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TESTO Commento su Giovanni 6,24-35

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XVIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (02/08/2009)

Vangelo: Gv 6,24-35 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Gv 6,24-35

24Quando dunque la folla vide che Gesù non era più là e nemmeno i suoi discepoli, salì sulle barche e si diresse alla volta di Cafàrnao alla ricerca di Gesù. 25Lo trovarono di là dal mare e gli dissero: «Rabbì, quando sei venuto qua?».

26Gesù rispose loro: «In verità, in verità io vi dico: voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. 27Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell’uomo vi darà. Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo». 28Gli dissero allora: «Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?». 29Gesù rispose loro: «Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato».

30Allora gli dissero: «Quale segno tu compi perché vediamo e ti crediamo? Quale opera fai? 31I nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto, come sta scritto: Diede loro da mangiare un pane dal cielo». 32Rispose loro Gesù: «In verità, in verità io vi dico: non è Mosè che vi ha dato il pane dal cielo, ma è il Padre mio che vi dà il pane dal cielo, quello vero. 33Infatti il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo». 34Allora gli dissero: «Signore, dacci sempre questo pane». 35Gesù rispose loro: «Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!

PRIMO COMMENTO ALLE LETTURE

a cura di don Giampiero Ialongo

Domande prima di risposte!

Più passano gli anni, più mi vado convincendo che nell’arco della vita non sono tanto importanti le risposte che cerchiamo quanto, invece, le domande che ci poniamo.

Sin da quando siamo bambini un senso di sana inquietudine, fatta di ricerca di senso, di punti di riferimento, di mete da perseguire, muove la nostra esistenza e dinanzi ai fatti della vita, agli incontri che facciamo, alle parole che diciamo... ci chiediamo: “Che cos’è? che cosa significa questa cosa? Di quale verità altra è foriera questa parola, questo incontro, questa scelta?”.

Che cos’è?

Nella sua esperienza di vita e di fede, il popolo di Israele in un momento preciso della sua storia, pensate alla I lettura appena ascoltata, si fa questa domanda – per me – benedetta: “Che cos’è” (è questo il significato della parola ebraica “Man ‘hu” che traduciamo con “manna”).

Israele fidandosi della Parola di Dio, rivelatagli per bocca di Mosè, aveva intrapreso il suo esodo, il suo cammino di uscita, non solo dalla schiavitù d’Egitto ma dalle sue false sicurezze, e si era incamminato nel deserto.

Ma ecco che dinanzi alle asperità del cammino, alla fatica a tenerne il passo, alla difficoltà a trovare quel cibo vero che non soddisfa semplicemente la tua fame ma dà pace al tuo cuore, Israele si scopre disposto a barattare la sua libertà per quel piatto di carne mangiato in terra d’Egitto che riempiva sì lo stomaco ma che era cotto col fuoco dell’umiliazione e aveva il sapore amaro della rinuncia a sognare e sperare.

... dal cielo

Ma ecco che Dio interviene e, con una parola, fuga le tenebre che avevano rallentato il passo e oscurato il cuore degli israeliti: “Ecco io sto per far piovere pane dal cielo per voi...”. “... dal cielo per voi”: non tanto il riferimento al pane mi colpisce, quanto questo “dal cielo”. Ci sono dei momenti nella vita in cui non è tanto importante nutrirsi di pane ma di “cielo”. Nutrirsi, come dicevo all’inizio, di quelle domande che hanno messo in moto la tua vita alla ricerca di un senso e di un qualcosa, un qualcuno per cui giocarti. Perché se è vero che il pane ci è necessario per vivere, per sostenere il nostro cammino, è ancora più vero che se non c’è una ragione per cui mangiamo, se non c’è una parola, un desiderio, un amore, che muove e orienta il nostro passo... tutto il resto perde ragione di essere.

Un cibo nuovo

Nella vita c’è bisogno di un cibo, buono come il pane appena sfornato, ma che è impastato con una farina un po’ particolare.

Così dice Gesù alla folla che lo seguiva dopo aver assistito al miracolo della moltiplicazione dei pani: “Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che Egli ha mandato... Io sono il pane della vita...”.

L’eucaristia, quella vita di Gesù data e spezzata per noi, di cui ci nutriamo ogni domenica, è ciò che permette al nostro esistere di essere impastato con il tempo e con l’eterno.

Credere in colui che il Padre ha mandato è ciò che ci aiuta a trovare un senso e una direzione al nostro esistere. La via della fede è l’unica opera che il Padre ci chiede... il resto viene da sé.

Giuseppe Dossetti, uomo sapiente nelle cose che riguardano Dio e gli uomini, alla fine della sua vita era solito accompagnare la parola “fede” con un aggettivo disarmante: “nuda”. È proprio vero la “nudità della fede” è l’esperienza più vera e profonda che può segnare la vita di un credente. Lasciarsi spogliare di tutto, di quella pentola di carne, di quel pane e cipolle che sembra dare sazietà e sicurezza, per ritrovarsi come pellegrini e stranieri a percorrere le vie del mondo sorretti da una sola certezza: “Io sono il pane della vita”.

In questa eucaristia in cui, ancora una volta, il Signore Gesù non mancherà di inverare questa promessa con il dono della sua presenza nel segno del pane e del vino, e del nostro essere comunità in cammino e in ricerca, preghiamo il Padre perché l’opera della fede che lo Spirito ha acceso in noi ci renda instancabili cercatori di Dio e della sua parola, una parola che chiede poi alla nostra vita di essere vissuta nella carità e nella speranza che non tramonta.

 

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