici che sono stati pubblicati circa la condizione di miseria e fame nel nostro Paese. Condizione di miseria e fame in crescente aumento: “O Dio, che affidi al lavoro dell’uomo le immense risorse del creato, fa’ che non manchi mai il pane sulla mensa di ciascuno dei tuoi figli, e risveglia in noi il desiderio della tua parola, perché possiamo saziare la fame di verità che hai posto nel nostro cuore”.

 

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